Chiesa Cattolica – Italiana

Ucraina, “le fosse comuni, uno shock rivederle nel ventunesimo secolo”

Olivier Bonnel e Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Padre Patrick Desbois è il coordinatore scientifico del memoriale di Babi Yar a Kiev. In questo luogo, un sobborgo della capitale ucraina, si trovano i resti di 34 mila ebrei uccisi nel settembre 1941 dalle Einsatzgruppen, reparti che erano composti principalmente da soldati tedeschi delle SS e della Wehrmacht. Tra il 1941 e il 1944, quasi un milione e mezzo di ebrei ucraini sono stati uccisi durante l’invasione dell’Unione Sovietica da parte delle truppe della Germania. Il sacerdote francese, che dal 2004 presiede l’associazione Yahad-In Unum, è stato direttore del Comitato per il dialogo ebraico-cristiano all’interno della Conferenza episcopale francese dal 1999 al 2016 e si è occupato anche del genocidio del popolo degli Yazidi in Iraq. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, ha raccolto le testimonianze delle vittime delle atrocità. Nell’intervista rilasciata a Vatican News padre Patrick Desbois si sofferma sui massacri compiuti in Ucraina dopo lo scoppio della guerra lo scorso 24 febbraio.

Quale è stata la sua reazione dopo la scoperta di fosse comuni in Ucraina?

È stato un grande shock rivedere le fosse comuni. In Europa non le vedevamo dai tempi di Sarajevo e Srebrenica. Pensavamo che si fosse voltata pagina e, all’improvviso, vengono scoperte fosse comuni di civili, di soldati, nel bel mezzo del XXI secolo. È un risveglio molto doloroso. E dobbiamo anche pensare a tutte le famiglie che non sanno dove si trovi il corpo del loro congiunto. La fossa comune è lo sradicamento della memoria. Ed è anche la perdita della storia individuale della persona: le vittime sono sepolte insieme in una fossa: bambini, donne, uomini. Viene sradicata l’identità. Quando ho visto i corpi tra le strade di Bucha ho pensato che dopo quelle immagini terribili i russi avrebbero seppellito le vittime. Penso che se un giorno Mariupol sarà liberata, la situazione sarà molto più grave.

Fosse comuni scoperte a Izjum (Reuters)

Chi sono le persone massacrate o torturate a Izjum?

Sono persone semplici, come quelle che ho visto per 20 anni in Ucraina. Abbiamo potuto raccogliere la testimonianza di un contadino di 60 anni che viveva in un piccolo borgo con la moglie, in una casa di campagna. Prima di lasciare la città in seguito all’invasione russa, i militari ucraini avevano parcheggiato un veicolo nel suo fienile. Quando i russi sono arrivati – qualcuno lo ha denunciato – questo uomo è stato portato via con un sacco in testa e con le mani legate. È stato rinchiuso in una cella per 49 giorni. Per tre giorni è stato torturato. Mi ha detto che dopo quei tre giorni voleva togliersi la vita perché non riusciva più a sopportare il dolore provocato dalle torture. Alla fine è stato liberato nell’ambito di uno scambio di prigionieri. Quest’uomo parla come la gente semplice, la gente di una zona rurale, la gente che non capisce cosa gli sta succedendo. Sua moglie è una semplice contadina. Mi ha detto che i soldati russi sono arrivati di notte, l’hanno legata e portata via. Non ha voluto dire cosa sia successo quella notte ma si può immaginare. Mi ha colpito constatare che i testimoni di questi crimini parlano apertamente, accettino di dare il loro numero di telefono. Vogliono che sia fatta giustizia.

Si tratta di raccogliere testimonianze…

Sì, per fare in modo che le loro voci vengano ascoltate. Si tratta anche di salvare la memoria di persone che, spesso, sono vittime collaterali. Persone uccise per caso, persone torturate. Abbiamo anche raccolto la testimonianza di un giovane che stava andando in bicicletta da Kharkiv al suo villaggio per consegnare dei libri. È stato fermato per strada e torturato per tre giorni. Doveva negare di essere ucraino e arruolarsi nell’esercito russo. Ma si è rifiutato e poi è riuscito a fuggire. Ha inviato una foto del suo corpo colorato di blu dalla testa ai piedi. Ci svegliamo in un’Europa in cui ci sono stanze di tortura, fosse comuni.

Lo scopo di queste torture è quello di fare in modo che queste persone neghino quanto avviene in Ucraina?

La ragione principale della tortura è quella di “negare l’Ucraina”. Per esempio la moglie di un uomo di 60 anni, che è stato torturato, ha dovuto lasciare il territorio russo per raggiungere il marito. Le è stato detto: “Torna nel tuo Paese marcio” eccetera. C’è davvero la volontà di sradicare la cultura ucraina, la lingua ucraina. Ciò che mi ha sconvolto di più in tutto questo lavoro fatto fin dall’inizio della guerra, è che la propaganda fatta a Mosca funziona. La gente ci crede, gli ucraini continuano a spogliarsi per dimostrare che non hanno tatuaggi nazisti…

La propaganda russa è ancora quella di liberare l’Ucraina dai nazisti…

Questo non mi sorprende più di tanto: tempo fa sono stato relatore a Mosca per una commemorazione della Shoah. Tutti gli altri relatori dicevano che la Polonia era nazista, che la Lituania era nazista, che la Romania era nazista. Pensavo che fossero sciocchezze. Questa visione in Russia di un’Europa nazista è molto precedente a ciò che sta accadendo ora. Non ci siamo resi conto della gravità della situazione.

La tortura è stata pianificata in Ucraina?

Quando si predispone una camera di tortura in un villaggio di 2.000 abitanti, ci si chiede quante ce ne possano essere nei territori occupati… Un contadino ci ha detto che c’erano almeno dieci o quindici celle. La terza volta che è stato torturato, è stato preso a calci sul pavimento perché la stanza delle torture era già occupata. Questo dà un’idea dell’atmosfera in cui queste persone sono state costrette a vivere all’improvviso.

Come dare una lettura spirituale a questo orrore?

Caino continua a uccidere Abele. La tentazione di essere un assassino, a quanto pare, continua a sedurre molte persone. Bisogna insegnare alle persone che la coscienza umana è fragile. Ogni uomo, quando si trova in un mondo in cui diventa lecito uccidere, può diventare un mostro. Non c’è giustificazione per l’uccisione di altre persone, non importa quale sia la causa religiosa o nazionale. Non c’è mai una ragione sufficiente.

Come fate, a livello più personale, voi che lavorate da anni su questi crimini, a mantenere la fede, la speranza?

Nella mia vita personale, la preghiera è estremamente importante. Per me, la frase chiave è: “Chi vuole seguirmi deve rinunciare a se stesso, prendere la sua croce e seguirmi”.

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