Rapporto Caritas sui conflitti dimenticati: 22 guerre ad alta intensità

Vatican News

Marco Guerra – Città del Vaticano

L’impatto della pandemia sui più deboli e le crisi sociali; la connessione tra conflitti e diseguaglianze; le politiche di lotta alla povertà e di contenimento degli armamenti per la risoluzione delle guerre e il ruolo di una corretta informazione che renda consapevole l’opinione pubblica. Questi i temi approfonditi nella settima ricerca di Caritas Italiana sui conflitti dimenticati presentata oggi a Roma.

Conflitti nell’era del Covid

Il rapporto dal titolo “Falsi equilibri” si concentra sul legame tra guerre e diseguaglianze, nel mutato contesto internazionale, segnato in modo rilevante dall’emergenza sanitaria del Covid-19. La prima parte del testo offre uno spaccato dei fenomeni e delle tendenze in atto, con particolare riferimento allo scenario geopolitico dello scacchiere internazionale, allo spazio che trovano le guerre e le disuguaglianze nel diritto internazionale, a come l’intervento umanitario si trova ad agire in uno scenario di guerra caratterizzato da profonde disuguaglianze.

Aumentano guerre ad alta intensità

In particolare emerge che nel 2020 erano 21 le guerre ad alta intensità nel mondo, sei in più rispetto all’anno precedente, quando erano 15. Tra le più gravi lo Yemen, la Siria, il Sud Sudan. Con il conflitto nella regione etiopica del Tigray salgono a 22 nel 2021. Comprendendo tutte le crisi e escalation violente si calcolano 359 conflitti nel 2020, solo uno in più rispetto al 2019. Allarma poi l’aumento delle persone che hanno bisogno di aiuti umanitari, il 40% in più tra 2020 e 2021, pari a 235 milioni di persone coinvolte. Inoltre sono più che raddoppiati in 10 anni i rifugiati e gli sfollati, raggiungendo la cifra record di 82,4 milioni. Invece, come dato aggregato, la violenza politica su scala globale ha fatto registrare un minor numero di eventi violenti ma se si guarda ai singoli Paesi si osserva un aumento dei livelli di violenza nella metà degli Stati messi sotto la lente delle ricerche internazionali. Significativo è anche come, nonostante il crescente protagonismo di attori non-statali (milizie, paramilitari, bande armate, compagnie militari private ecc.), la maggior parte della violenza globale (52%) resta ascrivibile a forze statali.

Il ruolo delle diseguaglianze

L’edizione 2021 del Rapporto pone la diseguaglianza come aspetto trasversale. attraverso cui leggere in filigrana le tante situazioni di violenza organizzata e di conflitto armato che segnano il nostro pianeta. “In effetti – si legge nel rapporto -, sono proprio gli squilibri e le asimmetrie sociali, economiche, di status, di accesso alle risorse, di esigibilità dei diritti, che spiegano la genesi di molte forme di conflitto. Al tempo stesso, la guerra produce conseguenze anch’esse diseguali, contribuendo a peggiorare le condizioni di chi si trovava già prima del conflitto in situazione di vulnerabilità”.

La ricerca demoscopica

La seconda parte del volume descrive i principali risultati di una serie di rilevazioni sul campo. Vengono forniti risultati di un sondaggio demoscopico, realizzato in Italia dall’Istituto Demopolis, relativo alla conoscenza dei conflitti, dal quale emerge che solo un giovane su due è in grado di citare una guerra. Il dato tiene conto di rilevazioni a campione sulla popolazione italiana, nelle scuole superiori, e tra i giovani di Azione Cattolica, questi ultimi hanno fatto registrare un livello di maggiore competenza e consapevolezza della crisi e delle dinamiche internazionali. Ad ogni modo, i conflitti maggiormente citati dagli studenti sono quelli dell’Afghanistan e della Siria.

Beccegato (Caritas): 75 mln di persone senza assistenza

“Nel 2020 i conflitti violenti sono aumentati del 12%, si segnala poi un incremento del 40% di coloro che hanno bisogno di aiuti umanitari e negli ultimi 10 anni è aumentato il numero rifugiati che scappano dalle guerre. Preoccupa il fatto che le Nazioni Unite, la comunità internazionale e l’Ue hanno dichiarato di non riuscire a raggiungere più di 165 milioni che hanno bisogno di aiuto umanitario, ma il totale della popolazione che necessità questi interventi è di 235 milioni, quindi 75 milioni persone restano scoperte dagli aiuti istituzionali”, spiega a VaticanNews Paolo Beccegato vicedirettore e responsabile dell’area internazionale di Caritas italiana.

Ascolta l’intervista a Paolo Beccegato

Povertà e guerra intimamente connesse

Beccato è anche tra gli autori del rapporto e riferisce quindi che il titolo ‘Falsi equilibri’ è stato scelto per mettere l’accento su quelle società che si reggono su diseguaglianze instabili, fra queste cita la crisi ucraina, del Venezuela e del Sud Sudan, “situazioni che possono sfociare in vere e proprie guerre”.  “Nella ricerca – prosegue – c’è una classificazione dei conflitti; le guerre civili sono raddoppiate negli ultimi 20 anni. Molti indicatori mettono in relazione diseguaglianze, cambiamento climatico, povertà e circolazione delle armi. Povertà e guerra sono intimamente connessi, i Paesi più poveri del mondo sono in guerra o ne sono usciti da pochissimo”.

Profonda e diffusa ignoranza sulle guerre

Il vicepresidente di Caritas italiana si sofferma quindi sull’aumento delle diseguaglianze definendolo un fenomeno “disdicevole” difronte alla crescente ricchezza accumulata da una piccola porzione di umanità: “Bisogna operare sia nella redistribuzione della ricchezza dall’alto, sia a valle nella creazione di opportunità, bisogna intraprendere politiche per contenere diseguaglianze per frenare la rabbia sociale che aumenta e che può esplodere”. Infine Beccegato commenta i dati della ricerca demoscopica sulla consapevolezza sociale rispetto ai conflitti: “In Italia c’è una comunicazione scarsa e di bassa qualità rispetto le guerre e in generale agli eventi che avvengono nel mondo, questo genera profonda ignoranza, circa 60% popolazione italiana ignora le guerre in corso o indica come tali situazioni che sono sui libri di storia. Dobbiamo tenere presente che più si conosce e più si ama e aumenta di conseguenza la solidarietà dal basso e la spinta verso la politica tesa alla tutela dei diritti umani”.