Chiesa Cattolica – Italiana

Zamagni: alla Cop 26 un fondo per sostenere la transizione verde

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Passare dalle parole ai fatti. Lo ha sollecitato molte volte Papa Francesco parlando dei cambiamenti climatici e delle conseguenze sulla vita dei più vulnerabili. Un appello rimarcato anche ieri nell’importante appuntamento in Vaticano che ha riunito insieme leader religiosi, studiosi, giovani impegnati nella difesa del creato. “Fede e Scienza. Verso Cop 26” ha prodotto un appello destinato al presidente della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Glasgow, nel Regno Unito, dal 31 ottobre al 12 novembre prossimi.

 

Un appello che chiede impegno alle nazioni e ai governi perché si inverta la rotta, perché il tempo stringe e perché non sia un mondo malato quello da consegnare alle nuove generazioni. A prendere la parola durante l’iniziativa è stato, tra gli altri, il professor Stefano Zamagni, economista e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

Ascolta l’intervista al professor Zamagni

Professor Zamagni, che bilancio può fare di questo incontro?

Direi che riunire nella Sala delle Benedizioni i rappresentanti di tutte le più importanti religioni mondiali – ce n’erano 35 – e scienziati, oltre ai rappresentanti di associazioni, soprattutto giovanili, non è qualcosa che accade spesso. L’iniziativa ha prodotto un documento nel quale si prende atto che la situazione è diventata ormai ingestibile, sull’orlo del baratro, e che bisogna cominciare a passare dal “factum” al “faciendum”. Fino ad ora la gran parte dell’attenzione è stata dedicata a rappresentare il fenomeno del degrado ambientale in tutte le sue varie manifestazioni, e questo era necessario, però ora bisogna passare a fare diversamente perché il rischio di cadere in una spirale retorica è piuttosto elevato.

Le cose da fare sono possibili, alla nostra portata, e sono quelle che ormai sanno tutti ma sulle quali non c’è ancora un accordo unanime perché la “transizione verde”, decarbonizzazione, abbassamento della temperatura…, pone problemi che si chiamano tecnicamente “di traversa”. E’ inevitabile che durante questa transizione alcuni gruppi sociali ci rimetteranno, e anche molto, e altri ci guadagneranno. Allora coloro i quali ci rimetteranno, se non verranno in qualche modo compensati, formeranno delle coalizioni a livello politico tali da bloccare il processo di avvio per la transizione. Ho avanzato la proposta di dare vita ad un fondo internazionale che svolgerebbe la funzione di ricevere contributi da coloro che traggono vantaggio dalla transizione verde per essere poi trasferiti a coloro che ne saranno in qualche modo svantaggiati. Se non abbiamo il coraggio di fare queste cose non ci sarà niente da fare perché già ad oggi i Paesi come la Cina, l’Australia, l’India e il Sudafrica sostengono che, in assenza di aiuti specifici, non si considereranno impegnati ad imbastire questa lotta senza quartiere contro il degrado ambientale.

 

Altra implicazione riguarda l’aspetto culturale, questo vuol dire che bisogna spiegare queste cose ai bambini, fin dalle elementari. Il nostro stile di vita è ancora quello dei decenni passati, quando del problema ambientale non si parlava, quindi non basta pensare soltanto a livello istituzionale ma bisogna arrivare anche a livello individuale. Infine la terza linea d’azione riguarda il sistema finanziario internazionale perché non possiamo andare avanti con un sistema finanziario che fa acqua da tutte le parti. Pensiamo, ad esempio, ai paradisi fiscali che 35 anni fa non esistevano, allora perché – mi chiedo – con un atto di volontà politica non si mette fine a questa sconcezza?

Professore lei ha detto che bisogna cambiare rotta, come sostiene Papa Francesco, anche per quanto riguarda l’educazione e lo stile di vita. Nell’appello c’è un riferimento anche molto forte ai leader religiosi e al loro impegno nell’azione per il clima. Questo significa che in passato ci sono state delle mancanze?

Non direi mancanze ma disattenzioni, che vuol dire che non si era prestata grande attenzione alla “dualità”, così si chiama, tra questioni ecologiche questione sociale. Si pensava che le due questioni fossero separate e allora in passato, pur di avanzare passi verso la soluzione della questione sociale, non si è prestata attenzione alla questione ambientale. Faccio un esempio banale che però si è verificato: se sono in un Paese dove c’è una altissima disoccupazione e arrivano delle multinazionali che trivellano il terreno, scavano gallerie per cercare materie prima e per fare questo occupano centinaia di migliaia di persone, io se sono il capo tendo a chiudere un occhio perché considero più grave il problema sociale mentre si penserà dopo a sistemare le cose sul fronte ecologico ambientale.

Non era una volontà perversa, era che non si capiva che così facendo si otteneva il peggiore di tutti i risultati perché si distruggeva l’ambiente e anche la dimensione economico sociale, perché se l’ambiente non regge, non ci sono lavori o fabbriche che tengano per dare una occupazione decente a tutti. Qui vorrei sottolineare il grande merito di Papa Francesco e la considerazione che i capi delle varie religioni hanno dimostrato nei suoi confronti. Tutti hanno riconosciuto che la Laudato si’ del 2015 è un autentico raggio di luce capace di illuminare una stanza che fino a quel momento era buia.

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