Più che mai attuale l’eredità di studi di Vittorio Bachelet

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Fausta Speranza – Città del Vaticano   

Vittorio Bachelet è stato un giurista, dirigente dell’Azione Cattolica,  esponente democristiano con diversi incarichi presso il Cir (Comitato interministeriale per la ricostruzione, l’attuale Cipe) e la Cassa per il Mezzogiorno. Ottenuta la libera docenza in Diritto amministrativo e in Istituzioni di diritto pubblico, inizia la sua carriera di professore universitario: dapprima è docente di Diritto amministrativo presso la Scuola di applicazione della Guardia di Finanza e presso l’Università di Pavia, poi presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Trieste e, dal 1974, professore ordinario di Diritto pubblico dell’economia presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma.

L’agguato

Il 12 febbraio 1980 su una scalinata dell’Università La Sapienza viene colpito da 32 colpi di arma da fuoco, in un attentato rivendicato dal gruppo delle Brigate Rosse. Due giorni dopo si celebrarono i funerali nella chiesa di San Roberto Bellarmino di Roma. Uno dei due figli, Giovanni, all’epoca venticinquenne, durante la preghiera dei fedeli pronunciò, tra l’altro, queste parole: “Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri.”

L’eredità 

Vittorio Bachelet si era laureato nel 1947 con una tesi in diritto del lavoro, sui Rapporti fra lo Stato e le organizzazioni sindacali. Lascerà poi molti studi proprio in tema di costituzionalismo e di questioni sociali. Per ricordare l’importanza dell’eredità dei suoi studi, abbiamo intervistato Gian Candido De Martin, allora suo assistente, docente di diritto pubblico e presidente del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet” dell’Università Luiss:

Ascolta l’intervista con Gian Candido De Martin

Il professor De Martin ricorda che ci sarebbe tanto da ricordare in campo sociale ma si sofferma sull’ambito del diritto perché è sua area di lavoro. De Martin cita, tra l’altro, i contributi di studio lasciati da Bachelet su quella che definiva l’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica dell’economia. Osserva che le pubblicazioni di Bachelet rimangono un punto di riferimento nella legislazione nazionale e comunitaria.

Intuì la necessità di un maggior coordinamento Stato-regioni

Il professor De Martin sottolinea che la crisi dovuta alla pandemia ha messo in luce più che mai l’importanza di certe intuizioni di Bachelet, richiamando alcuni esempi a partire dalla collaborazione tra Stato e regioni che è risultata drammaticamente necessaria e cruciale nella prima fase di pronta reazione alla diffusione della pandemia e anche dopo. E poi De Martin ricorda l’adesione profonda di Bachelet agli ideali del bene comune. E sottolinea l’importanza di conservare e promuovere l’impegno per il bene comune considerando l’orizzonte europeo, senza cadere in facili e falsi miti di sovranismi.

Nell’Azione Cattolica Italiana

Non abbandona mai, Vittorio Bachelet, la militanza nell’Azione Cattolica scelta da giovanissimo e ne diviene uno dei principali dirigenti nazionali. Nel 1959 Papa Giovanni XXIII lo nomina vicepresidente nazionale e il 6 giugno 1964 Paolo VI lo sceglie come presidente generale, ruolo che gli verrà riconfermato anche per i due mandati successivi, fino al 1973. Per l’ultimo mandato è eletto dal Consiglio nazionale e non più nominato dal Papa, secondo il nuovo statuto incoraggiato proprio da Paolo VI e approvato nel 1969. Bachelet spiegherà che la missione che gli hanno affidato i due Papi era di “rinnovare l’Azione Cattolica per attuare il Concilio”, titolo di un suo libro del 1966. Dal 1976 ricopre anche la carica di vicepresidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, e del Comitato italiano per la famiglia.

In politica

Iscritto alla Democrazia Cristiana, amico e ammiratore di Aldo Moro, dopo le elezioni amministrative del giugno 1976 viene eletto Consigliere comunale a Roma. Il 21 dicembre dello stesso anno viene anche eletto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, del quale fa parte come membro “laico”, cioè eletto dal parlamento in seduta comune con un’ampissima maggioranza costituita praticamente da tutte le forze che componevano il cosiddetto “arco costituzionale”.