Vent’anni fa moriva Van Thuan. Il cardinale Re: “Ha scelto Dio, non le sue opere”

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Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

“Sono stato creato cardinale insieme a lui, nel 2001, e durante il concistoro eravamo uno accanto all’altro. Quando venne recitata la formula: ‘cardinali fedeli alla Chiesa e al Papa fino all’effusione del sangue’ gli sussurrai: ‘lei lo ha già fatto’, pensando ai suoi 13 anni di carcere. E lui replicò: ‘I disegni di Dio sono misteriosi, ma sempre ispirati dall’amore’”. Con questo commovente ricordo il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, apre la sua omelia nella Messa in ricordo di Francois-Xavier Nguyen Van Thuan, pastore vietnamita scomparso a Roma vent’anni fa, il 16 settembre 2002, dopo una lunga malattia. Papa Francesco lo ha dichiarato venerabile il 4 maggio 2017, e per la sua beatificazione manca solo il riconoscimento di un miracolo attribuito alla sua intercessione.

Il cardinal Czerny: un testimone della mitezza

La celebrazione si svolge nella basilica romana di Santa Maria in Trastevere, a pochi passi dal palazzo di San Calisto, dove Van Thuan è arrivato nel 1994, per prestare servizio nel Pontificio Consiglio “Giustizia e pace”, prima come sottosegretario e poi come presidente, dal 1998 alla morte. Tra i fedeli, molti vietnamiti della comunità romana, religiosi e religiose di diverse congregazioni coinvolte nel coro, ma anche tanti romani affascinati dalla figura di questo “testimone della mitezza”, come lo ha definito il cardinal Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale nel congresso sulla vita, santità e missione del venerabile, tenuto il 15 settembre a San Calisto. Al termine, la sala conferenze del dicastero è stata inaugurata come “Sala cardinal Van Thuan”.

Re: era sereno, anche quando capì che non sarebbe guarito 

Il cardinal Re, che presiede la celebrazione nella basilica, nella preghiera introduttiva chiede l’intercessione del venerabile “in questo momento difficile, tra guerra e pandemia”. E poi nell’omelia ricorda anche che pochi mesi dopo il concistoro Van Thuan si ammalò. “Andai a trovarlo prima al policlinico Gemelli poi alla clinica Pio XI – sottolinea – ed era sempre molto sereno. Ma se le prime volte mi parlava dei suoi progetti per il futuro, come il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, che poi avrebbe completato il suo successore, via via cambiò argomenti. Aveva accettato con grande serenità il suo tramonto, perché la morte era per lui entrare nell’intensità dell’amore di Dio”.

Le citazioni da “Testimoni della speranza”

Il decano del Collegio cardinalizio conclude citando tre pensieri di Van Thuan, due tratti dagli esercizi spirituali predicati alla Curia nella Quaresima del 2000 e raccolti nel libro “Testimoni della speranza”. Quando in prigione, nel periodo dell’isolamento si sentiva soffocare, giovane vescovo tormentato dall’aver dovuto abbandonare le iniziative pastorali e la sua diocesi, una voce nella notte gli disse. “Perché ti tormenti così, distingui Dio dalle opere di Dio. Tutte le cose che vuoi fare sono opere di Dio, ma non Dio. Abbi fiducia in Lui, farà fare ad altri le stesse cose meglio di te. Tu hai scelto Dio, non le sue opere”. Da questo l’arcivescovo detenuto ricevette una pace nuova, una forza che riempì il suo cuore, perché comprese che il fondamento della vita cristiana è abbandonarsi a Dio.

Il ricordo di Van Thuan in un video d’archivio

Padre Van Sy: nel suo cuore univa umanità e amore cristiano

Al termine della celebrazione, raccogliamo la testimonianza di padre Ambrogio Van Sy, francescano minore, membro della Penitenzieria apostolica e della commissione storica per la causa di beatificazione, ordinato diacono da Van Thuan, che ha tenuto la prima relazione, quella sulla vita del venerabile cardinale, nel congresso del 15 settembre.

Ascolta l’intervista a padre Ambrogio Van Sy

Padre Ambrogio Van Sy, vent’anni dopo la morte del cardinale Van Thuan cosa le resta della sua testimonianza nella vita?

