Chiesa Cattolica – Italiana

Quell’immenso tessuto di storie chiamato mondo

di Silvia Guidi

«Rileggendo il mio intervento nel libro, mi sono accorto che non emerge abbastanza il mio entusiasmo per essere stato invitato a partecipare»: Sandro Veronesi sta parlando di La tessitura del mondo. Dialogo a più voci con i grandi protagonisti della cultura sul racconto come via di salvezza (Salani, 2022, pagine 234, euro 16), il volume che raccoglie 44 testi di scrittori (ma anche di giornalisti, architetti, teologi) pubblicati su «L’Osservatore Romano» dal mese di febbraio del 2020. Testi nati — letteralmente nati — dal Messaggio del Papa per la cinquantaquattresima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, una riflessione sul tema della narrazione. «E già qui — notava Veronesi nel suo intervento — non è automatico il nesso tra comunicazione sociale e narrazione, che al mondo laico spesso sfugge, concentrato com’è sull’informazione, i social media, lo story telling e i messaggi propagandistici di varia natura».

Del libro si è tornati a parlare in un incontro intitolato, per l’appunto, «I racconti non finiscono mai»; a Palazzo Altieri (un tempo di proprietà di Papa Clemente x) a piazza del Gesù: ospiti della sede di rappresentanza della Bpm, il nostro direttore, Andrea Monda, Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale della Libreria editrice vaticana (Lev), e Mariagrazia Mazzitelli, direttore editoriale di Salani, hanno introdotto gli interventi del cardinale Gianfranco Ravasi e dello scrittore Sandro Veronesi. Che, in un certo senso, si sono scambiati le parti, parlando l’uno dei racconti di Cechov, l’altro della perizia compositiva dei quattro Vangeli, «una sofisticata, bellissima macchina narrativa, che aziona tutto ciò che un racconto perfetto deve azionare: stupore, ammirazione, sdegno, pietà, paura, fede — ed è oltretutto articolato in quattro versioni diverse, così da lasciare anche dei dubbi. Quali sono state le ultime parole di Cristo? Cos’ha detto alle guardie a Getsemani?». Domande annotate nel testo pubblicato all’interno del libro, che durante l’incontro a Palazzo Altieri hanno trovato di nuovo un contesto adeguato, un dialogo a più voci inserito in una tradizione secolare, i 160 anni della casa editrice Salani, e i 161 de L’Osservatore Romano.

Il pensiero è un valore da far circolare, e l’amore per la narrazione non è un vezzo intellettuale, ma urgenza sociale, una ricucitura necessaria in un tessuto sempre più sfilacciato e smagliato, hanno sottolineato Monda e Fazzini. Secondo un’antica tradizione giudaica, ha chiosato Ravasi, Dio ha creato gli uomini perché ama le storie, affidando agli astanti anche un “compito a casa”, andare a leggere il secondo libro di Samuele, per scoprire, dal capitolo 10 al 19, una vera e propria narrazione sceneggiata. E per rendersi conto che le storie che compongono la Bibbia «non veleggiano tra gli incensi del tempio, ma affondano le loro radici nel mistero dell’uomo» senza censurare nessuna delle sue contraddizioni.

Le 35 (o 72, a seconda dei diversi metodi di conteggio) parabole del Vangelo parlano anche «ai piedi delle persone, non solo alla testa» ha aggiunto Ravasi, camminano rasoterra, menzionando pesci, campi, semine, portieri di notte, figli ribelli, dispute tra fratelli, eredità contese. La stessa eucarestia è un racconto dal valore performativo, che viene ripetuto ogni giorno. Un racconto che crea una presenza. Raccontare, ha continuato Monda, consolida l’identità del singolo e della comunità. Per questo, scrive Papa Francesco nella post fazione, servono storie che siano buone e belle «perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Esodo, 10, 2). 

Niente di più esatto, ha notato Veronesi, si può dire in realtà circa lo scopo del racconto, fissare nella memoria — e la bellezza, allora, sottolinea lo scrittore, anche per la Chiesa è considerata il vettore privilegiato per conquistare la posterità. Questo tema, ha continuato Veronesi, «mi tocca dove ho gettato il mio cuore. O meglio, dove, tantissimi anni fa, ho scoperto che cadeva il mio cuore. È successo a un ragazzo di quattordici anni. I successivi quarant’anni di lavoro sono nati da questo: ho cercato di emulare il bello, che mi sconvolgeva quando ero ragazzo. Semplicemente volevo fare anch’io quello che mi aveva colpito così tanto».

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