Chiesa Cattolica – Italiana

Quando Pio X voleva fare sport per sostenere le “paralimpiadi”

di Giampaolo Mattei

«Quando ho aperto il Vaticano ai grandi concorsi dei ginnasti cattolici, ho dato una dimostrazione chiara del mio pensiero.  Se oggi sussistono ancora dei dubbi, allora non mi resta che mettermi io stesso a fare esercizi, affinché sia seguito il mio esempio». San Pio X più chiaro di così non poteva essere, ricordando (in una lettera, il 14 dicembre 1911) le gare di atletica in Vaticano, nel 1905 e nel 1908, che hanno visto protagonisti anche atleti con disabilità. Ben quarant’anni prima del movimento paralimpico che solo a Roma nel 1960 ha trovato la consacrazione e che a Tokyo sta vivendo una nuova, significativa tappa.

Naturalmente, non è dato sapere se Pio X si è messo «a fare esercizi» perché fosse seguito il suo esempio…

Ma se oggi Papa Francesco ha Athletica Vaticana — la sua squadra polisportiva e paralimpica, giuridicamente eretta in Vaticano e affidata dalla Segreteria di Stato al Pontificio consiglio della cultura — che ne applica concretamente le indicazioni, l’idea di una testimonianza cristiana tra le donne e gli uomini di sport è andata avanti. Per fare comunità e inclusione. Per promuovere la cultura dell’incontro e per non lasciare nessuno indietro. Soprattutto in questo tempo di pandemia che ha fatto pagare alle persone con disabilità un prezzo altissimo. Seguendo le indicazioni del Pontefice, Athletica Vaticana ha continuato a stare vicino ai più fragili che con l’interruzione dell’attività sportiva hanno perso, in molti casi, l’unico momento di inclusione.

Francesco, mercoledì 25 agosto, durante l’udienza generale, ha voluto salutare e soprattutto ringraziare gli atleti con disabilità che, a Tokyo, fino al 5 settembre, stanno dando vita alle Paralimpiadi: «Invio il mio saluto agli atleti e li ringrazio perché offrono a tutti una testimonianza di speranza e di coraggio. Essi, infatti, manifestano come l’impegno sportivo aiuti a superare difficoltà apparentemente insormontabili».

Esattamente questo è il punto. E il Papa lo ha rilanciato davanti al suo Team paralimpico di Athletica Vaticana che come primo atto ha proprio allacciato un rapporto con le istituzioni paralimpiche, internazionali e italiane. Sì, come al tempo delle gare “inclusive” volute in Vaticano da Papa Sarto, anche oggi le attività paralimpiche sono anzitutto un passo in avanti nella promozione di una diversa percezione della disabilità.

L’obiettivo del movimento paralimpico — e il senso del servizio di Athletica Vaticana — non è soltanto celebrare un grande evento per vincere medaglie — le gare in Vaticano a inizio ’900 o le Paralimpiadi di Tokyo — ma testimoniare quello che atleti, pur fortemente feriti nella vita, riescono a raggiungere quando sono messi nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere a scuola o in un ufficio.

L’Athletica Vaticana di Papa Francesco, insomma, è lo stesso progetto pratico, popolare, di Papa Sarto: a chi gli diceva «dove andremo a finire?» — vedendo 2000 atleti correre per i Cortili e i Giardini vaticani — Pio x ebbe a rispondere in veneziano: «Caro elo, in paradiso!».

E così, in fondo, non dovrebbe destare troppo stupore la notizia che, forse, le prime due medaglie d’oro “paralimpiche” le hanno vinte proprio in Vaticano, nel settembre 1908, Baldoni e Cittadini — uno amputato, l’altro non vedente — nella velocità e nel salto in alto. Nella strepitosa cornice del Cortile del Belvedere trasformato in “stadio” (questa la dizione ufficiale usata) per l’atletica.

E allora, forse, le Paralimpiadi sono nate proprio in Vaticano, in largo anticipo sul “movimento paralimpico” che ha preso le mosse all’indomani della tragedia della seconda guerra mondiale.

È un fatto che Pio x ha saputo subito intravedere nello sport — in anticipo sui tempi — quelle dimensioni di testimonianza cristiana e di universalità che, ormai, tutti riconoscono.  Nel 1908 gli atleti in Vaticano sono addirittura 2000: italiani, francesi, belgi, austriaci, irlandesi, canadesi e, per la prima volta, ecco la disabilità… Pio Sarto, «profondamente commosso», ha seguito le gare nel Cortile di San Damaso.

Le motivazioni di Pio x sono esattamente quelle che, lo scorso 29 maggio, Papa Francesco ha delineato incontrando la sua squadra: «Perché è giusto che ci sia Athletica Vaticana? Perché la Chiesa ha a cuore tutto ciò che riguarda l’uomo».

In tante occasioni il Pontefice ha accolto e incoraggiato sportivi con disabilità: il campione e il ragazzino. Abbracciandoli con la comunità che li sostiene: la famiglia, anzitutto. Nella consapevolezza che i campioni che vincono medaglie e stabiliscono record sono testimoni che attraggono coloro che devono ancora trovare il coraggio di mettere in atto la loro resilienza.

Può sembrare persino scontato far presente cosa significhi per tanti ragazzi che stanno in un letto in ospedale vedere atleti con una disabilità realizzare prestazioni sportive. E arrivare, magari, a dire a se stessi: forse lo posso fare anche io, forse ce la posso fare!

Per questo le Paralimpiadi sono persino “più” delle Olimpiadi, al di là del suffisso greco “para” scelto per sancire che sono la stessa cosa e allo stesso livello. Ma sostenendo gli atleti disabili di alto livello, che stiamo vedendo in azione a Tokyo, si mette in moto un “circolo” virtuoso che abbraccia il ragazzino escluso perché diverso. Insomma, «un’immagine splendida di come dovrebbe essere il  mondo» ha fatto notare Papa Francesco nell’intervista alla «Gazzetta dello sport» (2 gennaio). La vera vittoria della “famiglia paralimpica” resta la capacità di fare comunità per creare, appunto, questo movimento che coinvolge i campioni e quei ragazzini che oggi faticano a fare un passo o ad alzare un braccio. E si vergognano di farsi vedere fragili.

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