Chiesa Cattolica – Italiana

Un appuntamento online per dire no alle armi e sì al lavoro

Adriana Masotti – Città del Vaticano

“Ripudio della guerra e riconversione economica”, questo il tema di un incontro online che si terrà oggi, dalle 20 alle 21.30. L’iniziativa è del gruppo “Economia Disarmata”, espressione del Movimento dei Focolari in Italia e si propone come tappa di avvicinamento alle Settimane sociali dei cattolici italiani che si terranno a Taranto dal 21 al 24 ottobre prossimi, su “Ambiente, lavoro e futuro”. All’incontro via web di oggi, che può essere seguito in diretta sul canale YouTube di “Economia disarmata”, interverranno soggetti diversi, ma tutti impegnati da tempo sulla questione del disarmo, come Gianni Alioti, The Weapon Watch, Osservatorio sulle armi nei porti europei e del Mediterraneo; Marco Tarquinio, direttore di Avvenire; Marco Piccolo di Fondazione Finanza etica; monsignor Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi-Italia; Alessio Lanfaloni, Villaggio Peace and business, The Economy of Francesco; don Bruno Bignami, direttore del PSL, Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, ed esponenti dei PSL di Piemonte/Valle D’Aosta, Padova, Pisa, Roma.

L’Italia e la vendita di armi

L’Italia si colloca tra i primi 10 esportatori di armi a livello mondiale e contende il primato internazionale relativamente alle armi cosiddette leggere. L’adesione al programma dei caccia bombardieri JSF35, programmati anche per essere armati con ordigni nucleari, e la vendita di navi da guerra al governo egiziano e saudita, sono il risultato di politiche industriali che vedono protagoniste grandi società come la Finmeccanica Leonardo e Fincantieri. “L’attenzione generata dall’opposizione alla produzione in Italia, da parte di una azienda controllata da una multinazionale estera, di bombe destinate ai Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen – si legge nel comunicato di presentazione del webinar – ha fatto emergere l’elusione sistematica da parte dello Stato italiano della legge 185/90 che vieta l’invio e il transito di armi verso Stati in guerra e/o che violano i diritti umani”. Una normativa, si ricorda, “nata per applicare il principio costituzionale del ripudio della guerra e approvata grazie alla testimonianza dei lavoratori obiettori alla produzione bellica e all’impegno della società civile con il contributo decisivo dell’associazionismo cattolico”.

Disarmare la finanza 

Il tema del disarmo ha interpellato fortemente anche il Movimento dei Focolari che nell’ottobre 2015 ha dato vita al gruppo “Economia disarmata”, orientato alla costruzione della pace, a partire dalle scelte nel campo della finanza e dell’industria del Paese Italia. Incontri con esponenti del mondo della politica, seminari, giornate di riflessione, convegni promossi assieme a diverse associazioni, tra le attività messe in campo. Significativa poi la scelta, da parte di diverse realtà riconducibili al Movimento dei Focolari, dell’apertura e il trasferimento di un numero consistente di conti bancari presso istituti non coinvolti nel sostegno alla produzione e commercio di armi. Disarmare la finanza, infatti, a cominciare dai propri beni, rientra tra le attività promosse come consumo critico, consapevolezza culturale e leva politica di cambiamento delle strutture.

“Una decisione coraggiosa sarebbe quella di costituire con il denaro che viene utilizzato per le armi e altre spese militari ‘un fondo globale’ per poter sconfiggere definitivamente la fame e aiutare lo sviluppo dei Paesi più poveri. (Papa Francesco in Fratelli tutti)”

Il nodo della riconversione economica e produttiva

Ed è in Sardegna, in particolare nel territorio del Sulcis Iglesiente, luogo di produzione delle bombe destinate anche al conflitto in Yemen, da parte dello stabilimento di produzione della RWM Italia controllato da una multinazionale tedesca, la Rheinmetall, che si è concentrato l’impegno del Movimento a partire dal maggio 2017 insieme a realtà già a lungo presenti e attive sul tema del disarmo. La Camera dei deputati ha approvato, nel giugno 2019, la risoluzione che prevede il blocco dall’Italia delle esportazioni di bombe e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, cioè ai due Paesi coinvolti nel tragico conflitto in Yemen. E tuttavia la mozione approvata ha rimosso ogni riferimento, previsto in una prima versione, al sostegno di alternative lavorative per il Sulcis-Iglesiente e tutte le aree italiane soggette al “ricatto” occupazionale del settore degli armamenti. La ricerca di una soluzione alternativa all’offerta di lavoro legata alla produzione bellica è rimasta ancora disattesa, mentre rimane il vero nodo strategico. Ad Iglesia vive e lavora Cinzia Guaita, insegnante, portavoce del Comitato per la riconversione della RWM che, insieme a Carlo Cefaloni, interverrà all’incontro online, a nome dei Focolari. Al nostro microfono ci presenta l’iniziativa di questa sera:

