Chiesa Cattolica – Italiana

Racconti spontanei di una rinascita che parte dal lavoro della terra

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Un orto Laudato si’ nato dall’idea di un detenuto del carcere di Ragusa, Bruno, che dopo aver ricevuto in dono dei semi di ‘tenerezze’, le zucchine lunghe tipiche della Sicilia chiamate in dialetto tinniruma, riporta alla mente gli insegnamenti del padre contadino e chiede di piantarli nei terreni della casa circondariale. A donargli quei semi, con l’autorizzazione delle autorità carcerarie, è stata nella primavera 2020 l’Associazione “Ci Ridiamo Sù”, il cui nome, con un accento di troppo, vuole indicare l’eclettismo della comicoterapia che gli operatori sociali portano avanti dal 2007 in ambito ospedaliero, oncologico e pediatrico, con disabili, con anziani e in missioni umanitarie, realizzando progetti educativi anche nelle scuole e nei centri ricreativi.

L’orto di zucchine ‘tinniruma’, tipiche della Sicilia

“Da aprile dello scorso anno, con la pandemia, a Ragusa abbiamo iniziato un progetto per realizzare mascherine per la comunità, da destinare a ospedali e centri per la disabilità, coinvolgendo pure il carcere locale”, racconta a Vatican News Fabio Ferrito, operatore sociale specializzato in arti espressive e performative, presidente dell’Associazione “Ci Ridiamo Sù”. Con l’aiuto del collega Alessandro Vitrano e di altri operatori, “abbiamo regalato una macchina per cucire ai 180 detenuti del penitenziario, assieme a del materiale utile alla produzione. Sono state ottenute circa mille mascherine e, per ringraziare i detenuti del loro impegno, abbiamo donato loro dei semi di tinniruma, un segno di delicatezza come quella che loro avevano avuto nel produrre le mascherine”.

L’orto “Libere Tenerezze – Laudato si’”

Il resto è venuto da sé: con l’aiuto di Bruno, in alcuni terreni del carcere fino ad allora inutilizzati, “i semi sono stati piantati a mo’ di gioco ed è nato – spiega Ferrito – un orto di queste tenerezze, di queste zucchine: stiamo parlando di quasi 100 piante. Quindi, d’accordo con la direttrice dell’istituto penitenziario maschile, Giovanna Maltese, abbiamo suggerito di piantare altro verde, anche degli alberi e, con l’aiuto di sponsor, abbiamo fatto arrivare 1500 piante. Da lì, abbiamo capito che si poteva realizzare un orto ed è partito il progetto che ha preso il nome di ‘Libere Tenerezze’, intitolando poi l’orto all’enciclica di Papa Francesco del 2015”. 

Una parte dell’orto “Libere Tenerezze – Laudato si’”

L’obiettivo, aggiunge il presidente di “Ci Ridiamo Sù”, rimane quello di dare la possibilità ai detenuti “di esprimersi, di poter uscire dal senso di isolamento, di frustrazione, da tensioni personali e collettive. Lo abbiamo definito ‘orto umoristico’, perché la nostra connotazione è quella di essere degli operatori clown, con lo scopo di favorire nuove modalità 

relazionali basate sullo scambio, il confronto, l’apertura alla comunità, dando anche a queste persone la possibilità di acquisire delle competenze professionali”: lì in carcere, più che altrove, non si dimentica che «il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale», come evidenzia il Pontefice nella Laudato si’ (128).

Durante la pandemia si è inoltre fermata “ogni attività progettuale”, osserva l’operatore sociale. “I contatti esterni dei detenuti, soprattutto con i loro familiari, si erano annullati, l’unico momento di aggregazione era quello della Messa domenicale”, celebrata dal cappellano, padre Carmelo Mollica.

Ortaggi, frutta e musica quantica

Il progetto dell’orto si è evoluto nel tempo, assumendo una connotazione molto particolare: “con l’aiuto di un agronomo, Alessandro Scrofani, abbiamo previsto l’utilizzo di probiotici e tecniche di agricoltura biodinamica, puntando ad un orto che assicura la qualità dei prodotti e il rispetto della terra. Nella Laudato si’ – evidenzia Ferrito – ci rispecchiamo: il nostro è un orto a ciclo chiuso perché utilizza gli scarti della cucina, gli scarti organici del terreno, non vengono usate sostanze chimiche o anticrittogamici, né antibiotici, ma viene tutto realizzato attraverso una compostiera in modo da evitare la dispersione nel terreno di minerali aggressivi, che possono essere fonti inquinanti delle falde acquifere. Vengono inoltre utilizzati dei macerati di ortica, di aglio, concimazioni di natura organica, stallatica, che permettono di rendere stabile la coltivazione, impedendo l’aggressione di batteri o funghi”.

