Chiesa Cattolica – Italiana

Via Crucis, per il Papa la voce e le matite dei ragazzi dell’Ardeatino

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Dentro il recinto della prima chiesa di Roma consacrata da san Giovanni Paolo II, il 26 aprile 1980, dieci anni dopo la costruzione, nel quartiere Ardeatino, pulsa l’attività educativa e di catechesi che il parroco don Luigi D’Errico, arrivato nel 2008, ha voluto fosse condivisa anche con giovani di 15 e 16 anni. Insignito pochi mesi fa, a fine 2020, dal presidente Mattarella, del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica italiana “per il suo quotidiano impegno a favore di una politica di reale inclusione delle persone con disabilità e per il contrasto alla povertà e alla marginalità sociale”, don Luigi, finita l’intervista, prepara con alcuni collaboratori della parrocchia Santi Martiri d’Uganda, un carrello della spesa per una famiglia in difficoltà che sarebbe passata nel giro di un’ora.

In San Pietro venerdì saranno in 15, in rappresentanza di 500 

In questa chiesa che sembra una pagoda cinese, stanno preparandosi alla prima comunione o alla cresima, oggi soprattutto online a causa della pandemia, circa 500 bambini e ragazzi che venerdì, nella Via Crucis di Papa Francesco in Piazza San Pietro, sentiranno risuonare meditazioni e preghiere nate in questi loro incontri di catechismo su “Zoom”. E vedranno 15 dei loro giovanissimi catechisti leggere il frutto del loro impegno, e portare la croce o la fiaccola in alcune delle 14 stazioni.

Don Luigi e i suoi collaboratori mettono anche verdura fresca nel carrello per la famiglia in difficoltà

Don Luigi: tanti disegni sulla crocifissione di Gesù

Don Luigi ci spiega che quella di illustrare con disegni dei ragazzi e meditare con le riflessioni dei più piccoli il rito della Via Dolorosa, è un idea che gli era venuta prima della chiamata dal Vaticano.

R. – Noi abbiamo pensato all’inizio di fare un’attività che potesse coinvolgere anche quelli che sono a casa, perché prevedevamo che ci sarebbe stata la “zona rossa”, e non ci si sarebbe potuti muovere più di tanto. Per cui per aiutarli, come abbiamo fatto lo scorso anno disegnando Le Palme, quest’anno si era detto con i catechisti: disegniamo o commentiamo una delle stazioni della Via Crucis a piacere. Lo hanno proposto e stanno continuando a proporlo ai ragazzi in questi giorni, perché era nata come un’attività catechistica, poi è arrivata la proposta della Segreteria di Stato di provare ad aiutare il Papa nel commentare la Via Crucis del Venerdì Santo in Vaticano. E noi allora abbiamo consegnato un po’ del lavoro che i ragazzi avevano già fatto.

Concretamente come si è svolta la stesura delle meditazioni? E’ stato un lavoro individuale dei ragazzi o di gruppo, in base alle stazioni?

R. – E’ stato un lavoro dei singoli, che ho raccolto cercando di mantenere la riservatezza sulla destinazione finale. Un lavoro che con i catechisti abbiamo raccolto: dai loro brevi testi e dai disegni, spesso, commentati, e da altri brevi discorsi, abbiamo cercato di interpretare il loro stato d’animo in questo tempo di fronte alla Via Crucis, di fronte al mistero della passione di Gesù. Alcuni ragazzi hanno fatto delle vere e proprie preghiere, in cui si sono rivolti al Signore, così come a volte abbiamo potuto fare negli anni scorsi in parrocchia, celebrando la via della Croce.

Don Luigi D’Errico, parroco della chiesa dei santi Martiri d’Uganda all Ardeatino

Però, quando hanno preparato i loro contributi, non sapevano ancora che poi sarebbero stati utilizzati nella Via Crucis del Papa?

R. – No, l’abbiamo spiegato quando la cosa è divenuta di dominio pubblico, ed è stato annunciato dal Vaticano. Allora ho spiegato che il loro lavoro, in gran parte, è servito per questa iniziativa, così bella e così importante.

Visto che i ragazzi coinvolti sono stati tanti, quasi 500, quale stazione è stata la più commentata e disegnata?

R. – Sicuramente gli incontri di Gesù con le varie persone, e quella che naturalmente domina nei disegni è la crocifissione. E’ il momento che colpisce di più: lo hanno visto nei quadri naturalmente, ma soprattutto in qualche film che di solito viene trasmesso in televisione nel periodo che precede la Pasqua. La crocifissione è il momento tragico, è quello che anche fa pensare all’abbandono di Gesù, alla sua sofferenza, che non meritava certo di soffrire.

