Un festival per far luce sui diritti dei senza fissa dimora

Vatican News

Paola Simonetti e Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Diritto alla salute, immigrazione, discriminazioni, diritto alla casa e giustizia sociale: ruota intorno a questi temi il primo festival “Homeless More Rights” che si tiene a Bologna ma che è possibile seguire anche on line. Una rassegna che si concluderà domenica 17 ottobre e che nasce dall’esperienza dell’Associazione “Avvocato di strada”. L’iniziativa intende essere un’occasione di formazione e sensibilizzazione per chi lavora con le persone in difficoltà e per chi sogna una società più equa e giusta.  

La battaglia per il diritto alla residenza

Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione “Avvocato di strada”, ricorda che quando si parla di povertà estrema, di persone senza dimora, bisogna pensare a “quella che è la più grande battaglia per un avvocato di strada e per tutte le associazioni che si occupano di queste persone, quella della residenza”. Mumolo sottolinea che al momento in cui si finisce in strada si perde anche l’iscrizione anagrafica e questo significa che sarà molto più difficile uscire da questa condizione. “Perdere la residenza in Italia – spiega – vuol dire non avere possibilità di lavorare, perdere il diritto alla salute vuol dire non potersi curare, perdere il diritto al welfare locale e perdere anche il diritto di voto sono le conseguenze più gravi”.

Ascolta l’intervista ad Antonio Mumolo

Una casa per riscattarsi

Il festival è anche l’occasione per illustrare degli esperimenti a favore dei senza dimora, soluzioni che stanno di fatto funzionando come “Housing first”, cioè “Prima la casa”, come via per superare la fragilità. Antonio Mumolo parla di una realtà consolidata soprattutto in Nord Europa, “anziché lasciare una persona senza dimora in un dormitorio, magari insieme a tante altre persone senza far nulla, perché a quel punto ha un tetto e c’è una mensa, si può provare – sottolinea – a far vivere queste persone in appartamenti, con un affitto calmierato, in 3-4 persone. Vivendo in questi appartamenti – aggiunge l’avvocato – ci si responsabilizza totalmente perché gli appartamenti dovranno essere puliti, dovranno prepararsi da mangiare e fare la spesa. Quando si finisce in strada si è sfiduciati e depressi, dare loro invece un posto, non in un dormitorio, significa fare in modo che quella persona possa nutrire una speranza per il futuro”.