Una Caring school per promuovere la cultura della cura e l’innovazione sociale

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Una scuola di formazione concentrata in sei lezioni, ognuna di una giornata intera, diluite in sei mesi, per “immaginare, progettare e accompagnare le nuove reti della cura”. Ma anche per rispondere all’invito di Papa Francesco a pensare, spinti dall’ “amore sociale”, insieme “all’importanza dei piccoli gesti quotidiani”, “a grandi strategie che incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società”. È la prima Caring School su Cura e innovazione sociale, promossa dal Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II Matrimonio e Famiglia, in collaborazione con Caritas di Roma e Cei, che viene inaugurata oggi pomeriggio con una conferenza su “Convivenze creative. Vita familiare, agire collaborativo e trasformazioni sociali”.

Una scuola per chi opera nei servizi sociali, nella pastorale e nel volontariato

La scuola è rivolta ad operatori e responsabili dei servizi sociali e sociosanitari, di associazioni professionali e di categoria, degli uffici diocesani di pastorale familiare, sociale e del lavoro, volontari della Caritas e di altre realtà del terzo settore e dell’associazionismo orientato ai servizi di prossimità, ai membri di movimenti laicali e congregazioni religiose impegnate nel campo della cura e della promozione sociale.

La conferenza su “Convivenze creative” e agire collaborativo

I relatori della lezione inaugurale, alle 16 nell’Auditorium dell’Istituto Jp2, saranno Guillaume Le Blanc, direttore del Laboratorio sui Cambiamenti Politici e Sociali dell’Università di Parigi Diderot, e Fabienne Brugère, presidente dell’Università di Parigi Lumières. Dopo l’introduzione del preside Philippe Bordeyne, e la lezione dei due ospiti, a presentare la scuola di formazione saranno i coordinatori scientifici Vincenzo Rosito, direttore dei corsi del Jp2, la vicepreside Milena Santerini, e Pier Davide Guenzi, che modererà l’incontro.

I temi dei sei moduli in programma

Il programma prevede sei moduli sulla “Caring leadership. La cura come paradigma culturale e innovazione sociale”; “Organizzazione delle strutture territoriali: interservizi e lavoro di comunità”; “Organizzazione dei servizi sociosanitari: cura integrale e ausilio domiciliare”; “Cura di comunità e imprenditorialità sociale”; “Comunità familiari e condomini solidali”; e infine “Housing sociale e abitare collaborativo”. La sessione mattutina sarà dedicata all’inquadramento e all’esposizione delle coordinate teorico-concettuali del modulo, quella pomeridiana invece all’acquisizione di competenze attraverso la presentazione di esperienze e progetti, workshop, laboratori.

Iscrizioni fino al 31 ottobre, prima lezione a metà novembre

Le iscrizioni, sul sito dell’Istituto, si chiuderanno il 31 ottobre, e la prima lezione è prevista il 19 novembre, dalle 9.30 alle 17.30. Con cadenza mensile, la Caring School si concluderà il 15 aprile 2023. A collaborare con l’Istituto Jp2 nell’organizzazione della scuola sono l’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia, l’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza episcopale italiana e la Caritas diocesana di Roma.

La cultura della cura può trasformare la società

“La crisi della pandemia – spiega Vincenzo Rosito, che è anche docente di Storia e cultura delle istituzioni familiari – ha manifestato l’importanza delle relazioni di cura nelle famiglie e negli ambienti della cooperazione, dal terzo settore e dal volontariato, fino a quello della vita pubblica e civile. Occorre sperimentare e promuovere nuove forme di cura che non siano esclusivamente riconducibili al campo dell’accudimento o dell’assistenza professionale medicalizzata”. La nuova via che si apre è “fare della cura un principio di trasformazione sociale per sperimentare nuove forme del vivere insieme e nuove pratiche di alleanza informale tra generazioni, culture, istituzioni e corpi sociali”.

Ascolta l’intervista a Vincenzo Rosito (Istituto Jp2)

Quali sono le finalità di questa scuola su “Cura e innovazione sociale” che il vostro Istituto propone?