I macerati di natura organica

In poco più di un anno nei tre appezzamenti di terreno concessi dalle autorità della casa circondariale, si coltivano ortaggi di stagione, dai pomodori alle insalate, dalle melanzane ai finocchi. Nel più grande dei tre, in 2.500 mq, “è stata avviata una sperimentazione, con legumi, carciofi, piante tropicali e subtropicali, quali mango, papaya, avocado, oltre a kiwi e uva spina”. Motivo di orgoglio, per l’associazione e per i detenuti, è anche la realizzazione di una serra “per le fragole, a coltivazione idroponica, con l’uso di musica quantica: è stato osservato che 

determinate frequenze influiscono positivamente sulla salute delle piante, permettendo di facilitarne la germinazione, la crescita, una maggiore resistenza agli agenti patogeni. È un’iniziativa molto affascinante anche per i ragazzi, perché si trasmette loro un messaggio di equilibrio dell’uomo con la natura. E tra l’altro stanno acquisendo una competenza veramente molto alta che può servire anche per un dopo, per un momento di riqualificazione personale”, nell’ottica di offrire loro quella «vita degna mediante il lavoro» che il Papa richiama nell’enciclica sulla cura della casa comune (128).

La relazione con l’altro da sé

Nel mondo dell’agricoltura la fatica non manca, ma servono anche una profonda conoscenza e una capacità di innovazione non comune. Con i detenuti – non tutti ovviamente, quelli che hanno ricevuto un’autorizzazione specifica: a Bruno si è aggiunto più recentemente Antonino – gli operatori di “Ci Ridiamo Sù” lavorano fianco a fianco, senza riserve perché, ricordano citando la Laudato si’, «qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé» (125).

Il lavoro nei campi del carcere

“Facciamo tutto insieme: con loro – evidenzia Ferrito – progettiamo l’orto, scegliamo le piante da mettere a dimora, realizziamo impianti di irrigazione, lavoriamo la terra, la concimiamo, facciamo le semine e i raccolti”. Sono uomini che “apprezzano il lavorare insieme, il fatto che li guardiamo senza filtri, scherziamo sinceramente con loro”: e quando “scoppia un sorriso”, magari sotto il sole, trafitti dalla stanchezza di una giornata sui campi, “emerge la parte umana, vera e naturale di ognuno”. “Sono persone che – riflette il presidente dell’associazione – non vedono i figli da tanto tempo, ci sono pene molto lunghe. Quindi chi, come Bruno, ha lasciato magari i figli a 2 anni adesso si ritrova che ne hanno 12, 13. Una cosa che ha colpito me, che faccio il clown, è la poeticità di questo uomo che riesce a mantenere un rapporto costante e continuo con i quattro figli, anche se li vede pochissimo. Oserei dire più di un padre che vede il figlio 24 ore su 24. Scrive loro una lettera ogni giorno, i figli si confidano con lui e chiedono consiglio al padre come se fosse a casa quotidianamente. E questi sono racconti spontanei che nascono dal lavoro giornaliero”, fatto appunto di fatica, impegno e soprattutto fiducia. Quella che i detenuti hanno trovato nell’istituto di pena di Ragusa, un carcere – ci tiene a precisare Ferrito – “a marcia completamente femminile, con la direttrice Maltese, la comandante della Polizia Penitenziaria Chiara Morales, Rosetta Noto e Maria Iurato dell’Area trattamentale”.

Un’opportunità per il futuro

La direttrice Giovanna Maltese è rimasta colpita dal risvolto assunto dal progetto dell’orto “Libere Tenerezze – Laudato si’” nel periodo di lockdown per la pandemia, perché i detenuti hanno così potuto avere una “continuità di contatto con la terra e con i suoi valori”, un’opportunità – dice – “di sottrarsi all’ozio” e di avere “la concretezza del risultato, ogni volta che una piantina andava a buon fine”, producendo il proprio frutto. Il progetto è stato inserito nella programmazione triennale del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap) della Sicilia 2021-2023.

Uno dei terreni del carcere di Ragusa

Rosetta Noto, capo di quella che una volta si chiamava Area educativa della casa circondariale di Ragusa, quel settore cioè che si occupa del ricupero e del reinserimento sociale dei detenuti, auspica “che prosegua e diventi un progetto strutturale per la casa circondariale, in modo che anche altri detenuti possano in futuro avere questa opportunità”. Trasmettere le conoscenze in materia di agricoltura biodinamica “è importantissimo – ci tiene a sottolineare la Noto – soprattutto per quei detenuti che non hanno un buon livello di istruzione: siamo noi così che diamo loro formazione in modo che, quando usciranno dal carcere, possano trovare più facilmente” un’opportunità d’impiego. Lo stesso Bruno, osserva, ripone “grandi speranze nel progetto, ne capisce il valore e spera, una volta scontata la pena, con la professionalità che avrà acquisito, di poter trovare un’attività lavorativa” e un nuovo sbocco professionale, magari – aggiunge la direttrice Maltese – con un inserimento “in imprese o aziende agricole” o avviando “un’azienda propria, con i contributi della legge ‘Smuraglia’”, che nel 2000 ha introdotto un’agevolazione in favore dei datori di lavoro che impiegano persone detenute. È il sogno di Bruno, come di tanti ospiti del carcere di Ragusa. Insieme ne hanno anche un altro, che hanno confidato agli operatori dell’Associazione “Ci Ridiamo Sù”, quello – sussurra Fabio Ferrito – “di poter far assaggiare o consegnare quanto prima, se possibile, una cassetta dei loro prodotti a Papa Francesco”.

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti