Una vocazione nata a Šaštin: storia di suor Rozalia, fuggita dal regime per vivere la fede

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Antonella Palermo – Città del Vaticano

Costretta a fuggire per poter professare la propria fede. È la storia di suor Rozalìa Mrènova, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, nata a Trnava, in Slovacchia. Nell’84, sotto il regime comunista, lascia il suo Paese per giungere in Italia dove resta, nella Casa Generalizia, fino al 2001. Poi torna nel suo Paese e un anno fa, di nuovo rientra in Italia, per assistere le suore anziane e malate. Seguendo a distanza il viaggio del Papa nella sua terra natale, ricorda il santuario nazionale di Šaštín, dove si è celebrata la Messa conclusiva e dove tante volte lei si recava a pregare. “Spero che la presenza di Francesco, sempre chino verso i poveri, in ascolto delle sofferenze – dice la religiosa – possa portare frutto nella piccola nazione da cui provengo”.

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La devozione mariana ispirata da piccola 

A Šaštín, suor Rozalia andava con i suoi genitori, con loro si recava anche in tanti altri santuari mariani. “C’era sempre tantissima gente, anche durante il comunismo, nonostante le difficoltà legate agli impedimenti del regime che veniva anche a spiare tramite la polizia. Questo però non fermava i fedeli”. Racconta della grande devozione per la Madonna appresa dalla madre. “Sono stata educata in questo modo e le sono riconoscente per questo. Penso che sia stata proprio la Madre di Gesù a ispirare la mia vocazione. Lei mi ha attirata”. 

Le cicatrici di una fede vissuta di nascosto

Suor Mrenova ripensa alla sua Slovacchia che ha passato tanti momenti difficili, una piccola nazione assoggettata a poteri stranieri. “Penso che tanta gente ha sofferto a motivo della fede. Conosco tanti genitori che non potevano iscrivere i figli alla catechesi parrocchiale. A scuola era consentito, sebbene con tante limitazioni. Gli insegnanti hanno dovuto scontrarsi con tanti ostacoli. Poi c’era l’imposizione a non frequentare la Chiesa per le famiglie più abbienti, per esempio”. 

Portare la croce, come Gesù, dinanzi alle provocazioni

Nell’omelia della Messa di oggi, Papa Francesco ha ricordato la Vergine come modello di una fede che si mette in cammino, “sempre animata da una devozione semplice e sincera, sempre in pellegrinaggio alla ricerca del Signore”. E ha raccomandato di non fermarsi, di restare in cammino. Suor Rozalia ha sperimentato un cammino anche forzato, se letto alla luce di queste difficoltà. “Volevo andare alle scuole superiori – ricorda ancora – ma non venni accettata perché frequentavo il catechismo. Una insegnante, una volta, vedendo il mio crocifisso al collo mi disse che non avrei dovuto portarlo. Io chinai il capo pensando che non avrebbe avuto senso parlare. Capivo che era inutile reagire. Loro volevano provocarmi. Io restai in silenzio”. È incarnare lo stile di Gesù che taceva dinanzi a situazioni simili, “perché era meglio stare in silenzio di fronte a persone che non comprendono il proprio pensiero”.

Restare sotto la croce per non essere tiepidi

Anche l’ingresso tra le religiose è stato molto condizionato, ha dovuto agire in maniera clandestina, nessuno doveva sapere che stava seguendo la vocazione alla vita consacrata. “Devo dire che è stato difficile ma la sfida era bella”, dice. “Penso che questo pellegrinaggio della mia vita, che porta molte cicatrici, mi ha dato nel fondo una pace dentro, una gioia. Ho visto persone benestanti che non erano felici. Io invece ero sempre molto serena e contenta. Quando ho fatto i miei esercizi spirituali che mi hanno poi portato alla prima professione di fede, mi sono impressa nella memoria che sempre avrei dovuto coltivare questo rapporto personale con Gesù, perchè questa – sottolinea – è la cosa più importante, non solo per chi è orientato alla vita religiosa, ma per tutti i cristiani”. E qui si coglie la sua commozione che non è debolezza, anzi. È determinazione. Segno di tenacia e discernimento profondo. “Non si può stare seduti su due sedie”, dice, rimarcando le parole del Papa. “Le tentazioni ovviamente non sono mancate, ma io sapevo ciò che volevo”. 

Inutile usare il crocifisso e trascurare il rapporto personale con Gesù 

La croce non deve essere usata come simbolo politico, in maniera trionfalistica, ha scandito Francesco durante la Divina Liturgia a Prešov. “In effetti, se non abbiamo un rapporto intimo, personale con Gesù – dice la suora – è inutile orientarsi alla vita consacrata. Dire le preghiere, andare in chiesa, indossare il crocifisso e non considerare la persona di Gesù molto significativa per sé, non ha senso. Del resto noi andiamo da Lui, altrimenti per cosa abbiamo vissuto”.

Offrire le giornate per gli altri con una fede semplice

Il Papa ha lasciato la Slovacchia con il riferimento alla necessità che la fede si faccia compassione, “condivisione di vita verso chi è ferito, chi soffre e chi è costretto a portare croci pesanti sulle spalle”. Come sperimenta le parole di Francesco ogni giorno? “Cerco di seguire le notizie del mondo, ciò che capita. Le guerre, le sciagure. Ogni giornata la offro per qualche intenzione particolare. Questo aiuta. Nella mia semplicità e nella mia pochezza – conclude Rozalia – offro quello che posso e così cerco di unirmi a Gesù e chiedere misericordia per chi ha bisogno. Fa molta pena che gli uomini siano sempre così l’uno contro l’altro. Dovrebbe invece dominare l’amore tra le persone perché il mondo sarebbe molto diverso. Il divisore è sempre all’opera e rompe l’unità tra le persone”.