Siamo partiti da un’idea centrale, quella di immaginare, progettare e accompagnare le nuove reti della cura accogliendo e facendo nostro anche l’invito di Papa Francesco a costruire una cultura della cura cercando di andare oltre uno sguardo che vuole soffermarsi sui singoli gesti di cura. Durante la pandemia siamo stati sollecitati esattamente in tal senso: ci siamo presi cura gli uni degli altri, nella famiglia, nei contesti di lavoro e non solo. Ma anche alla luce di quella esperienza, adesso è arrivato il momento di fare della cura una realtà e un’istanza di trasformazione sociale.

Immaginare e progettare nuove reti di cura: cosa intendete fare per questo obiettivo?

Prima di tutto mettere in rete tutte le esperienze che a livelli diversi della vita professionale, nel mondo del volontariato, ma anche nella ricerca universitaria e scientifica, si occupano esattamente del prendersi cura gli uni degli altri. Il corso, infatti, vuole valorizzare sia quelle teorie che si occupano del curare, la cosiddetta “etica della cura”, ma soprattutto mettere in relazione tutte quelle esperienze concrete, che vanno dall’organizzazione dei servizi territoriali, degli interservizi e del lavoro di comunità, all’organizzazione dei servizi socio-sanitari fino ad arrivare alle esperienze di cura di comunità. Come l’imprenditorialità sociale, le comunità familiari, i condomini solidali. In tutte queste esperienze che possono sembrare molto diverse e lontane tra loro, in realtà c’è un filo che le attraversa, ed è esattamente quello di maturare e di incoraggiare una cultura della cura.

Quindi quali competenze volete potenziare in chi frequenterà la vostra Caring School?

Promuovere prima di tutto la dimensione familiare nei servizi alla persona, formare nel campo della leadership della cura e dell’innovazione sociale e appunto mettere in rete quelle competenze professionali, i soggetti sociali e le istituzioni territoriali che si occupano della cura.

Mettere in rete quindi significa anche che le persone che frequenteranno questo corso, potrebbero poi creare un gruppo che si ritrova periodicamente per confrontare le diverse esperienze?

Esattamente: l’idea e l’auspicio è anche questo, di creare un contesto collaborativo di persone che proveniendo da esperienze diverse potrebbero anche dare vita a un qualcosa di nuovo. Infatti questa è la questione: l’abbinamento tra cura e innovazione sociale che diventa un po’ il cuore del nostro lavoro e l’auspicio anche per il lavoro futuro. La cura non soltanto come un atteggiamento di conservazione o di riparazione del mondo, ma la cura come un’esperienza di trasformazione del mondo. Ma per trasformare il mondo bisogna mettersi insieme nelle diversità professionali, nelle diversità delle diverse sensibilità.

Quindi come deve cambiare, per adeguarsi alle trasformazioni della società, il mondo dei servizi sociali e del volontariato?

Prima di tutto partendo da una sensibilità verso la vita ordinaria di ciascuno. Perché i luoghi della cura sono prima di tutto i luoghi dell’ordinario, i luoghi della vita quotidiana. È lì che le persone che potremmo chiamare “normali”, ma soprattutto il poveri, talvolta le persone più scartate o più lontane, sperimentano nuovi modelli di vita. E’ lì che le persone si mettono in relazione, in nuovi contesti di innovazione. E’ lì che provano a trasformare dal basso, o semplicemente stando insieme, nuovi modi di vivere, nuovi modi di sperimentare la vicinanza, nuove forme del vivere insieme. Penso ad esempio alle comunità familiari, o all’housing sociale, o all’abitare collaborativo: lì dove concretamente si sperimentano delle alleanze informali tra generazioni, ad esempio. Questo è un modo di prendersi cura tra persone, ma è anche un modo di trasformare il mondo e dunque di fare innovazione sociale tra i poveri, tra i piccoli o per dirla con Papa Francesco, tra gli scartati.

Quindi queste sono le “convivenze creative” e l’agire collaborativo di cui parlerete oggi nella conferenza inaugurale?

Certo! Oggi nell’auditorium del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II ci sarà la conferenza inaugurale e la creazione e la presentazione della Caring School. L’abbiamo chiamata “Convivenze creative”, volendo valorizzare il legame che c’è tra vita familiare, agire collaborativo e trasformazioni sociali. E lo faremo insieme al professore Guillaume Le Blanc che è direttore del laboratorio sui cambiamenti politici e sociali dell’università Diderot di Parigi e che ha recentemente scritto un libro esattamente sulla solidarietà dei poveri, per una storia politica della povertà.