Chiesa Cattolica – Italiana

Salvatore e Maria Cristina, mano nella mano contro la Sla

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

“Ultimo stadio”. Le parole pesano, a volte sono sassi che appesantiscono la vita, a volte sono palloncini che fanno volare. Queste sono macigni ma come scrive Salvatore Mazza, vaticanista di Avvenire, “non significa che muoio domani”. “Domani”: altra parola piena di orizzonti e prospettive per cui è vietato arrendersi anche se la patologia che lo ha imprigionato, è degenerativa. Nel suo articolo, scritto in occasione della Giornata Mondiale sulla Sla, confessa che gli viene “un po’ da piangere” perché “ostaggi – noi e le nostre famiglie – di una burocrazia capace di essere assassina, tanto è capace di essere esasperante con le sue lentezze, i rinvii continui, i ‘vedremo’ e i ‘provvederemo quanto prima’. Una burocrazia che non sa, o finge di non sapere, che noi malati di Sla non abbiamo tempo di aspettare, che la degenerazione di questa malattia è talmente rapida che tra una settimana quello che ti ho chiesto oggi potrebbe già non servirmi più”.

Ancora parole dure e vere che Salvatore continua ad usare in un filo ininterrotto con il pubblico fedele del suo giornale ma anche sui social, dove l’affetto si manifesta con un pollice in su o con un “condividi” che propaga i pensieri. Nelle due rubriche che cura, si trova lucidità di fronte ad una realtà spietata, uno sguardo che va oltre e che non si è incattivito come spesso, nel dolore, accade.

Salvatore Mazza, il primo a sinistra, in una conferenza alla Radio Vaticana

La bellezza del fiordaliso

Nel 2017 la diagnosi di Sla. “Tre lettere – ha scritto tempo fa – che per tanto tempo avevo temuto, sono diventate parte della mia vita”. Oggi si ricorda la Giornata Mondiale sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica, il simbolo scelto è quello di un fiordaliso, un fiore raro. Il motto della giornata, a cui è associato un hashtag da postare sui social (#ALSMNDwithoutborders), riassume il concetto che la malattia non può e non deve rappresentare una barriera. La malattia neurodegenerativa ha ad oggi un’incidenza di circa 1-3 casi ogni 100mila abitanti all’anno e al momento non esistono cure.

Una famiglia Sla

“Chiedo a Salvatore se puoi prendere una sua foto dal profilo Facebook”. Si chiude così la telefonata con Maria Cristina Mazza, sua moglie, voce da ragazzina e spirito battagliero. “Gli chiedo sempre le cose, come ho fatto per tutta la nostra vita insieme, 35 anni di matrimonio e cinque di fidanzamento”. La malattia irrompe e cambia la storia di Salvatore in modo radicale ma anche quella della sua famiglia, delle figlie che l’assistono e di sua sorella che offre aiuto. “Certamente più il tempo passa – afferma Maria Cristina – più la situazione si aggrava” soprattutto dopo la tracheostomia fatta a marzo, “siamo ora una famiglia Sla”.

Ascolta l’intervista a Maria Cristina Mazza

“Io non sono la Sla”

Salvatore, sempre a letto e con un respiratore attaccato 24 ore su 24, continua a lavorare, scrive con tempi più lunghi, animato dalla passione per il giornalismo che ha segnato tutta la sua vita: “Una spinta enorme a resistere”. Sente l’affetto di chi lo legge, dei malati con cui è entrato in contatto. “Caratterialmente non è una persona incline alla depressione – racconta la moglie – è una persona estremamente centrata e lo è sempre stata. La malattia non lo ha cambiato, ha anche accettato la propria disabilità, non dico con facilità e con leggerezza ma come un percorso di vita e poi il riscontro con gli altri fa davvero la differenza”. Maria Cristina confessa che Salvatore è un uomo di fede, che ha continuato a fare quello che la malattia gli ha consentito di fare ma certo, come ha più volte sottolineato, lui non è la sua malattia, non è la Sla. “Un uomo fisicamente sconfitto ma resta l’uomo che ho sposato”.

Fare con serenità il nostro pezzo di strada

L’articolo scritto da Salvatore sulle lentezze della burocrazia è pienamente condiviso da Maria Cristina che da tempo chiede un’assistenza notturna per il marito, un’assistenza che lei vorrebbe in sicurezza perché non è un’operatrice specializzata anche se ha imparato molto i questi cinque anni come le sue figlie, come sua cognata. “È tutto molto mortificante perché le pratiche da operare su Salvatore fanno la differenza tra il vivere e il morire”. Maria Cristina confessa di essere stanca, di non dormire la notte ma nemmeno di giorno perché ha una casa da seguire, una famiglia e perché è mamma. Vive costantemente con l’ansia. “Le posso dire una cosa?”, chiede, “mi manca non poter fare solo la moglie in un momento della nostra vita insieme, di non poter essere solo la mamma delle ragazze che sono grandi ma sono figlie. Questa è una vita schizofrenica e ingiusta. Vorrei vivere questo pezzo di vita che stiamo facendo, e che sappiamo purtroppo dove porterà, con una serenità famigliare”. La Sla toglie la voce, azzera le forze, offre qualcosa ad un matrimonio? Maria Cristina ci pensa e risponde che nulla è cambiato. “Non ha cambiato il nostro percorso insieme. Lo ha reso di una fatica invereconda ma non per problemi tra noi. Il matrimonio è un lavoro ma c’è di fondo la serenità di una scelta fatta, un capirsi comunque. Si tratta di affrontare l’ennesima difficoltà insieme, come abbiamo sempre fatto. Noi siamo sempre gli stessi, magari molto arrabbiati e addolorati ma sempre gli stessi”. Eccolo il senso di un vero “per sempre”.

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