Ucraina, il nunzio: così ci facciamo gli auguri, “sia un Natale senza missili”

Vatican News

Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano

Il più grande desiderio – quello che gli ucraini fra loro si dicono e si scrivono per gli auguri – è di vivere un Natale al sicuro. Sanno che è impossibile, perché le bombe continuano a sventrare case e fare morti e la luce che manca in mezzo Paese fa somigliare le città a tante drammatiche Betlemme. Ma nel buio la scintilla della fede c’è e scalda cuori pure nel gelo in molti casi non combattuto dai generatori che non basta per tutti – e gli ucraini sono molto grati per quelli inviati dal Papa attraverso il cardinale Krajewski in queste ore. A intercettare bisogni è sentimenti è il nunzio apostolico in Ucraina, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, che ancora una volta parla a cuore aperto ai media vaticani, nell’intervista di Svitlana Dukhovych.

Eccellenza, con quale spirito si festeggia quest’anno il Natale in Ucraina?

Direi che è stata molto toccante l’espressione usata da Papa Francesco nella lettera agli ucraini, pubblicata il 25 novembre scorso, in cui diceva che come Gesù è nato a Betlemme al freddo, al buio, così quest’anno anche gli ucraini si avvicinano al Natale in modo molto simile. La realtà è proprio questa che per ore e ore, a volte anche per giorni, ci sono senza esagerare milioni, decine di milioni di casa senza luce, senza riscaldamento. Quindi, in questo senso il Natale somiglia alle condizioni di Gesù a Betlemme. Per i credenti, soprattutto per i cristiani, questo è anche un modo di essere uniti spiritualmente alla Sacra Famiglia per come ha vissuto il Natale. Per me personalmente è un’esperienza profonda, perché nel buio, nella difficoltà, si percepisce con maggior forza la luce divina. Quindi, in questa sofferenza il Natale risplende direi ancor più. Ci sono molti problemi logistici, non potremmo viverlo in modo normale. Ma spiritualmente percepisco sia in me la spinta a celebrare il Natale il meglio possibile, sia nelle persone che vedo e che forse negli anni della normalità non cercavano con così grande desiderio le celebrazioni – e qui mi riferisco non soltanto ai cattolici, ma anche alle persone di altre confessioni e religioni. Dunque, direi che ci stiamo avvicinando al Natale con spirito veramente profondo, anche se certamente in mezzo a tanta sofferenza.

Come è la situazione umanitaria a Kiev? Come festeggerete nella nunziatura?

Proprio oggi arriva in nunziatura il cardinale Konrad Krajewski, che ha già trasportato un numero notevole di generatori elettrici e lo ha fatto personalmente, perché questo è il modo più efficace, più veloce di farlo. Ha compiuto diversi viaggi tra Polonia e Ucraina per portare i generatori, in modo che siano distribuiti nelle varie regioni perché la richiesta è immensa. Ho già sentito vari parroci e vescovi che dicono che ormai non trovano più generatori, non soltanto in Polonia e in Ungheria ma anche in altri Paesi più lontani, perché sono stati venduti, oppure donati agli ucraini.

In Nunziatura in questo momento abbiamo la possibilità di avere contatti telefonici, ma non è una certezza: in qualsiasi momento possono essere interrotte le comunicazioni, l’acqua… Il riscaldamento dipende dal rifornimento del gas, ma quando si interrompe il lavoro delle pompe che portano il gas nella città, anche in una grande città come Kiev, si interrompono tutti i servizi. Quindi, non si sa mai in quali condizioni vivremo domani e come saremo nel giorno di Natale, per adesso ci stiamo preparando a stare col minimo possibile. E tuttavia siamo sommersi di tante questioni umanitarie, perché pur non essendo un’organizzazione di solidarietà, ci sono tante informazioni, contatti, situazioni logistiche che ci coinvolgono e ci troviamo sommersi da questo tipo di lavoro. Sarà bello vivere il Natale assieme al cardinale Krajewski, anche condividendo queste esperienze di solidarietà, e vivere il Natale anche con la comunità cattolica di qui.

La festa di Natale è un momento profondo per avvertire la presenza del Signore, anche attraverso la vicinanza reciproca. Secondo Lei, i cristiani in Ucraina e tutta la popolazione in generale percepisce il sostegno della Chiesa nel mondo, di tutta la gente di buona volontà?

