Praedicate Evangelium. Semeraro: la riforma non finisce

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Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Curia semper reformanda”. L’antico assioma sul cammino sempiterno di riforma della Chiesa ben si abbina al processo di riorganizzazione della Curia romana, sugellato ma, appunto, non concluso con la promulgazione, il 19 marzo, della costituzione apostolica Praedicate Evangelium. Presentando in Sala Stampa il documento in vigore dal 5 giugno – frutto di un lavoro quasi decennale di riflessione, consultazione, valutazione del Papa insieme al Consiglio dei Cardinali e di diverse realtà ecclesiali – il cardinale Marcello Semeraro, attuale prefetto delle Cause dei Santi ma per sette anni segretario del Consiglio dei Cardinali, ha spiegato come la nuova costituzione non chiuda solo un cammino ma ne apra di nuovi per il futuro. Nel senso che potrebbero esserci altre novità oltre a quelle già introdotte (laici prefetti, nuovi Dicasteri o Dicasteri accorpati): “Se ci sono altri cambiamenti, il Papa li farà”. Così è avvenuto infatti con Paolo VI e Giovanni Paolo II, autori delle due costituzioni Regimini Ecclesiae universae (1967) e Pastor Bonus (1988).

Lavoro a lunga scadenza 

È quel principio di “gradualità” che Papa Francesco nel documento programmatico Evangelii Gaudium ha sintetizzato nell’espressione: “Il tempo è superiore allo spazio”, ha sottolineato Semeraro. “Questo permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione di risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone”.

Praedicate Evangelium fa “rifiorire” il Concilio

Un altro importante principio seguito nella redazione del documento è quello della tradizione, cioè la “fedeltà alla storia e della continuità col passato”. “Sarebbe stato fuorviante (oltre che fantasioso) pensare a una riforma tale da stravolgere l’intero impianto curiale”, ha chiarito il cardinale. Praedicate Evangelium fa “rifiorire” speranze e aspettative del Concilio Vaticano II. “E questo è una cosa bella” che manda in soffitta antichi spauracchi sul concetto stesso di riforma: “C’era paura a utilizzare questo termine per via delle passate controversie”.

Spazio ai laici

Al contempo, la nuova costituzione apostolica presenta elementi decisamente innovativi. Uno su tutti, il fatto che laici e laiche in Curia possono assumere la guida di Dicasteri o altri organismi. È già avvenuto con la nomina di un laico, Paolo Ruffini, come prefetto del Dicastero per la Comunicazione: “Decisione non improvvisata da parte del Papa; anzi appositamente studiata con il contributo di autorità in materia”. Una scelta, peraltro, “timidamente” auspicata dal Vaticano II che aveva formulato e promosso una “teologia del laicato”. Alla luce di questa va considerata anche la scelta di abbandonare il termine “Congregazione”, risalente ai tempi di Sisto V che supponeva che titolari di presidenza delle “Congregazioni” fossero unicamente i Cardinali. “Non è più così. Il termine Dicastero lascia intendere che in linea di principio possono svolgere tale ufficio tutti i battezzati: chierici, consacrati, laici”.

L’uguaglianza fra tutti i battezzati

Interessante, ha rilevato nel suo intervento il gesuita padre Gianfranco Ghirlanda, canonista e professore emerito della Gregoriana, il fatto che qualsiasi fedele nominato come capo Dicastero “non ha autorità per il grado gerarchico di cui è investito”, ma per “la potestà” che riceve dal Papa. “Se il prefetto e il segretario di un Dicastero sono vescovi, ciò non deve far cadere nell’equivoco che la loro autorità venga dal grado gerarchico ricevuto, come se agissero con una potestà propria. La potestà vicaria per svolgere un ufficio è la stessa se ricevuta da un vescovo, da un presbitero, da un consacrato o una consacrata oppure da un laico o una laica”.

Un’ulteriore conferma che “la potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica”. Viene pertanto ribadita “l’uguaglianza fondamentale tra tutti i battezzati, anche se nella differenziazione e complementarietà”, ha detto Ghirlanda. Questo “fonda la sinodalità”.

