Processo per il palazzo di Londra, prima udienza di sette ore. Si riprende il 5 ottobre

Vatican News

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

La grande aula di giustizia allestita nei Musei Vaticani ha ospitato martedì 27 luglio la prima udienza del processo in Vaticano per affari illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato, a cominciare dalla compravendita del Palazzo di Sloane Avenue a Londra. L’udienza, presieduta da Giuseppe Pignatone, è durata sette ore, alla presenza di una trentina di avvocati, giornalisti, gendarmi, e solo due dei dieci imputati: monsignor Mauro Carlino, in aula già di prima mattina, e il cardinale Giovanni Angelo Becciu, l’ex Sostituto della Segreteria di Stato, accusato di peculato, abuso d’ufficio anche in concorso e subornazione. Il porporato, al quale il Papa ha revocato le prerogative del cardinalato nel settembre 2020, ha presenziato a tutta l’udienza seduto all’ultimo dei tre banconi. E al termine dell’udienza ha ricordato di essere stato sempre “obbediente al Papa che mi ha rinviato a giudizio”, dicendosi “sereno”: “Ho la fiducia che i giudici sapranno bene vedere i fatti e la mia grande speranza è certezza che riconoscano la mia innocenza”. Inoltre ha annunciato di aver dato mandato ai suoi avvocati di denunciare per calunnia monsignor Alberto Perlasca e Francesca Immacolata Chaouqui. 

Gli avvocati di Marogna e Torzi chiedono il rinvio

A inizio udienza, il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha comunicato la proroga dei termini di presentazione di prove e istanze per le rispettive difese. Quindi ha dato la parola agli avvocati. Il primo è stato Fiorino Ruggio difensore di Cecilia Marogna, la manager cagliaritana, che non era presente. Il legale ha avanzato una richiesta di rinvio e di stralcio in virtù del fatto che il DIS ha disposto un’indagine e quindi l’ascolto di Marogna sulla scorta di un esposto da lei presentato, correlato alla richiesta alla Segreteria di Stato, alla NATO e allo Stato italiano per essere liberata dal segreto.

L’avvocato Ambra Giovene, difensore di Torzi, ha invece depositato in Cancelleria una copia della richiesta di “legittimo impedimento” del proprio assistito a presenziare all’udienza. Torzi è destinatario di una misura cautelare, che prevede anche il braccialetto elettronico, emanata il 28 aprile 2021 con una richiesta di estradizione dalla Gran Bretagna: “Non può muoversi da Londra”, ha detto l’avvocato. E l’altro legale Franco ha replicato: “Torzi, anche quando dovesse ricevere l’autorizzazione dal giudice inglese a venire in tribunale, verrebbe arrestato all’aeroporto di Fiumicino”. La difesa ha quindi insistito per il rinvio: “È interesse di questa difesa la posizione di Torzi all’interno di questo processo. Non è interesse fare un processo autonomamente”.

Il difensore di Crasso

Oltre un’ora è durato invece l’intervento dell’avvocato Carlo Panella, difensore di Enrico Crasso e delle sue società, il quale ha presentato alcune eccezioni. La prima relativa alla costituzione di parte civile da parte dell’APSA e dello IOR, che, a detta del legale, sarebbero “inammissibili” in quanto hanno presentato “una formula generica” con la richiesta di risarcimento per danno patrimoniale e non patrimoniale, incluso il danno di immagine derivato dalla condotta di persone fisiche e giuridiche, senza spiegarne le motivazioni. Panella ha quindi affermato che: “Non è possibile che si costituiscono tre parti espressioni dello stesso Stato e che ognuno chieda un risarcimento. Il rischio è di triplicare il risarcimento”. L’avvocato ha lamentato poi la mancanza di “numerosissimi atti” che ad oggi non sarebbero ancora disponibili per i difensori, tra questi nove chiavette Usb contenenti estratti conto e la documentazione bancaria della Svizzera. Il legale ha inoltre lamentato il fatto che agli imputati non sia stato garantito il tempo necessario per preparare la difesa.

