Chiesa Cattolica – Italiana

Un santo laico e due martiri del nazismo presto agli altari

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

Esempi di carità senza confini, di un eroismo mite che spesso più di ogni altro atteggiamento scatena la ferocia vile dell’aggressore armato contro aggrediti inermi, come troppa cronaca dei nostri giorni mostra terribilmente. Esempi di cui è ricca la storia della Chiesa, che si appresta ad annoverarne altri tra le fila dei suoi santi e dei suoi beati a partire da Artemide Zatti, un laico italiano, originario di Boretto nella Bassa Padana dove nasce nel 1880. La famiglia emigra in Argentina quando Artemide ha 17 anni e si stabilisce a Bahia Blanca. Lì il giovane conosce i salesiani ed entra come professo nella Congregazione, ma si ammala di tubercolosi e quando guarisce sceglie non più il sacerdozio ma di dedicarsi ai malati per adempiere un voto fatto a Maria Ausiliatrice. Svolgerà quel servizio per tutta la vita nell’Ospedale di Viedma come vicedirettore, amministratore, infermiere, amato e stimato dai suoi pazienti e dalle loro famiglie, fino a che un tumore avrà il sopravvento portandolo alla morte nel 1951.

Il miracolo

Giovanni Paolo II beatifica Artemide Zatti nel 2002 e al 2016 risale il miracolo riconosciuto per la canonizzazione. Il fatto riguarda la guarigione di un filippino di Tanauan Batangas, ridotto in fin di vita da un grave ictus ischemico alla testa, aggravato da una forte emorragia. La famiglia non ha i mezzi per sottoporlo a intervento e lo riporta a casa il 21 agosto, ma il 24 all’improvviso l’uomo si toglie il sondino naso-gastrico con cui era alimentato e l’ossigeno e chiede di poter mangiare, quindi nei giorni successivi riprende la vita normale. A invocare la guarigione dell’uomo era stato suo fratello, un coadiutore salesiano a Roma, che lo stesso giorno del ricovero in ospedale aveva iniziato a pregare intercessione del beato Artemide Zatti.

Il martirio dei due sacerdoti

Il coraggio e la fede fino al sangue e quel tipo di odio che rende disumani si contrappongono nelle vicende dei martiri e futuri beati Giuseppe Bernardi e Mario Ghibaudo, entrambi sacerdoti, che si trovano coinvolti in una delle pagine orribili che sono capaci di produrre le guerre. Dopo l’armistizio del ’43 la cittadina di Boves, nel cuneese, è un crocevia di forze tedesche e lotta partigiana. Il 19 settembre, dopo uno scontro con un morto per parte e due soldati presi prigionieri, il maggiore tedesco Peiper minaccia di distruggere il paese se non riavrà liberi i suoi due uomini e il corpo di quello ucciso. Don Giuseppe Bernardi e un’altra persona conducono con successo la mediazione e ottengono quanto richiesto agli assedianti, che però non mantengono la parola. Il maggiore tedesco dà comunque l’ordine di attacco e carica su un’autoblindo il sacerdote e l’altra persona, il signor Antonio Vassallo, costringendoli ad assistere alle case date a fuoco e alle esecuzioni sommarie.

È in questi frangenti che, verso le 16.30, trova la morte il vicario parrocchiale don Mario Ghibaudo il quale, dopo aver messo in salvo le bimbe dell’orfanotrofio e altre persone, si avvicina a un uomo colpito da una mitragliatrice tedesca per impartirgli l’estrema unzione ma viene a sua volta falciato da una raffica e sul suo corpo un soldato infierisce con ferocia a colpi di pugnale e col calcio del fucile. Verso le 18, portati in un cortile, anche don Bernardi e l’altro uomo vengono giustiziati e dati alle fiamme.

I nuovi Venerabili

I decreti firmati da Papa Francesco riconoscono anche le virtù eroiche di sette fra Servi e Serve di Dio, considerati ora Venerabili dalla Chiesa.

Il vescovo spagnolo Martino Fulgenzio Elorza Legaristi, classe 1899, della Congregazione della Passione di Gesù Cristo, costruisce letteralmente le anime e la casa di Dio nel territorio peruviano che gli è affidato, un contesto di povertà e grande ignoranza religiosa. Visita spesso le parrocchie, muovendosi a piedi o a cavallo o in canoa, e avvia la costruzione della cattedrale e di nuove chiese nei villaggi, prendendo anche alle prime Sessioni del Concilio Vaticano II. Muore a Lima nel 1966.

Missionario è anche il vescovo Francesco Costantino Mazzieri, dei Minori Conventuali, originario di Abbadia di Osimo (1889). Nel 1930, sentendosi chiamato a evangelizzare lontano dall’Italia, con sei confratelli viene inviato nell’attuale Zambia, nel distretto di Ndola (allora Nord Rhodesia), all’epoca colonia britannica. Dà vita per 36 anni a una intensa evangelizzazione che fa crescere la Chiesa in condizioni difficili e impervie, scegliendo di risiedere nella zona rurale di Santa Teresa (Ibenga-Zambia) e questa umiltà, unità a una capacità intensa di carità – si prodiga in modo eroico per i lebbrosi – lo fa amare dalla gente e muore nel 1983 circondato da fama di santità.