Nomine e valutazioni 

Ma quindi i laici possono essere nominati prefetti di qualsiasi Dicastero, inclusa la Segreteria di Stato visto che nella costituzione si parla di un segretario di Stato che non sia necessariamente un cardinale? “Ci sono Dicasteri in cui è conveniente che ci siano dei laici”, ha sottolineato ancora il canonista, facendo l’esempio del Dicastero Laici, Famiglia e Vita che abbraccia settori che i laici “vivono” e sui quali “hanno esperienza”. “Non c’è una preclusione stabilita”, ha detto Ghirlanda. Allo stesso tempo, nel caso dei Tribunali, “la costituzione non abroga il Codice di Diritto Canonico che stabilisce che nelle questioni che riguardano i chierici siano i chierici a giudicare… La Chiesa rimane con una gerarchia. Non si elimina la funzione di un sacerdote o un vescovo, dipende dalle diverse situazioni”.

Sullo stesso tema monsignor Marco Mellino, dal 2020 segretario del Consiglio dei Cardinali, ha chiarito che “il laico o meno viene nominato per la peculiare competenza di quel Dicastero”. Serve una valutazione ad hoc: “Non è una cosa che scatta in automatico”.

Avvicendamento e non centri di potere

A proposito di competenze, alcuni giornalisti hanno osservato come il timing di cinque anni fissato per gli officiali dei Dicasteri – dopo i quali devono tornare in diocesi o, al massimo, essere riconfermati per un altro quinquennio – potrebbe risultare riduttivo per sviluppare delle capacità professionali. A rispondere sempre Ghirlanda: “È vero che l’esperienza si ha praticando, ma se la persona in quei cinque anni non fa alcun progresso o si vede che sta lì per salire delle scale, non vale la pena rinnovarla. Se invece, in quei cinque anni ha dato frutto, può essere confermata. E non solo una volta ma finché sarà ritenuta valida”. Certo è, ha detto il gesuita, che “le persone che stanno troppo a lungo nelle posizioni di governo possono sviluppare centri di potere. E nella Chiesa non è mai opportuno. L’avvicendamento porta nuove idee, nuove capacità, apertura”.

Lotta agli abusi 

Focus nella conferenza stampa anche sulla questione della lotta agli abusi, ora corroborata dall’integrazione della Pontificia Commissione Tutela minori nel Dicastero per la Dottrina della Fede: “La Commissione ha il compito di prevenire tali delitti, la sezione disciplinare del Dicastero quello di condurre l’azione penale contro di essi”, ha spiegato il gesuita. Tale accorpamento, ha aggiunto, è segno di “quanto la Chiesa stia operando per prevenire che delitti tanto gravi continuino ad essere perpetrati” da preti, religiosi o laici che svolgono funzioni nella Chiesa. È importante far conoscere all’opinione pubblica “l’insieme degli sforzi crescenti e significativi che la Chiesa ha articolato in questi anni in merito alla protezione dei minori”, ha detto il gesuita, lamentando un’eccessiva “enfasi” da parte dei media sugli scandali, piuttosto che su “una più sana considerazione su come combattere gli abusi sessuali, non solo nella Chiesa, ma anche nella società”.

Il ruolo delle Conferenze episcopali

Un cenno infine sulla questione della potestà di magistero delle Conferenze episcopali, in base al principio di “decentralizzazione”. “Ciò che viene stabilito da una Conferenza episcopale non può contraddire il magistero universale, altrimenti ci si pone al di fuori della comunione ecclesiale”, ha detto Ghirlanda. La nuova costituzione si pone “sul piano della comunione ecclesiale tra vescovi, al di là del fatto che si tratti di un atto legislativo o un’interpretazione dottrinale”. “È importante che si crei una comunione più profonda tra i vescovi e la Conferenza episcopale”, ha fatto eco Semeraro, dicendo di aver assistito alla riunione di una Conferenza episcopale “dove si vedevano chiaramente due partiti. Questo non deve accadere nella Chiesa”.