Ascolta l’intervista integrale a Cinzia Guaita

R. – Si tratta di un invito al dialogo in vista delle Settimane sociali dei cattolici italiani del 2021 e prende in considerazione il fatto che il nostro Paese rientra tra i primi esportatori dei sistemi d’arma a livello mondiale e questo è frutto di una scelta strategica che negli ultimi anni è stata condivisa in maniera trasversale dai diversi schieramenti, per cui ci ritroviamo a raccogliere il risultato di scelte industriali delle società a capitale pubblico come Finmeccanica Leonardo e Fincantieri. Quindi abbiamo ritenuto importante puntare l’attenzione sul nostro ruolo a questo riguardo. In particolare io parteciperò nel pomeriggio insieme a tanti altri, perché nel nostro territorio il Sulcis Iglesiente, a sud ovest della Sardegna, abbiamo dato vita ad una reazione per il fatto che lì esiste una produzione di bombe aeree e questa reazione ha fatto emergere che la legge 185/90 è stata sistematicamente violata. Da qui la necessità di una presa di posizione che parte dalla coscienza, da una coscienza cristianamente formata, ma in dialogo con tutti coloro che condividono il principio costituzionale del ripudio della guerra.

Questa è una tappa di un percorso già iniziato da tempo dal gruppo che si è autodefinito “Economia disarmata”…

R: – Il gruppo è nato nel 2015. È appunto un gruppo di lavoro che si propone l’obiettivo di costruire la pace a partire dalle scelte nel campo della finanza e dell’economia del nostro Paese, perchè la pace non è un sentimento che giace nel profondo del cuore degli uomini, ha bisogno di azioni, ha bisogno di scelte concrete. La guerra fa le sue scelte, ma la pace viene lasciata spesso come fosse un fiore spontaneo, mentre va coltivata. E allora questo gruppo “Economia disarmata” vuole dare un contributo alla riflessione, sostiene azioni coerenti e consapevoli a riguardo, promuove la formazione e poi esprime delle posizioni pubbliche rispetto alle dinamiche della pace e della guerra. Il nostro obiettivo è portare il tema in maniera condivisa all’interno delle prossime Settimane sociali.

Come lei ha detto, l’Italia si colloca tra i primi 10 esportatori di sistemi di armi. Ma dopo tutto questo impegno, vostro e di altri, a che punto siamo? E’ cambiato qualcosa in particolare in riferimento al conflitto nello Yemen?

R. – La situazione umanitaria nello Yemen è drammatica, l’Onu l’ha definita la peggiore catastrofe dal secondo dopoguerra ed è un Paese che anche l’Italia ha contribuito indirettamente a distruggere consentendo l’export, appunto, di armi prodotte da una fabbrica che è una fabbrica italiana però controllata da una multinazionale tedesca e quindi il comitato di cui io sono la portavoce ha portato questo tema all’attenzione dei politici, abbiamo avuto diversi contatti e c’è stata una svolta di recente, perchè a gennaio di quest’anno il governo Conte, ormai ai suoi ultimi passi, ha confermato l’embargo alla vendita di armi all’Arabia Saudita e ha anche revocato le esportazioni già programmate anche dai governi precedenti. Questo, da un lato ha dimostrato che la Costituzione con il suo ripudio della guerra è viva. Dall’altra parte, però, c’è stato un contraccolpo occupazionale sul nostro territorio. E noi, fin dall’inizio abbiamo sempre insistito sul fatto che il lavoro andasse salvato, per questo parliamo sempre di riconversione e non di chiusura dell’azienda. Perchè il lavoro è prezioso e va orientato positivamente, per cui noi siamo sempre stati dei sollecitatori anche nei confronti dei politici locali rispetto alla necessità di proporre un’alternativa occupazionale. E ora stiamo dando vita a un progetto di riconversione integrale del nostro territorio agricolo che abbiamo chiamato War Free, libero dalla guerra, con un marchio etico a cui possono aderire diverse aziende che vogliono vivere per la pace.

Dunque è possibile che l’Italia possa fare questa riconversione? E che cosa chiedere ad un nuovo governo?

R. – Al nuovo governo chiediamo che l’operazione della svolta green, della svolta ecologica che intende percorrere sia reale e concreta e direi che diventa un po’ difficile pensare che delle fabbriche di armi e di bombe possano far bene all’ambiente. Chiediamo, quindi, che la svolta sia reale e che vada nella direzione di promuovere un’economia di pace, un’economia sostenibile e che quindi nel tempo si faccia una riflessione ampia anche sul ruolo dello Stato nelle aziende di costruzione delle armi. Chiediamo a tutte le forze politiche sociali locali e nazionali di sedersi ad un tavolo e di fare progetti coerenti rispetto alla svolta del piano green che il Pianeta ci chiede e di cui l’Italia  ha tanto bisogno.

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