Rapporto Italiani nel mondo. L’intervento di Mons. Russo

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Pubblichiamo l’intervento pronunciato da Mons. Stefano Russo, Segretario generale della CEI, in occasione della presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo 2021 della Fondazione Migrantes, che si tiene il 9 novembre a Roma. Giunto alla XVI edizione, il progetto ha coinvolto diversi autori, misurandosi con la crisi pandemica che ha riguardato anche la mobilità degli italiani e la vita dei nostri connazionali residenti all’estero.

A tutte voi e a tutti voi un caloroso benvenuto a questo appuntamento tornato quest’anno in presenza. Saluto tutti coloro che ci stanno seguendo attraverso il canale Youtube e la pagina Facebook della Conferenza Episcopale Italiana dalle altre parti di Italia e del mondo. Saluto chi non è potuto essere con noi presente in questa sala e ha deciso di farlo attraverso gli strumenti messi a nostro servizio dalla tecnologia che mai come in questi ultimi tempi è venuta in nostro soccorso. Ho già avuto modo di constatare quanto questo appuntamento sia molto atteso e partecipato in Italia e all’estero. Lo dimostra la presenza qui con noi in questa sala di tante personalità del mondo politico, istituzionale, ecclesiale, accademico-culturale: grazie per aver scelto di esserci!
Già in anni passati ho avuto modo di sentire l’affetto che viene manifestato intorno al Rapporto Italiani nel Mondo che è molto più di un annuario. È un diario nel quale, anno dopo anno, raccontiamo noi stessi, chi siamo, chi avremmo voluto essere, come siamo cambiati e cosa abbiamo costruito o cancellato, per volontà o incuria, in Italia e all’estero.
Oggi in questa sala gremita da tanti italiani venuti da lontano, il senso di questa narrazione si fa intenso e concreto restituendo voce a un’Italia che cresce lontana, ma profondamente legata al nostro territorio, un’Italia che ha vissuto il dramma della pandemia affrontando una doppia emergenza, sanitaria e sociale.
La distanza non ha mai fatto bene a nessuno, ma l’Italia è da sempre terra di migranti; Stato strutturalmente in mobilità, si legge nel volume, a significare come il nostro popolo sia da sempre in movimento, un movimento che pare non sia riuscito a fermare neanche il coronavirus.
Lo sentiremo e lo leggeremo in queste pagine, ma prima di entrare nel merito dei contenuti vorrei richiamare brevemente tre questioni.

  1. La necessità di ricominciare dalla cultura e dalla educazione dopo la pandemia

In più parti del Rapporto Migrantes, oggi presentato, leggerete che l’Italia da tempo ormai sta attraversando un momento demograficamente e socialmente difficile. Ci sono tanti dati statistici che supportano questa triste situazione. Viene chiamato inverno demografico ed è una condizione che attanaglia tutti i territori e che diventa poi nel tempo desertificazione e spopolamento, diventa partenza e praticamente mai ritorno. Sono passate poche settimane dalla 49ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che ci ha dato l’opportunità di dimorare per alcuni giorni in una bellissima terra, la Puglia, molto segnata dai processi migratori come il resto della Penisola. Tuttavia, la permanenza in quella terra mi ha fatto comprendere come i processi di mobilità siano particolarmente bisognosi di analisi ad hoc e di studiosi esperti e specializzati sul tema, competenti di storia e di attualità, di numeri e di vissuto, di economia e di politica, di bisogni e di opportunità. Non c’è materia più complessa della mobilità e non c’è persona più articolata del migrante che in sé racchiude identità molteplici e un bagaglio culturale fatto della somma di ogni singolo incontro che fa durante il suo cammino.
Testimoniare quanto la mobilità sia parte indiscussa della storia e dell’attualità del nostro Paese e farlo, oggi, nell’epoca della glocalizzazione dove il globale richiama il locale e il locale si nutre del globale diventa reinterpretare la quotidianità in una chiave nuova che renda protagonisti sicuramente i territori ma soprattutto chi del territorio è espressione, la persona nella sua interezza fatta di cultura, storia, tradizioni, lingua madre, lingue acquisite e fede.
Nel suo primo discorso al Consiglio comunale di Firenze, il neoeletto sindaco Giorgio La Pira disse che uno degli obiettivi della Giunta comunale era “dare allo spirito dell’uomo quiete, poesia, bellezza”. Sfogliando questa annualità del Rapporto Italiani nel Mondo – curato da ben 75 autori che hanno lavorato a questa edizione, insieme, dall’Italia e soprattutto dall’estero con una guida, una caporedattrice – ho pensato a questo terzo compito richiamato da La Pira nel lontano 1951. “Dare allo spirito dell’uomo quiete, poesia, bellezza”, dicevo. Questa bellezza, questa serenità non si raggiungono senza un’operosità continua e volta al benessere comune. Il Rapporto ce lo ricorda molto bene nell’Introduzione: la lezione del coronavirus è stata capire che l’egoismo non porta da nessuna parte, che “non ci si salva da soli” ci ha ricordato Papa Francesco in questi mesi, che l’altruismo è la chiave di volta della nostra società in questa epoca. L’obbligo a isolarci ha generato in molti il desiderio di tornare a stare insieme, ma il tempo trascorso con gli altri deve essere un tempo costruttivo in cui produrre benessere comune.

