Si accende nell’Est asiatico un grande motore economico

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Un’area di cooperazione economica di 2,2 miliardi di persone che producono il 30 per cento del Pil e il 27,4 per cento del commercio globali: è entrato in vigore dal primo gennaio 2022 il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), l’accordo economico-commerciale tra i 10 Paesi dell’ASEAN più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, firmato il 15 novembre scorso, dopo oltre otto anni di negoziati. L’accordo segna l’avvio del blocco commerciale e di investimento più grande al mondo, dunque nuove prospettive per lo sviluppo economico della regione, di cui promuove l’integrazione. Pechino suggeriva da tempo questa direzione confermata anche dalla crescita senza sosta, nonostante la pandemia, del commercio tra Cina e Paesi ASEAN: ad agosto 2020 ha raggiunto i 430 miliardi di dollari, in crescita del 7 per cento rispetto all’anno precedente. L’ASEAN ha così sorpassato l’UE come primo partner commerciale di Pechino.  

Vantaggi immediati

Si tratta di un accordo che sfrutta la complementarietà produttiva tra i Paesi membri e in questo senso  amplia le opportunità per tutti. Stati come Giappone e Corea riusciranno a costruire più facilmente catene del valore regionali e i membri ASEAN  diventeranno sempre più  destinatari degli investimenti sudcoreani e nipponici. Delle implicazioni e degli effetti ma anche dei distinguo da fare rispetto al concetto di mercato unico europeo, abbiamo parlato con Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea all’Università Bocconi:

Ascolta l’intervista con Carlo Altomonte

Implicazioni geopolitiche

Il professor Altomonte mette in luce innanzitutto un dato: Paesi come il Giappone, la Corea e la Cina che storicamente si sono ritrovati contrapposti su vari piani ora si ritrovano in un processo significativo di integrazione. Da questo punto di vista è un successo per le logiche del dialogo. L’accordo si presenta in grado di rivoluzionare la geopolitica della regione e i rapporti tra gli Stati dell’Est asiatico. La maggiore influenza commerciale, finanziaria e di investimenti della Cina nella regione attraverso l’accordo potrebbe incrementare il peso politico di Pechino nell’area e di conseguenza come commentano alcuni analisti, segnare una perdita di peso strategico nell’area degli Stati Uniti. In particolare, per quanto riguarda Pechino si parla di tecnologie d’avanguardia, tra cui la telefonia mobile, l’intelligenza artificiale,  e i sistemi di sorveglianza, il sistema di posizionamento globale e di navigazione Beidou, lanciato di recente come concorrente del GPS statunitense. Il blocco potrebbe divenire ancora più importante qualora l’India, ritiratasi dalle negoziazioni nel 2019, decidesse di aderirvi in futuro.

Settori strategici

Il gruppo dei Paesi membri copre il 50 per cento della produzione manifatturiera globale, il 50 per cento della produzione automobilistica e il 70 per cento di quella elettronica. Sono questi dunque – ricorda Altomonte – i settori maggiormente interessati. Proprio la preminenza di Pechino in questo accordo potrebbe ulteriormente favorire i progetti infrastrutturali, energetici, di trasporto, digitali nella regione finanziati dalla Cina anche prima. Il RCEP eliminerà tra l’85 e il 90 per cento delle tariffe al commercio interne alla nuova area; tuttavia, l’agricoltura resta assente dall’intesa, così come un’inclusione limitata spetta al settore dei servizi.

Non è un mercato unico all’europea

Altomonte chiarisce che l’accordo introduce il libero scambio di beni ma non prevede quello di persone o capitali e anche in tema di  servizi si pongono molti limiti. Sta proprio qui la prima grande differenza rispetto al Mercato unico europeo.  Per quanto riguarda i beni, però, si parla – sottolinea Altomonte – di cifre considerevoli. L’area attualmente attrae il 24 per cento degli investimenti diretti esteri ed è la più dinamica a livello internazionale. Si stima che l’accordo possa incrementare il Pil mondiale di 209 miliardi di dollari al 2030 e il commercio internazionale di 500 miliardi entro la stessa data. Nella regione l’impatto stimato secondo l’UNCTAD è una crescita del Pil dello 0,2 per cento al 2030 e una crescita delle esportazioni del 10 per cento entro il 2025.  

Più regole che standard comuni

Pochi i passi avanti – spiega ancora Altomonte – nella definizione di standard comuni per i prodotti e nessun progresso registrato sulla tutela del lavoro, dell’ambiente, e sulla regolamentazione delle imprese. La ragione è da ricercare soprattutto nella grande diversificazione delle economie dei Paesi che sono parte dell’accordo, attualmente in fasi differenti del proprio sviluppo. Il RCEP creerà regole comuni sull’origine dei prodotti nell’area, in modo tale che i certificati d’origine emessi in un Paese membro siano validi in tutta la regione, riducendo in tal modo i costi di spedizione e transazione interni. L’importanza del RCEP deriva inoltre dal riunire in un unico strumento questioni prima sovrapposte e trattate in tanti differenti accordi tra i Paesi dell’area.

La globalizzazione si fa regionale

L’economista Altomonte mette in luce infine una tendenza importante: il RCEP – sottolinea – è un primo passo verso quella regionalizzazione degli scambi che era già entrata nei dibattiti internazionali. L’Asia, più di altre aree del mondo, ha un ricco tessuto di organizzazioni regionali su cui appoggiarsi, che facilita uno spostamento in questa direzione, ma in ogni caso il trend sembra globale. Non a caso, è stato all’interno del summit autunnale dell’ASEAN che l’accordo ha trovato la sua risoluzione, confermando l’importanza strategica di questa organizzazione regionale e la crescente rilevanza economica dell’area.  Altomonte da studioso intravede a questo punto il delinearsi di tre grandi aree macroregionali, tra Asia, Americhe, Europa.