La situazione è così difficile che senza l’aiuto di tanta, tanta gente di buona volontà, di tanti Paesi – mi riferisco alla Polonia, la Germania, l’Italia, la Spagna, l’Ungheria, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, i Paesi Baltici e tanti altri paesi – senza questo aiuto non sarebbe fisicamente possibile essere arrivati fino al punto in cui siamo oggi, anzi non si sopravvivrebbe proprio. Quindi, la solidarietà si sente e ho visto che tante persone hanno scritto, hanno chiamato anche dopo aver sentito le parole del Santo Padre una settimana fa che invitavano a celebrare il Natale avendo nel cuore gli ucraini. Quindi, sia da parte del Santo Padre che dalle Chiese, dai vari Paesi, si avverte questa solidarietà. Certo, non è mai sufficiente perché le esigenze sono talmente enormi che è quasi impossibile soddisfarle e dunque da una parte si sente questa grandissima solidarietà, mentre dall’altra non è possibile avere condizioni di sicurezza. Adesso in Ucraina, quando ci inviamo gli auguri per il Natale, ho notato che spesso i sacerdoti e anche altri credenti scrivono sulle cartoline: “Auguriamo un Natale sicuro”. Questo è il nostro primo augurio: un Natale sicuro, un Natale senza missili, senza esplosioni… E un Natale di preghiera in cui c’è la grande solidarietà del mondo e di varie Chiese e c’è allo stesso tempo un senso di solitudine con Dio, perché non è umanamente possibile pensare a un Natale che sia sicuro. Alla fine allora rimaniamo noi con Dio, Colui che ci ha creati e Colui che ci tiene nelle sue mani.

A Natale festeggiamo la nascita del Figlio di Dio, del Principe della pace: com’è possibile aiutare la gente a incontrarlo dove manca la pace, dove c’è distruzione e dolore?

Certamente, è difficile rispondere a nome di tutti perché la percezione varia da persona a persona, ma personalmente ho potuto vedere diversi ragazzi, ragazze, bambini -soprattutto loro – che nonostante la sofferenza vissuta e tuttora presente, conservano uno sguardo di speranza. Quindi per loro il Natale rimane il Natale: dipingono in qualche disegno l’albero, pure se non manca il missile che passa vicino… cioè, c’è l’esperienza traumatica ma il senso del Natale rimane. In altre parole c’è il grande desiderio di vivere il Natale e di percepire la gioia del Gesù, del Figlio di Dio che nasce per noi. Del resto è Lui il nostro grande amico perché se l’umanità non è capace di assicurare il rispetto gli uni con gli altri, che rimane? Solo il Creatore, solo il Figlio Dio, è la luce.

Ieri ha partecipato alla ordinazione episcopale del vescovo ausiliare greco-cattolico di Donetsk, Maksim Ryabukha. Che significato assume questo evento nel contesto della guerra?

La preghiera, la liturgia di consacrazione del vescovo ausiliare dell’Esarcato greco-cattolico di Donetsk è stata, come sottolineato da Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, un momento di luce, di quella luce fragile, la luce cui si riferiva anche Gesù parlando con gli Apostoli: la luce che viene, anche se può darsi che poi non tutti sono pronti ad accoglierla. E comunque la nostra missione, e la missione del nuovo vescovo Maksim, è quella di portare la luce. Lui conosce bene tutta la parte orientale dell’Ucraina, conosce i giovani, ha contatto con le persone e quella è la parte del Paese che ha più bisogno di vicinanza, di un pastore che sia con loro, soprattutto di una persona che porti la luce della fede. È stata una liturgia in cui abbiamo pregato per il nuovo vescovo, augurandogli di compiere questa missione che sembra umanamente impossibile, così come anche la pace sembra impossibile umanamente, ma che chiediamo al Signore.

Quale appello vorrebbe rivolgere a chi si appresta a festeggiare il Natale nel resto del mondo?

Mi viene da dire che non soltanto ieri, durante la liturgia di consacrazione del nuovo vescovo, ma in questi giorni, in queste settimane nasce spontanea la preghiera per i sacerdoti. Con alcuni di loro in Ucraina abbiamo perso il contatto, non sappiamo dove si trovano, in che condizioni stanno. Dunque, nella preghiera sempre viene spontaneo ricordarli, affidare la loro missione al Signore. E poi una preghiera ancora più grande per chi si trova direttamente lungo la linea di guerra, dove la sofferenza è disumana. E qui l’appello che mi nasce dal mio cuore è di avere prima di tutto fiducia nel Signore, per Lui è davvero possibile porre fine alla guerra. Noi sacerdoti, vescovi lo tocchiamo con le nostre mani ogni giorno celebrando l’Eucarestia e quindi abbiamo la possibilità di esprimere, di confidare al Signore questa nostra richiesta. Il mio grande appello è questo: di avere una fede grande, una fiducia grande in Gesù, e per chi non è cristiano avere una fiducia grande in Dio e invocare, invocare, invocare la pace.