Quindi come hanno rappresentato, sia nelle meditazioni che nei disegni, la Via Crucis? C’è la storia di Gesù, ma penso ci sia un po’ anche la loro storia, magari alcune loro difficoltà e sofferenze…

R. – Per esempio, nel momento in cui si racconta nella Via Crucis, che Gesù muore e c’è una reazione dell’universo, con il terremoto raccontato nella Via della Croce, loro lo hanno immaginato con un cielo pieno di fulmini, quasi a esprimere il disappunto di Dio Padre di fronte alla stupidità degli uomini e delle donne. “Perché uccidere Gesù?” Si sono chiesti. In molti questa rimane una domanda grande: perché Gesù muore? Naturalmente in questo periodo, nei loro commenti è presente quello che sta accadendo. Sentono continuamente informazioni, sentono anche più vicine le angosce dei parenti e dei genitori. Sentono, per esempio, la lontananza dei nonni. In moltissimi casi non incontrano più da tempo gli anziani, per difenderli. Tutto questo gli manca, gli manca fare le feste di compleanno insieme agli altri compagni, gli manca a volte andare a scuola in tranquillità, giocare nei parchi. Tutto questo è stato per il momento limitato e quindi emerge anche nei loro commenti.

La vostra parrocchia dei Santi Martiri dell’Uganda è nota come comunità che accoglie: il “Rifugio per Agar”, la “Casa Betlemme”. Queste espressioni della carità della vostra parrocchia, sono entrate in qualche modo nelle riflessioni dei ragazzi?

R. – Noi raccontiamo sempre ai ragazzi quello che facciamo: abbiamo sempre raccontato sia dei viaggi in Uganda, dove fino a quando non è arrivato il Covid si andava due volte all’anno e molti nostri giovani sono andati, sia quello che facciamo qui, nella comunità parrocchiale. Raccontiamo che, per esempio, una delle due case, la casa Betlemme, non è opera solo di questa comunità, ma di otto parrocchie, e quindi di come insieme si possano affrontare le difficoltà e si possano fare dei veri e propri piccoli miracoli. Quindi loro sentono che c’è un’ingiustizia in questa sofferenza, e che molti soffrono e in alcune situazioni soffrono anche di più. Sicuramente certe immagini li hanno sconvolti e alcuni si domandano anche: “Nei Paesi poveri come l’Uganda che succede? Ci saranno i vaccini? Si potrà stare meglio?”. Naturalmente il loro vissuto quotidiano è quello che li coinvolge maggiormente, per cui quando vedono i genitori stanchi, nervosi o preoccupati, oppure hanno vissuto in parecchi casi il Covid in famiglia, e questo ha costretto l’intero nucleo familiare a rimanere isolato dagli altri e da tutto, questo ha avuto degli effetti. Ed emerge spesso nelle preghiere, quando chiedono a Dio di far smettere la pandemia: è la richiesta più ricorrente. Spesso negli anni passati era la pace, e ora è che Dio faccia finire questa guerra, che sembra dipendere dal virus.

Che dono è stata la partecipazione alle meditazioni dei ragazzi con disabilità?

R.- Ormai li conosciamo per nome, fanno parte della vita di tutti. Ho raccontato altre volte il commento di una ragazza più grande, in preparazione per la cresima, Chiara, che diceva: “Ho capito con loro cosa significa amare, cosa significa voler bene. L’ho capito vedendo altri ragazzi poco più grandi di me che stanno insieme e altri ragazzi e ragazze che aiutano, che non si allontanano, che quando c’è qualcosa, invitano e fanno partecipare”. Quindi loro in realtà hanno partecipato come tutti e come tutti vivono il disagio di questa pandemia. Anzi, forse il loro è ancora più grande. Faccio un esempio concreto: se gli altri ragazzi non vanno a scuola, permettono di andare a scuola ai ragazzi con disabilità, ma da soli. Laddove c’è bisogno di maggiore relazione essere soli in questo periodo è ancora più complicato e drammatico.

Come avete scelto i 15 fortunati che saranno in Piazza San Pietro venerdì con il Papa?

R. – Andranno i ragazzi più grandi, che spesso sono anche catechisti o aiuto catechisti, ma anche loro, grazie a Dio, sono circa 70. Chi andrà rappresenterà gli altri, come quando facciamo i viaggi in Uganda: chi va diventa anche il cuore, gli occhi e la mente delle persone che non possono andare.

Secondo lei, perché il Papa ha scelto di far scrivere ai bambini e ai ragazzi le meditazioni di quest’anno della Via Crucis, e non ad un cardinale o ad un teologo?

R. – Papa Francesco ha questa capacità di essere legato alle situazioni umane, al vissuto della gente. Sembra proprio l’attenzione di un padre, di un pastore, di un papà o di una mamma, che guardano a ciò che vivono le persone che compongono la famiglia. Penso che il Papa abbia voluto aprire uno squarcio di attenzione sui più giovani, quelli che in un primo periodo si è detto che “sono lontani dalla possibilità di essere contagiati e quindi di morire, allora dobbiamo preoccuparci di meno”. Invece col tempo sta emergendo che questa distanza per fortuna è in parte vera, ma ci sono delle conseguenze anche della solitudine, nel non essere con gli altri, nella naturale tendenza dei giovani ad essere insieme ad altri giovani e a passare così il loro tempo e a crescere. Si cresce in un mondo relazionale, con gli altri, da soli è veramente più difficile. Credo che Papa Francesco abbia sentito questo a livello mondiale: tutte le società e tutti i giovani, i bambini e le bambine di questo mondo stanno soffrendo tanto. La sua attenzione è nel cercare così di essere loro accanto.

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