Contestazioni sui rescritti del Papa

Panella ha anche segnalato che vi sarebbe un difetto di giurisdizione sui reati di riciclaggio e autoriciclaggio imputati a Crasso e alle sue società all’estero e non nel territorio vaticano. Ha contestato infine il fatto che in virtù di un Rescriptum del 2 luglio 2019 di Papa Francesco, sia stato autorizzato l’ufficio del Promotore di Giustizia a procedere nelle forme del rito sommario e a compiere provvedimenti anche di natura cautelare. Secondo l’avvocato, un Rescriptum è un “atto amministrativo” perciò “il dubbio è sull’idoneità che un atto amministrativo possa derogare la legislazione vigente”. Altri tre rescritti del Papa avrebbero introdotto delle procedure penali “solo per questo procedimento”, cosa che, secondo il difensore di Crasso, renderebbe quello vaticano “un Tribunale speciale”.

L’avvocato di Tirabassi

Tutti gli altri avvocati si sono associati alle istanze dell’avvocato Panella chiedendo la nullità del decreto di rinvio a giudizio. L’avvocato Cataldo Intrieri, difensore di Fabrizio Tirabassi, ex funzionario della Segreteria di Stato, in particolare ha segnalato che negli atti manchi della documentazione riguardante il suo assistito, come il decreto di perquisizione e sequestro avvenuto nell’ottobre 2019 in Segreteria di Stato e la perizia sugli strumenti informatici di Tirabassi: “I contenuti sono stati estratti senza che noi fossimo consultati”, ha affermato. E ha contestato il fatto che siano stati sequestrati soldi a casa di Tirabassi e del padre che, a detta del legale, non sarebbero stati “sequestrabili, perché erano lì prima del 2013”. Inoltre, secondo quanto rilevato  da Intrieri, mancherebbe il fascicolo del Tribunale del Riesame di Roma che aveva stabilito l’illegittimità del sequestro e la restituzione dei beni ai proprietari.

Perlasca e il processo

È seguito l’intervento dell’avvocato Salvino Mondello il quale ha affermato che al suo assistito monsignor Carlino siano stati contestati nei due interrogatori “tutt’altri reati di quelli finiti nel rinvio” e che “agli accertamenti tecnici non è stato concesso alla difesa di partecipare”. È stato poi il turno di Fabio Viglione, avvocato del cardinale Becciu, che ha lamentato la mancanza negli atti di registrazioni degli interrogatori di monsignor Alberto Perlasca, come pure di “una serie di atti che si riferiscono a copie forensi di numerosissimi dispositivi informatici in uso” allo stesso Perlasca. Gli ha fatto eco il sostituto processuale Mazza, secondo il quale i cinque interrogatori di Perlasca – di cui si sarebbero “perse le tracce” – siano nulli, nonché “frutto di una evidente violazione procedurale dei diritti di garanzia”. In particolare il primo interrogatorio del 31 agosto 2020, al quale il monsignore si è presentato volontariamente e senza un avvocato difensore.  

L’avvocato Caiazza difensore del broker Raffaele Mincione ha invece evidenziato che negli atti “quasi casualmente” si è venuti a conoscenza dell’esistenza di un mandato di cattura emesso il 19 giugno 2020 nei confronti di Mincione. “Questo mandato di cattura non è mai stato eseguito, ma è stato emesso con la stessa logica di quello di Torzi”. L’avvocato ha lasciato intendere che se Mincione si fosse presentato quel giorno all’interrogatorio sarebbe stato arrestato: “Si tratta di un metodo che creerà la giusta prudenza quanto ad analoghe citazioni ad interrogatori presso lo Stato vaticano”.

Severino: “Il Papa è il legislatore”

Alle istanze degli avvocati hanno risposto prima Paola Severino, ex ministro della Giustizia itlaliano e legale per la parte civile della Segreteria di Stato, e poi il Promotore di Giustizia Gian Piero Milano e l’aggiunto Alessandro Diddi. Severino ha ribadito la legittimità della costituzione a parte civile dell’APSA in virtù del Motu proprio del Papa del 26 dicembre 2020 che ha trasferito fondi e investimenti della Segreteria di Stato all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. “Nel caso del risarcimento alla Segreteria di Stato, non più titolari di beni, si temevano eccezioni di legittimità, da qui la costituzione dell’Apsa”. Quanto al fatto che quello vaticano sia un “Tribunale speciale”, la professoressa ha ribadito il “contenuto morale” del processo in corso e, a più riprese, in riferimento alla validità dei rescritti del Pontefice, ha sottolineato che “il Papa è il legislatore”: “Si è verificato in tutti i processi in Vaticano”. Severino ha ricordato che è grazie ad una normativa del Papa che è stato istituita in Vaticano la normativa contro il riciclaggio e l’autoriciclaggio: “Questo mi rende orgogliosa”.