A me resta un esempio veramente illuminante di santità e di sequela di Gesù fino alla fine, anche ad di là delle sofferenze, dei dolori. Lui rimane per me un esempio, ma anche per tutti, e come hanno detto gli ultimi Papi, anche per la Chiesa universale

Quindi un esempio anche per i fedeli di oggi, anche per i giovani?

Senz’altro per i fedeli di oggi, ma in modo particolare per i giovani, perché mi ricordo che anche il Papa lo ha definito modello di speranza per i giovani. Basta rileggere il suo “Il cammino della speranza: 1001 pensieri per i giovani”. E’ interessantissimo il suo linguaggio e il suo messaggio adatto ai più giovani.

Lei l’ha conosciuto di persona: quali sono i suoi ricordi del cardinale?

Lo conoscevo molto bene perché sono nato a Nha Trang e i miei genitori lavoravano per lui, quando lui era vescovo. Veramente per me è un uomo e un pastore esemplare: è lui che mi ha ordinato diacono, avrebbe dovuto ordinarmi sacerdote, ma poi si è trasferito a Roma. Però con me è stato sempre gentile, come con tutti, con delicatezza, ma anche con un umorismo speciale. Una volta mi ha presentato ad una suora che non mi conosceva, ma che stava a Roma, dicendo: “Lui viene dal Laos”. E alla suora che si chiedeva “Ma parla bene il vietnamita”, ha replicato. “Si, ma tanti del Laos lo parlano bene”. Così per molti anni questa suora ha creduto davvero che io venissi dal Laos. Poi ci raccontava le tante sofferenze della sua vita con una grande semplicità e serenità, senza parlare male di nessuno. Raccontava ad esempio dei fatti del 1968, quando c’è stato l’attacco dei comunisti a Capodanno, e lui ha rischiato di venir ucciso, come se fosse successo ben poco. Poi ci ha raccontato di aver toccato da vicino la morte dopo un’operazione all’ospedale di Hanoi, quando era detenuto. Era rimasto solo, ha chiesto aiuto agli infermieri che non sono intervenuti perché non avevano l’autorizzazione dei superiori. Non poteva respirare e aveva la pancia gonfia. Stava quasi per morire, quando è venuto un uomo, non si sa da dove, ed ha estratto tanto sangue dalla sua pancia e lo ha salvato. Ha cercato di persona l’infermiere per ringraziarlo, ma non è riuscito più a trovarlo. Ha concluso allora che “Dio ha mandato un angelo per salvarmi”. Nel carcere duro vicino al suo vescovado poi ha sentito la sua fede messa davvero alla prova, e proprio lì capisce che deve abbandonarsi totalmente a Dio.  

Molti sono rimasti colpiti dal suo sguardo d’amore verso chiunque gli stesse accanto. E’ successo anche a lei?

Sì, senz’altro. Tutte le persone che venivano ad incontrarlo o lui incontrava, i poveri, i lebbrosi, i malati, sempre lo faceva con una bontà, una benevolenza, che metteva tutti a proprio agio, come a casa propria. In qualsiasi persona che incontrava vedeva un amico. Era una persona che portava la pace agli altri, univa l’umanità all’amore cristiano, combaciavano nel suo cuore. Inoltre lui è nato da una famiglia molto conosciuta, potente dal punto di vista sociale e politico. E poi è anche diventato cardinale. Ma fino alla morte è rimasto umile e povero, amando anche i nemici.

Una virtù caratteristica del cardinale Van Thuan per tutti è stata la speranza. Lei crede che questa sua speranza trovasse fondamento nella scelta che ha fatto di Dio e di Cristo crocifisso, e non delle opere di Dio, come ha ricordato stamattina anche il cardinale Re?

Sì, ma non possiamo separare la speranza dall’amore e dalla fede: vanno tutte insieme. Lui è stato tutto questo, perché veramente amava Gesù e, per mezzo di Gesù, amava tutti i fratelli e le sorelle. Quando Gesù è accanto a noi, presente nella nostra vita, non perdiamo mai la speranza, perché lui è il nostro salvatore. Non perdiamo mai la fiducia, la perseveranza e la speranza in ogni momento della nostra vita. Lui ha detto: “Ogni momento che noi viviamo, viviamolo colmandolo di amore, con questo amore e questa speranza nella fede in Gesù Cristo”.