  1. La Chiesa e l’impegno con gli italiani in mobilità dopo la pandemia

Mi piace anche ricordare in questa circostanza che il tempo che stiamo vivendo come Chiesa in Italia, insieme alla Chiesa universale, è profondamente caratterizzato dal Cammino sinodale, da un camminare insieme (è il significato del termine “sinodalità”). C’è un richiamo diretto alla mobilità, all’idea del movimento, non disordinato e confuso, ma orientato, accompagnato.
È il ruolo che la Chiesa (universale) ha da sempre nei riguardi dei migranti e che la comunità cattolica in Italia ha avuto ed ha in particolare nei riguardi dei suoi figli sparsi nel mondo, che hanno esportato con la loro migrazione non solo l’italianità all’estero, intesa come peculiarità, piglio che la contraddistingue in ogni luogo del Pianeta, ma anche uno stile di fede concretamente vissuto, che è fatto di pratica e di sentimento.
Viviamo in un cambiamento d’epoca, è certo, ma il destino migrante dell’uomo resta. La pandemia ha posto in crisi la stessa Chiesa e le ha imposto di cambiare, di adattarsi a nuove esigenze e nuove richieste. La Chiesa oggi si interroga su quale sia il ruolo delle comunità. Dal pomeriggio inizierà il convegno della Fondazione Migrantes proprio su questo tema, su quale sia il ruolo delle Missioni Cattoliche di Lingua Italiana nell’Europa di oggi, cosa significa evangelizzare e come testimoniare la fede come Chiesa di lingua italiana non in Italia ma in ogni Paese del mondo.
È un distinguo fondamentale perché parte dal principio che la Chiesa è una e che ciascuno ha il diritto di essere e di esprimere la propria fede, oltre che se stesso, in ogni luogo del mondo in cui i processi di mobilità lo abbiano portato. Questo si lega a qualunque persona ed è un bene per la mobilità umana tutta.
La Chiesa in Italia ha in questo momento una priorità che è allo stesso tempo una preoccupazione pastorale: le nuove emigrazioni giovanili. Lo sentiremo tra poco: gli italiani emigrano oggi massicciamente e i giovani sono i protagonisti principali. Cosa siamo chiamati a fare per i tanti fedeli di lingua italiana che arrivano all’estero oggi spinti dalla necessità di trovare una realizzazione personale e lavorativa? Non basta la sola assistenza morale e spirituale. La Chiesa deve essere compagna di vita per ciascuno di loro, la parrocchia una casa. Uno degli ambiti imprescindibili consiste in una autentica formazione al fine di vivere nella verità e nella carità che porti all’amore e alla cura dell’altro, profondo compito di spirito cristiano e sociale.
La pandemia ce lo ha insegnato. Le necessità cambiano velocemente col mutare delle condizioni di vita e anche le espressioni di fede mutano, rifacendosi e adattandosi ai tempi di oggi sicuramente maggiormente digitalizzati a seguito della pandemia.
C’è un’altra Italia che non va dimenticata, della quale dobbiamo sentirci responsabili tutti, la Chiesa in Italia ma non solo. Mi riferisco agli italiani che sono all’estero da più tempo, magari in età avanzata e di quelle generazioni nate e/o cresciute all’estero ma che continuano ad avere legami profondi con il nostro Paese. Parlo delle comunità di lingua italiana più strutturate, da tempo ormai insediate in territori fuori dei confini italiani, ma che sentono forte la necessità di rinvigorire i legami rinnovando sentimenti di amicizia e affetto reciproci.
La fede non elimina i dubbi, cambia l’atteggiamento rispetto alle difficoltà, fa andare avanti nonostante le contrarietà e i mille ostacoli. Dobbiamo lavorare per una Chiesa sinodale, preparata all’incontro, ma anche al transito del migrante perché solo una parte resta nel primo luogo raggiunto con il percorso di mobilità, molti altri continuano nella loro “ricerca della felicità”.
Per questo sono particolarmente grato a coloro che, su invito della Fondazione Migrantes, sono venuti a Roma per partecipare al Convegno Europeo che prenderà l’avvio nel pomeriggio. Vi attendono giornate intense di lavoro dedicate proprio alla rilettura del senso e dell’operato delle Missioni Cattoliche di lingua italiana alla luce dei cambiamenti accorsi alla mobilità umana da una parte e ai migranti italiani di oggi dall’altra, sicuramente migranti diversi da quelli di un tempo, più consapevoli forse del processo migratorio, più preparati alla mobilità, spesso di origine non italiana, giovani e meno giovani e con un vissuto anche di fede dal quale traspare questa maggiore consapevolezza.

