Chiesa Cattolica – Italiana

Ucraina, prepararsi al sacerdozio alla scuola della guerra

Don Ihor Boyko, rettore del seminario greco-cattolico di Leopoli, parla delle iniziative in cui sono coinvolti i seminaristi, che mirano a fornire assistenza spirituale a coloro che stanno vivendo lutti e traumi

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

«Stiamo cercando di far capire ai nostri seminaristi che fin quando questa guerra continuerà, o anche quando sarà finita, dovranno svolgere la loro missione pastorale tra le persone rimaste ferite dalla guerra». Don Ihor Boyko, rettore del seminario greco-cattolico di Leopoli, in un’intervista ai media vaticani racconta delle attività che i seminaristi già svolgono fin da ora per sostenere chi ha patito traumi e lutti, preparandosi in questo modo al futuro ministero sacerdotale.

“Come posso tornare alla vita normale”

«Purtroppo la guerra continua – afferma con amarezza don Boyko – ma sebbene sia una situazione davvero difficile, constatiamo anche molte iniziative positive. All’inizio, la Chiesa si era concentrata molto sul sostegno agli sfollati. Col tempo abbiamo visto che da questo punto di vista la situazione stava migliorando e molte persone erano potute tornare nelle loro case. Oggi abbiamo invece molte situazioni di persone ferite sia nel corpo – sono tanti feriti tra i militari, ma anche tra i civili – sia nel loro animo. La Chiesa cerca di aiutare tutti. Per esempio, i seminaristi degli ultimi anni del nostro seminario vanno negli ospedali a trovare i militari, per parlare con loro o semplicemente star loro vicino. Perché i medici possono fornire cure mediche – oggi con lo sviluppo della medicina si possono avere protesi moderne – però molti giovani uomini e donne che hanno subito gravi ferite o mutilazioni hanno nel cuore tante domande: “Come posso continuare a vivere? Qual è il significato di tutto quello che mi è successo? Come posso tornare alla vita normale, alla mia famiglia?”».

Don Ihor aggiunge che in situazioni così difficili, la disperazione può portare all’abuso di alcol o a qualche altro comportamento autodistruttivo, oppure addirittura a pensieri suicidi. Perciò la presenza della Chiesa, del clero e dei seminaristi, è estremamente necessaria in questo periodo.

Il tempo di stare vicini

Il rettore del seminario greco-cattolico di Leopoli racconta anche di un’altra iniziativa che coinvolge i seminaristi. Qualche volta durante la settimana vanno al cimitero militare di Leopoli dove c’è sempre qualcuno dei familiari dei soldati caduti in guerra. «Per esempio – riferisce don Bayko – recentemente ho incontrato lì una madre che assieme ai suoi quattro figli stava accanto alla tomba di suo marito. Quando abbiamo iniziato a parlare, mi ha detto: “Ho anche una quinta figlia, è già adulta e ha una famiglia sua”. In momenti come quello, ti accorgi che la tua presenza come sacerdote, e anche come uomo, accanto a questa madre e ai suoi figli è molto importante. Perché i bambini sono felici di condividere tutto ciò che, forse, avrebbero voluto raccontare al papà: i loro successi a scuola, i primi passi all’università, i loro sogni, le loro speranze. E allora quel tempo trascorso per stare insieme, stare vicini, ascoltare, credo sia molto necessario oggi».

Il sacerdote aggiunge che ogni storia che hanno modo di ascoltare su chi è sepolto in quel cimitero resta impressa nella mente e nel cuore. «Perché lì – spiega – sono sepolti molti giovani che erano personalità brillanti. Molti di loro non erano militari prima della guerra. Alcuni lavoravano all’estero e quando è iniziata l’invasione russa hanno lasciato tutto e sono tornati in Ucraina per difendere la loro terra dicendo: “Se non difendo io la mia famiglia, i miei figli, chi lo farà?”. Nessuno di loro voleva morire, ma volevano tornare a casa per continuare a vivere felicemente nel proprio Paese. Ecco, oggi abbiamo questi nuovi eroi che danno la vita per la verità, per la dignità, con grande amore e dedizione al proprio popolo».

Curare le ferite

Spesso sacerdoti, cappellani e persino vescovi ucraini dicono nelle interviste: «Nessuno ci ha insegnato in che modo svolgere la pastorale durante la guerra». Ricevono questa formazione attraverso le esperienze difficili e spesso dolorose che vivono sia come pastori, sia come abitanti di un Paese in guerra. «Notiamo – osserva don Boyko – che i giovani uomini che ora studiano in seminario a volte hanno episodi di ansia, paura, alcuni anche attacchi di panico, perché tanti hanno parenti, amici, genitori, fratelli o sorelle che sono in guerra. Di recente c’è stato il funerale del padre di uno dei nostri seminaristi, ucciso in guerra. L’intera comunità del seminario sta cercando di sostenere lui e la sua famiglia in questo periodo di lutto. In questo contesto stiamo cercando, anzitutto, di far capire ai nostri seminaristi che fin quando questa guerra continuerà, o anche quando sarà finita, dovranno svolgere la loro missione pastorale tra le persone rimaste ferite dalla guerra. Perché la gente ne parlerà durante le confessioni e nelle conversazioni individuali. Spesso incontreranno qualche soldato che ha combattuto al fronte e i seminaristi dovranno sapere come parlargli, cosa chiedergli e cosa non chiedergli. Dovranno celebrare i funerali e anche lì dovranno essere in grado di comportarsi di conseguenza, sapere quali argomenti toccare e quando, invece, tacere».

Pronti a tutto

La Chiesa in Ucraina è diventata un vero è proprio “ospedale da campo” che cerca di sanare le ferite della gente. Una di queste ferite sono sopportate dai più piccoli, bambini orfani che hanno perso in guerra uno o due genitori. Don Ihor dice che i loro seminaristi si impegnano anche in questo campo, visitando gli orfanotrofi e organizzando campi estivi per bambini e ragazzi rimasti senza mamma e papà.

I seminaristi greco-cattolici, racconta il rettore, spesso organizzano gli incontri con i militari per insegnare loro la catechesi, pregare insieme o semplicemente per parlare. «Сiò che maggiormente motiva i seminaristi – sottolinea don Boyko – è l’esempio degli altri. Quando vedono l’esempio di sacerdoti che vanno nelle zone vicine al fronte per servire come cappellani, spesso vengono da noi e dicono che anche loro vorrebbero farlo. All’inizio pensavamo che potesse essere pericoloso, ma oggi diciamo loro: “Siete adulti, potete fare le vostre scelte”. E ci sono molti seminaristi che sono felici di svolgere un tale ministero per dare il sostegno spirituale ai nostri militari, per stare vicino a loro, per sostenere anche i nostri cappellani militari».

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