Il promotore di Giustizia

Da parte sua, il promotore Milano è tornato subito sulla questione del Rescritto papale che, ha spiegato, “è un atto che assume multiformi contenuti e forme. Esso può riguardare la concessione di privilegi, di dispense e addirittura la modifica di altri atti”. Insieme ai Motu propri, alle costituzioni e ad altri provvedimenti del Pontefice esprimono “la suprema potestà” del Papa: “Se guardiamo a questo processo con gli occhiali del giurista, abbiamo una visione deformata di questo ordinamento e possiamo attribuire significati non conformi degli ordinamenti civili”, ha chiarito Milano. Quanto alla “specialità” del Tribunale vaticano per questo processo, ha detto: “Diventerebbe un Tribunale speciale se si arrogasse la prerogativa di sindacare atti espressione di un potere sottratto a qualunque valutazione”.

Le spiegazioni del promotore aggiunto

Più ampia la risposta del promotore aggiunto Diddi, che ha detto: “Se abbiamo commesso degli errori, siamo pronti a emendarli”. Diddi ha replicato, punto per punto, ad ogni contestazione della difesa. Anzitutto, ha chiarito, non bisogna basare la difesa sulle differenze tra ordinamento italiano e quello vaticano: “Chiariamo le regole: fare riferimento continuo ad un ordinamento che non è quello vigente, distoglie l’attenzione di quello che andremo a fare da qui ai prossimi mesi”. Inoltre il riferimento è al Codice del 1913, che “nonostante l’età non è così esecrabile come si è cercato di definire in vari interventi, anzi ha livelli di modernità superiori al codice italiano”. “Voi – ha detto agli avvocati – avrete da qui ai prossimi mesi dibattimento con stesse regole del processo che oggi vige in Italia, anzi ancora più garantistico”.

Ribadendo l’efficacia dei rescritti del Papa, Diddi ha spiegato che è proprio in forza di questo provvedimento papale che si è proceduto al mandato di cattura di Mincione e Crasso. A proposito del mandato di cattura di Mincione, ha sottolineato che è stata presa questa decisione perché in quei giorni di giugno 2020, in una fase “cruciale” delle indagini, si stava verificando “un tentativo di depistaggio, i cui autori erano Torzi e Mincione”. “Abbiamo ritenuto di dover intervenire con misure cautelari”.

Sempre il promotore aggiunto ha spiegato che tutto il materiale informatico sequestrato è al momento presente in una cassaforte dell’ufficio del Promotore di Giustizia e che se alcuni atti non sono stati prodotti è perché sono le leggi vigenti a stabilire che è possibile depositare atti procedimento e non atti sequestrati: “L’unico materiale non allegabile è una quantità enorme di materiale informatico conservato in una casina, un palazzetto, in una stanza piena di dispositivi”. Diddi ha tuttavia ribadito la disponibilità, previa autorizzazione del Tribunale, a riprodurre qualsiasi documentazione venga richiesta. Infine, si è detto orgoglioso del fatto che “in un anno e mezzo di indagini non si sia verificata alcuna fuga di notizie”.

La decisione del Tribunale

Dopo un’ora di camera di consiglio, il presidente Pignatone ha revocato il mandato di cattura del Vaticano a carico di Raffaele Mincione e si è riservato su tutte le eccezioni e le richieste dei legali. Ha poi stabilito il giudizio in contumacia di tutti gli assenti alla prima udienza del processo, a eccezione del broker Gianluigi Torzi, che non partecipa per legittimo impedimento, del cardinale Becciu e del suo ex segretario Carlino.