Prodi: l’Ue nata per la pace, dal Papa parole sacrosante sulla guerra in Ucraina

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Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

Una situazione statica, nella quale l’Europa ha sì appoggiato in modo unanime l’Ucraina, ma non è stata in grado di prendere iniziative forti. Le parole pronunciate dal Papa sulla guerra sono parole sacrosante, che mostrano anche l’impotenza dei mediatori dinanzi al potere. L’Europa è nata per la pace, ha mantenuto la pace nei suoi confini per tre generazioni, ma non è stata in grado di evitare che scoppiassero guerre nei Paesi limitrofi. Oggi occorre sperare che la guerra finisca presto, per non piangere i morti di fame oltre alle vittime del conflitto. Questi alcuni dei passaggi dell’intervista a Romano Prodi, presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, per due volte presidente del Consiglio italiano e tra le voci più autorevoli nel panorama politico europeo.

Ascolta l’intervista a Romano Prodi

Presidente, qual è oggi, a 80 giorni dall’inizio della guerra in Ucraina, la sua visione dell’Unione Europea dinanzi a questo conflitto? Quali le luci, quali le ombre che emergono? 

Prima di tutto bisogna dire che negli ultimi giorni poco è cambiato, è quasi una guerra incancrenita in cui ci si combatte crudelmente, ma senza avvenimenti che possano far pensare a cambiamenti o alla fine del conflitto. Una sorta di brutta stasi, questa è la prima osservazione. L’Europa, come sappiamo, ha visto un coro finalmente unanime di politica estera nell’appoggiare l’Ucraina dinanzi all’invasione russa. Il coro, diciamo così, non è venuto meno, ma anche sotto questo aspetto ci sono poche novità. Nel parlare di un conflitto, non è mai una bella cosa parlare di una situazione statica. L’Europa, data la doverosa convergenza a sostegno dell’Ucraina, non è stata però in grado di prendere iniziative. Questa è la verità. Iniziative forti non ce ne sono state e non ce ne possono essere, perché è ancora un’Europa debole con un’inesistente politica estera comune. 

Come commenta le parole del Papa che in queste settimane insiste sul dialogo, sulla mediazione, cita una logica cainista prevalente rispetto a quella della pace e si domanda se davvero ci sia la volontà di costruire questa pace?

Sono parole sante, ma che rattristano molto perché nel dire che i governanti sembrano non rispondere a un nessun richiamo di pace, si manifesta quella che è l’impotenza dinanzi al potere. Il Papa dice la verità, ammette che oggi una mediazione è difficile che possa produrre frutti. Questa è la situazione. 

In base alla sua esperienza ai vertici dell’Unione Europea, come si sono superati in passato i momenti di maggiore criticità?

Si sono sempre superati quando si è capito il senso del dramma. Penso al Next Generation, che ha prodotto la prima grande solidarietà economica quando il Covid-19 ha seminato la tragedia nel continente. Io speravo, glielo dico con la massima sincerità, che questa guerra risvegliasse questi sentimenti di unità. In realtà li ha risvegliati, ma ha anche messo in luce l’impotenza. Da un lato uno stimolo all’unità, ma anche il riconoscimento di poter far poco. Il presidente Macron ha continuato a telefonare ai protagonisti della guerra, ma non è stato ascoltato. Macron, non dimentichiamolo, rappresentava tutta l’Europa perché presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Quindi un’Europa che fino ad ora non è riuscita a trarre dalla crisi la forza di una proposta che potesse in qualche modo imporsi. 

C’è un valore, un elemento tipicamente europeo che oggi può tornare utile nel ricostruire gli equilibri geopolitici? L’Europa dei padri fondatori, l’Europa di oggi: quali i valori in comune?

Ci sarebbe una risposta ovvia, spontanea: l’Europa è nata per la pace, il suo valore è la pace ed è quello che viene messo in una tragica crisi. Pensiamo ai risultati di pace che ha ottenuto l’Europa, al suo interno nessuna guerra per tre generazioni! Il più lungo periodo di pace dalla caduta dell’Impero Romano in poi. Però anche un ruolo debolissimo nel far sì che le guerre non nascessero ai suoi confini. Tante volte mi hanno rimproverato l’allargamento dell’Unione Europea, ma adesso la gente capisce i vantaggi di questo. Comprende però anche i limiti di un’Europa che al di fuori dei suoi confini può poco, poco, poco. 

Lei ha più volte sottolineato come il vecchio continente abbia bisogno di un nuovo esercito, di una Difesa comune. Quali le ragioni di questa richiesta e come realizzarla?

Io non reputo necessario che l’Europa diventi una delle grandi potenze mondiali, ma che almeno possa avere la capacità di esercitare un ruolo regionale. Pensiamo alla Libia, è a un passo da noi ed è dominata da due Paesi, la Russia e la Turchia, che hanno rispettivamente l’80% del Pil italiano e di quello spagnolo. Non riusciamo ad avere nemmeno una possibilità di arbitrato, di garante nell’area regionale in cui viviamo. La mia ambizione è quella di un’Europa che porti la sua esperienza di pace, di saggezza nei grandi conflitti mondiali. In questo caso ci sarebbe proprio bisogno di un riequilibratore delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, di un moderatore. La funzione, cioè, di pacificatore mondiale. 

Presidente, lei in passato ha anche utilizzato l’espressione di una “terza guerra mondiale a pezzi”, più volte usata anche dal Papa negli scorsi anni. La comunità internazionale ha sottovalutato i rischi, oggi siamo ad un’ulteriore evoluzione?

Mi viene da sorridere, perché la più bella definizione politologica della situazione globale è stata fatta da un non politologo che è il Papa. La definizione che eravamo dinanzi ad una guerra mondiale a pezzi, a tante piccole guerre era assolutamente perfetta! Oggi non è ancora una guerra mondiale, è ancora un pezzo, ma la guerra è sempre più mondiale. Questo conflitto sta producendo conseguenze a livello globale dappertutto: la fame in Africa, il crollo della crescita in Cina, l’inflazione negli Stati Uniti per non parlare delle conseguenze tragiche per l’Europa. La definizione del Papa è ancora giusta, ma l’accento va sull’aggettivo mondiale perché la guerra è sempre più mondiale. 

Dinanzi ad un conflitto come quello in Ucraina, risuonano con forza le parole di David Sassoli, a 4 mesi dalla sua morte: “Mi ha sempre colpito la fissità degli occhi delle vittime che guardano, ma non vedono. Sì, gli occhi dell’umanità privata di umanità. Gli occhi delle vittime sono sempre gli stessi, in ogni guerra”. Cosa direbbe oggi Sassoli?

Direbbe che le vittime sono sempre di più. Non solo ci sono i morti e i feriti, ma c’è chi non riesce più a trovare il pane. Siamo davanti ad uno scoinvolgimento di carattere globale. Spero che finisca presto, perché le riserve di grano per alcuni Paesi sono sufficienti per pochissimi mesi. Se continua questa guerra gli occhi che piangeranno i morti di fame saranno sempre di più e si aggiungeranno a quelli che piangono i morti in guerra. Siamo veramente davanti a questa situazione.