Università Cattolica, il preside di Medicina: mettiamo la persona prima dell’eccellenza tecnica

Vatican News

Michele Raviart – Città del Vaticano

La Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore si prepara venerdì prossimo ad accogliere Papa Francesco che celebrerà al Policlinico Gemelli la Santa Messa per i sessant’anni della Facoltà, inaugurata nel 1961 da Papa Giovanni XXIII. Il preside, il medico chirurgo Rocco Bellantone, specializzato in Endocrinologia, racconta l’attesa per questa visita e rilegge il percorso professionale alla luce  dei valori che contraddistinguono l’Ateneo:

Ascolta l’intervista integrale a Rocco Bellantone

Professore in che modo vi preparate ad accogliere il Papa?

Indubbiamente è una grande emozione. Un pensiero devoto va al Santo Padre che con questa visita rafforza la nostra grande motivazione di una università, di un ospedale che porta avanti i principi cattolici e il rispetto della persona prima ancora della sua eccellenza tecnica.

Lei ha passato tutto il suo percorso formativo e professionale all’interno dell’Università Cattolica…

È una cosa che ha segnato la mia vita. Sono arrivato qui, come molti, attratto più dalla enorme fama che avevano l’Università Cattolica e il Policlinico Gemelli e quindi con la speranza di imparare bene la medicina. Poco alla volta poi sono stato attratto e inglobato in questa atmosfera di “princìpi” verso la persona e che devo dire hanno segnato tutta la mia carriera a partire da quando ero studente fino ad arrivare a rappresentare la facoltà quale suo preside pro tempore. È stato un percorso di vita più che professionale, meraviglioso.

Lei è stato allievo del dottor Francesco Crucitti, che era il chirurgo di San Giovanni Paolo II. Che ricordi ha di quel periodo?

È Il ricordo dell’incontro con un grande Papa, con una grandissima persona. Io ho avuto la fortuna di stare accanto al mio maestro in alcuni degli interventi eseguiti su San Giovanni Paolo II e ho avuto modo di passare lunghi momenti accanto a questa straordinaria figura. Devo dire che quel suo viaggio nella sofferenza ha conquistato tutti noi. Veramente, è stato un po’ per tutto il Gemelli la pietra miliare che ci ha portati sempre più a capire che anche nella sofferenza si possono far trionfare dei valori spirituali  fondamentali.

Ad oggi, dopo 60 anni, come possiamo parlare di questa Facoltà di Medicina alla luce anche di quello che sta succedendo con la pandemia?

La pandemia è stata una sfida drammatica che ha rivoluzionato l’ospedale, però ha permesso veramente una esplosione di valori forse impensabile prima. Devo dire che un po’ tutta la struttura, ma soprattutto i nostri giovani hanno risposto in maniera straordinaria e hanno fatto sì che il Gemelli nel giro di poche settimane cambiasse anche la sua struttura e dedicasse una sua parte importante ai malati Covid. Devo dire che la più grande soddisfazione è stata aver curato bene questi malati, ma soprattutto avere avuto grandissimi riconoscimenti sull’umanità con cui si è fatto questo.

Lei ha parlato di giovani. Un pensiero rivolto agli studenti della sua Facoltà. Chi sono? Che storia hanno? Quali sono i loro sogni e le loro motivazioni?

Mi piace pensare che ancora oggi abbiano gli stessi stimoli, la stessa motivazione che avevo io oltre 40 anni fa, quando feci il concorso per l’ammissione. Sono un gruppo, se vogliamo, di “persone particolari”, perché entrare nei primi 300 su oltre 7000 candidati, sicuramente è indice se non altro di un’agilità mentale importante. Ma mi piace pensare che al di là della loro bravura nei quiz, se non già motivati prima, ma una volta arrivati qui prenda il sopravvento questa curiosa e questa passione verso il prossimo che soffre.