  1. La Chiesa e il dialogo con le Istituzioni

Anche quest’anno la presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo è occasione di incontro, dialogo e confronto anche con le istituzioni. Per noi è un impegno a essere pienamente in dialogo con le istituzioni, nazionali, europee e internazionali, per il benessere comune precedentemente richiamato. Non sono parole pronunciate per l’occasione, ma uno stile sul quale desidero porre l’accento perché sempre vi sia, nella politica come nell’accompagnamento spirituale, il riconoscimento del primato della persona sulle strutture. Un riconoscimento che si deve tradurre in agire istituzionale, in linguaggio inclusivo e non divisivo, in capacità di comunicare dando alle parole il peso che meritano. Una responsabilità politica, dunque, che richiama quell’essere “liberi e forti” di sturziana memoria per andare “contro corrente e farsi difensori coraggiosi della dignità umana in ogni momento dell’esistenza: dalla maternità al lavoro, dalla scuola alla cura dei migranti”.
La persona al centro del pensiero e del nostro agire sempre. È questo il bell’insegnamento che traggo da questo volume. Nonostante la pandemia, le emergenze inaspettate e le nuove sofferenze, viene sempre valorizzata la persona, in questo specifico caso, italiane e italiani in mobilità. Si viene conquistati dalle storie protagoniste di queste pagine. Giovani, anziani, famiglie, chi è partito nonostante il Covid, chi è tornato, chi ha deciso di partire dopo. Chi oggi ancora chiede di poter riabbracciare i propri cari perché non può entrare in alcuni territori, chi dall’estero non riesce a far ritorno in patria.
Camminare insieme significa anche farsi carico dei desideri e delle richieste dell’altro. Prendersi cura dell’uomo e della donna non è solo un principio cristiano, è anche un principio politico e laico quindi ogni uomo, e donna devono sentirsi convocati dall’umanità ferita. È essere prossimi agli altri che ci fa crescere e andare avanti. Serve questo oggi per non sprecare il tempo vissuto.

Buon ascolto a noi tutti.