Tra i nomi dei nuovi Venerabili figurano anche delle fondatrici di istituti religiosi. Lucia Noiret (al secolo: Georgine), nata nel 1832 in Francia, istituisce la Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù sotto la protezione di San Giuseppe. Dopo il noviziato nelle Suore della Carità, viene trasferita a Imola come educatrice in una struttura per ragazze povere e per le orfane. Quando la superiora generale decide di richiamare le religiose, suor Lucia, su consiglio del vescovo di Imola Luigi Tesorieri, resta al servizio nella struttura. Parecchie giovani si uniscono a lei e quello è il primo nucleo della futura congregazione. Muore a Imola nel 1899.

La religiosa Casimira Gruszczyńska nasce nel 1848 a Kozienice (oggi Polonia), dove trascorrerà tutta l’esistenza fino alla morte sopraggiunta nel 1927. Fa voto di castità privato all’età di 10 anni che rinnova poi a 21 con l’autorizzazione del parroco, durante una Messa nella chiesa parrocchiale. L’anno dopo muore la mamma e la futura fondatrice si dedica alle visite ai malati e all’insegnamento del catechismo ai bambini. Nel 1875 entra nella Congregazione delle Suore Messaggere del Cuore di Gesù, ma quando il regime zarista decreta lo scioglimento degli istituti religiosi sul territorio del Regno di Polonia, la Congregazione delle Messaggere entra in clandestinità, continuando a operare senza il riconoscimento dato da un abito religioso. Suor Casimira si sposa a Varsavia per dirigere il Rifugio per Insegnanti Invalide e nel 1882 fonda la Congregazione delle Suore degli Afflitti, dedicata alla cura dei malati e dei sofferenti, soggetta alla Regola del Terz’Ordine Francescano, che dirige per 45 anni pur appartenendo contemporaneamente alla Congregazione delle Suore Messaggere. Nel 1922, Pio XI le conferisce la medaglia “Pro Ecclesia et Pontifice”.

Coetanee sono due delle tre laiche riconosciute come Venerabili. La spagnola Aurora Calvo Hernández-Agero, classe 1901, vive tutta la vita a Béjar. Di famiglia profondamente cristiana, suo fratello era sacerdote, avverte il desiderio di consacrarsi come carmelitana scalza, ma la necessità di accudire la mamma anziana le impedisce l’approdo alla vita contemplativa. Svolge il servizio di catechista e cerca in ogni modo di approfondire con intensità e cura la propria vita interiore, consacrandosi alla Vergine Maria e mostrando una notevole passione per gli esercizi spirituali. Di salute malferma, si spegne per broncopolmonite nel 1933.

Si svolge in Polonia la vicenda di Rosalia Celak, originaria di Jachówka, dove nasce nel 1901. A 17 anni e mette un voto privato di castità, a 23 parte per Cracovia, dove si ferma un anno presso un’anziana donna che aiuta nei lavori domestici. Sempre a Cracovia, l’anno successivo inizia a lavorare come inserviente degli ammalati nel reparto di chirurgia dell’ospedale di San Lazzaro della stessa città e, dopo circa due mesi, viene trasferita al reparto di malattie cutanee e veneree. Vorrebbe consacrarsi e nel ‘27 entra tra le Clarisse di Cracovia, ma la sua salute debole non le consente di restarvi e l’anno successivo torna al suo lavoro nell’ospedale di San Lazzaro, che svolge con grande diligenza e dedizione, conquistando la fiducia e il rispetto di tutti. Nel periodo finale della vita la sua fede si stringe in unione mistica con Gesù. Muore a 43 anni, a Cracovia, nel 1944.

Di vent’anni più grande è la terza laica di cui sono state riconosciute le virtù eroiche. L’italiana Maria Aristea Ceccarelli, nasce ad Ancona nel 1883, in una famiglia che no la ama. La madre, analfabeta, ha un carattere chiuso e molto duro, mentre il padre è un irascibile violento, cui piace giocare e bere e che nutre un’avversione per Aristea. La ragazza cresce in un contesto di solitudine e di miseria psicologica e materiale. Conosce la fame e il freddo, comincia a lavorare come sarta a 6 anni e lo farà per 11, quando si aggiungerà anche quello in trattoria. I genitori la costringono a sposarsi con Igino Bernacchia, i due si accordano di vivere come fratello e sorella andando a vivere con i suoceri, dove Aristea fa la donna di servizio lavorando anche nel forno, nella macelleria e nel negozio di alimentari di famiglia. Anche il suocero e il marito sono dei violenti e purtroppo alle angherie si aggiunge nel 1902 una grave e dolorosa malattia che la porta all’espianto dell’occhio destro. Aristea trova conforto nella preghiera costante e quando per il lavoro del marito si spostano a Roma la donna si affida alla guida spirituale di due Camilliani, vivendo la missione negli ospedali, in particolare al Sanatorio Umberto I, tra i malati di tubercolosi, fra cui molti bambini, visitando gli ammalati nelle loro case, consolandoli e aiutandoli materialmente. A Roma si spegne la vigilia di Natale del 1971.

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