Siccità in Somalia, Bertin: la peggiore degli ultimi anni

Vatican News

Giancarlo La Vella e Olivier Bonnel – Città del Vaticano

Una siccità senza precedenti sta colpendo la Somalia. Le temperature record di questo periodo stanno aggravando un problema da sempre esistito nella regione del Corno d’Africa e in altre zone del continente africano ma che ora si presenta con una gravità mai registrata prima. L’allarme è stato lanciato dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) e dal Consiglio norvegese per i rifugiati (Nrc). Dall’inizio dell’anno circa un milione di persone ha lasciato la propria casa. Negli ultimi 40 anni non si era mai registrato un fenomeno di tale entità, che colpisce anche Etiopia e Kenya.

Dopo la siccità, la carestia

La mancanza d’acqua, avverte Mohamed Abdi, direttore di Nrc Somalia, è un problema che va affrontato e risolto con urgenza attraverso aiuti umanitari internazionali. Siccità vuol dire impoverimento dei terreni che rischiano di diventare sterili e, di conseguenza, minore, se non addirittura nulla, produzione di cibo e, quindi carestia. In base alle stime fornite dalle due organizzazioni, il numero di persone in situazione di insicurezza alimentare estrema aumenterà da circa 5 milioni ad oltre 7 milioni nei prossimi mesi. Uno scenario esacerbato dagli effetti del cambiamento climatico e dall’aumento dei prezzi alimentari dovuto al conflitto in Ucraina.

Anche la Chiesa è mobilitata

La gravità della situazione somala viene confermata, nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News, da monsignor Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio e vescovo di Gibuti. Il presule sottolinea come a rendere difficili gli interventi contribuisca anche la situazione politica della Somalia: un governo debole e diverse parti del Paese nelle mani di gruppi armati, come i famigerati Al-Shabaab.

Monsignor Bertin, in Somalia, la siccità ha spinto un milione di persone a fuggire dalle loro terre, che cosa ci può raccontare su questa grave emergenza?

La situazione della siccità in Somalia è veramente grave, si dice che forse sia una delle peggiori degli ultimi 40 anni. Io che sono lì da ancora più tempo ho già visto quello che è successo nel 1991-92 e poi di nuovo nel 2011, e quindi non lo so se sia più grave di quelle due crisi precendenti, ma in questo momento la situazione appare molto difficile, appunto perché continua l’insicurezza, le istituzioni statali sono deboli, anche se sono in qualche modo rinate, ma l’entroterra, le zone rurali, sono in gran parte in mano agli Al Shabaab, ed è dunque difficile raggiungere in loco le persone più direttamente colpite dalla mancanza d’acqua. Ecco allora il motivo di tutti questi sfollati interni, che cercano di spostarsi nelle grandi città, come a sud-ovest, ad esempio a  Baidoa oppure nella capitale stessa, Mogadiscio, o altrove.

Le istituzioni locali si stanno muovendo per far fronte all’emergenza?

Giusto una settimana fa abbiamo incontrato, insieme al nunzio che si è aggiunto a noi, il presidente del Parlamento somalo, il quale ha assicurato che si sta interessando della sua regione di origine che è il Bakool, con Oddur che è la capitale. Si tratta di una zona nel sud ovest della Somalia, una delle regioni più colpite dalla siccità, dove la gente è semi-stanziale: vive un po’ di agricoltura e un po’ di nomadismo. Ma se non piove è chiaro che la situazione resta gravemente drammatica. Successivamente abbiamo incontrato l’incaricato speciale, nominato dal nuovo presidente proprio per trovare soluzioni al problema della siccità e della carestia. Con lui, abbiamo discusso di eventuali progetti. Ha insistito che noi dobbiamo essere presenti anche fisicamente a Mogadiscio: ma, a mio avviso, non è assolutamente necessaria una presenza continua, anche perché è costosa e non ci si può muovere facilmente vista l’insicurezza.

Quali interventi possono essere realizzati nell’immediato?

Si potrebbe agire, come negli ultimi anni, attraverso organizzazioni locali già intervenute ad aprile scorso alla periferia di Mogadiscio e adesso abbiamo già individuato, almeno tre località dove operare. Faremo prossimamente un appello alla comunità internazionale, attraverso Caritas internationalis, ma nel frattempo io ho detto di privilegiare anche il rapporto reciproco tra noi, Caritas Somalia, e Caritas Italia, perché sappiamo che la Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, ha messo a disposizione una certa somma di denaro, non solo per la Somalia, ma anche per il resto dell’Africa, allo scopo di esprimere vicinanza e dare una risposta anche da parte della nostra Chiesa a questa situazione drammatica. Al nunzio ho raccomandato di informare la Santa Sede e direttamente il Santo Padre, affinché l’attenzione su questa parte di mondo non si affievolisca.