Chiesa Cattolica – Italiana

Schönborn: nella Chiesa più compassione e senso di comunità

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Il cardinale e arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ha partecipato a numerosi Sinodi lodando, nelle ultime indizioni, il metodo sempre più favorevole ad una dimensione profonda e prolungata di ascolto delle voci nella Chiesa. E’ ciò che esprime anche all’inizio del percorso inaugurato domenica scorsa con la Santa Messa in San Pietro presieduta dal Papa. Così risponde ai nostri microfoni:

Ascolta l’intervista al cardinale Schönborn

Aprendo il percorso sinodale, Papa Francesco, citando padre Yves Congar, ha detto che non bisogna fare un’altra Chiesa ma una “Chiesa diversa”. In che cosa, eminenza, la Chiesa deve essere diversa?

Più ascolto, non per tacere ma per sentire di più ciò che il popolo di Dio, anzitutto le persone che sono nella sofferenza, vivono. Ascoltare ciò che Dio ci dice attraverso la situazione di tante persone. Un appello a ciò che è al cuore della Chiesa: la compassione. Avete qui a Roma bellissime testimonianze di questo spirito di compassione, di presenza, di vicinanza. Sono queste le cose che, penso, il Papa intende dicendo “non un’altra Chiesa ma una Chiesa diversa”.

Il cardinale Schönborn negli studi di Radio Vaticana – Vatican News

A quali esperienze fa riferimento, in particolare?

Per esempio, la Comunità di Sant’Egidio è un bell’esempio già da tanti anni, poi c’è Chiara Amirante… bellissimo questo gruppo intorno a lei! Sono segni di una Chiesa diversa, che vive la vicinanza. E’ ciò che vediamo in Gesù quando incontra la vedova che ha perso l’unico figlio: il Vangelo dice che “era commosso di compassione”. Partecipare alla sofferenza degli altri è la cosa più elementare dell’uomo. Questa capacità, Gesù ha voluto che fosse il sigillo della Chiesa.

La fase di consultazione del popolo di Dio che valore aggiunto dà a questo Sinodo?

In tutti i Sinodi c’è stata una consultazione. Il Santo Padre vuole che questo ascolto, chiamiamolo meglio così, sia allargato al di là delle nostre comunità, a volte abbastanza chiuse. O, diciamo, fosse vissuto l’ascolto di coloro che non condividono la nostra fede ma che vivono spesso le virtù del Vangelo, i valori del Vangelo. Molti si chiedono: cosa fare poi di questo ascolto? Penso che il Papa non voglia programmi di azione. Ne abbiamo tanti, sono una cosa buona… la Caritas che opera in tutto il mondo. Ottimo. Ma c’è una dimensione ulteriore che fa comunità, che fa comunione, partecipazione, ascolto. Comunione è condividere: da questo nasce un concetto di missione che non è proselitismo ma attrazione, come diceva Papa Benedetto. La Chiesa non cresce con il proselitismo ma con l’attrazione. Quella attrazione della quale, come dice il profeta: quando i pagani verranno, diranno: Dio è tra di voi.

Secondo lei possiamo considerare questo Sinodo l’occasione per compiere fino in fondo ciò che ancora manca alla piena attuazione del Concilio Vaticano II?

Assolutamente. L’accoglienza di un Concilio ecumenico è sempre una cosa lunga. Si consideri il primo grande Concilio ecumenico di Nicea. Celebreremo il Gubileo nel 2025: per tre, quattro secoli la Chiesa ha dovuto digerire, assimilare questa grande apertura di finestra sull’infinito, sul mistero di Dio. Il Concilio di Trento: ci sono voluti trecento anni in certe diocesi, a Vienna 250 anni per la messa in pratica. E ogni grande concilio è un ‘uragano’ dello Spirito Santo ma ha bisogno di tempo e Papa Francesco, come già Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, hanno avuto sempre questa intuizione del ‘popolo di Dio’. Tutti siamo popolo di Dio e presenza di Dio nel mondo. E per questo l’importanza della preghiera – Papa Francesco lo ha ribadito al Consiglio del Sinodo – l’ascolto interiore di ciò che lo Spirito Santo ci dice.

Eminenza, abbiamo in sostanza parlato di una Chiesa ‘senza muri’, in conclusione vorrei con lei toccare un tema che ha a che fare con altri muri. Dodici Paesi europei hanno chiesto alla presidenza Ue di erigere nuovi strumenti per proteggere le frontiere esterne di fronte ai flussi migratori, anche finanziando la costruzione di muri. Lei come commenta questa richiesta? E’ preoccupato?

Ho una visione storica molto realistica: mai hanno funzionato! I muri – vedi i limes dell’Impero Romano, vedi le Mura aureliane di Roma – non hanno impedito l’arrivo dei cosiddetti ‘barbari’. Così anche per la grande muraglia cinese. Tutti questi sforzi si comprendono, c’è paura, c’è pericolo, vero pericolo, sì, non dobbiamo dimenticarlo, ma ci sono altri cammini. L’Europa è ricca, l’Europa può fare molto di più per aiutare i Paesi poveri affinché la gente non debba più lasciare il proprio Paese. Il Papa l’ha detto tante volte… Il mercato delle armi europeo, americano, russo, cinese produce “fiumi” di migrazione. Non meravigliamoci che vengano se noi vendiamo le armi, se facciamo la politica dello sfruttamento dei Paesi poveri, se non lottiamo contro la corruzione in questi Paesi per aiutare la gente a poter vivere. Sono stato in Siria, recentemente. Ho visto innanzitutto i cristiani, tanti giovani ho sentito dire: ‘noi vogliamo partire perché qui non c’è futuro’. Ma perché non c’è futuro? Perché i grandi poteri non fanno la pace. Hanno armato le milizie, sono qui con le loro armi, invece di fare la pace e di permettere alla gente di vivere e forse anche di tornare nel loro Paese. Allora, come meravigliarsi che vengano i profughi e qual è il nostro ruolo nella “produzione” dei profughi?

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