Chiesa Cattolica – Italiana

Perù: ad un mese dalla morte di Nadia, il ricordo del suo confessore

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Nell’ultima confessione, prima di Pasqua, “Nadia era addolorata e spaventata dalla gravità della situazione dei bambini della baraccopoli di Nuevo Chimbote, si sentiva quasi schiacciata dal peso della loro miseria”, non solo economica, ma anche “per la violenza, l’immoralità e le situazioni di abbandono” in cui vivono. A raccontare gli ultimi giorni di vita di Nadia De Munari, la missionaria laica dell’Operazione Mato Grosso (Omg) morta un mese fa, il 24 aprile, per le gravissime ferite causate dall’aggressione subita in camera sua, nella notte tra il 20 e il 21 aprile, è padre Armando Zappa, il parroco della chiesa dell’Assunzione della Vergine Maria di Nuevo Chimbote.

L’ ultima confessione: “Desidero incontrare il Padre”

“Mi disse – racconta a Vatican News con il suo inconfondibile accento toscano, di San Miniato in provincia di Pisa – ‘Padre, non ce la faccio più, il male è troppo forte, e distrugge il bene che cerchiamo di fare’. Io le risposi: ‘Non temere Nadia, il bene vincerà il male, ma questo cammino passa sotto la croce’. Non credevo che queste parole diventassero profetiche e si realizzassero così rapidamente. E poi aggiunse ‘Desidero incontrare il Padre’. Ora è dove ha desiderato tanto arrivare”.

Nadia De Munari, la missionaria laica uccisa in Perù

A Nuevo Chimbote Nadia gestiva 5 asili e una scuola

Padre Armando, 66 anni, missionario da 30 ma sacerdote solo da 5, dopo la morte della moglie, missionaria con lui, nel 2013, era infatti anche il confessore della volontaria permanente vicentina di 50 anni, che gestiva sei asili e una scuola elementare realizzati 6 anni fa nella sabbia dell’”Invasione”, come i peruviani chiamano questa baraccopoli di più di 50 mila abitanti. E questa sera alle 18 di Lima, l’1 di notte in Italia, celebrerà nella capitale peruviana, a più di 400 chilometri a sud di Chimbote, la Messa in suffragio, con tutti i volontari dell’Operazione Mato Grosso delle due città e gli studenti delle case del movimento missionario fondato nel 1967 dal salesiano don Ugo De Censi, scomparso nel 2018 e sepolto nel Perù che tanto amava.

Il viaggio in Italia per riportare Nadia a Schio

Padre Zappa ha raccolto Nadia morente, la mattina di quel terribile mercoledì nel centro educativo “Mamma Mia”, ed ha corso in auto per più di 5 ore per portarla prima possibile all’ospedale di Lima, dove i medici hanno cercato inutilmente di salvarla. Ed ha accompagnato il feretro di Nadia in Italia, per il funerale e la sepoltura nella natale Schio, con un altro sacerdote dell’Omg, che padre De Censi ha voluto aconfessionale ma che ha generato tante vocazioni e oggi conta 50 presbiteri missionari in America Latina, con due volontari e con il vescovo ausiliare di Huari Giorgio Barbetta.

Nadia De Munari, (seconda in piedi da destra) con i bambini di uno degli asili che gestiva

La polizia ha chiesto di sospendere le attività 

Ad un mese da quella tragedia racconta che la polizia “e i nostri amici” hanno chiesto all’ Operazione Mato Grosso di “paralizzare” tutta l’attività a Nuevo Chimbote, per non ostacolare le indagini sull’omicidio di Nadia e per motivi di sicurezza. Gli ricordiamo che al funerale nel palasport di Schio, nel suo saluto a Nadia, davanti al feretro, si era impegnato, anche a nome degli altri sacerdoti e dei volontari dell’Omg, “a portare avanti la sua opera, ma anche a raccogliere il suo messaggio: è possibile donarsi agli altri oltre le nostre capacità”.

Ascolta l’intervista a padre Armando Zappa (Omg)

R.- Sicuramente il desiderio e la consapevolezza di dover portare avanti l’opera e il messaggio che Nadia ci ha lasciato è presente in tutti noi e c’è trepidazione, per poter non perdere niente di quello che è stata la vita di Nadia e di questo sogno di padre Ugo di dare una speranza di infinito a chi vive nell’inferno delle baraccopoli. Per il momento la polizia, come anche i nostri amici, ci hanno chiesto, sia per motivi di sicurezza, sia per non ostacolare le indagini, di paralizzare tutta la nostra opera a Chimbote. Ci costa molto fare questo, ma seguiamo quello che c’è stato chiesto. Abbiamo però ricominciato l’attività scolare con i bambini dell’asilo e della scuola elementare a distanza, chiedendo alle mamme di aiutare i propri figli nello studio e nelle varie attività.

Nadia De Munari, con alcuni bambini di Chambara, villaggio sulle Ande peruviane

Cosa vuol ricordare oggi dell’opera di Nadia a Nuevo Chimbote negli ultimi 5 anni, e prima, per tanti anni a Chambara, sulle Ande?

R.- Nadia era una persona semplice, di origine contadina, che amava la natura, l’ordine, la pulizia e aveva trovato tutto questo nella sua vita a Chambara, dove dirigeva un piccolo asilo, in cui conosceva perfettamente ogni bambino, ogni famiglia, le poche professoresse.  Questa vita naturale e lenta la faceva felice e la portava vicino al Signore. In questo ambiente, lascia un ricordo bellissimo e riesce a formare delle maestre molte delle quali ora insegnano negli asili di Chimbote, non solo capaci didatticamente ma soprattutto di una grande umanità, e di un grande spirito di servizio. Nel passare dalla sierra verde al deserto di Chimbote, nel lasciare una piccola opera per farsi carico di un progetto grande e difficile a Nadia sono stati tolti i suoi caposaldi, le sue sicurezze. Questa è stata proprio la parte più eroica della sua vita: andare contro la sua indole, per seguire il padre Ugo, per accompagnarlo in questo sogno di dare un futuro e una speranza che va aldilà dell’uomo, ai bambini più poveri di questa enorme baraccopoli. Anche nella realtà di una grande opera, sei asili con quasi 400 bambini, Nadia riusciva a conoscere e accompagnare personalmente ogni bambino e ogni famiglia. Riusciva a creare negli asili un ambiente bello, ordinato, pulito: un angolo di paradiso che si apriva nell’inferno delle baraccopoli. Desidero ricordare proprio questa capacità di Nadia di arrivare al cuore di ogni bambino, di ogni famiglia, come fosse unico e speciale, di far sentire ognuno cercato, accompagnato, amato.

Nadia ha avuto la sensibilità di cercare di aiutare anche le famiglie dei bambini dei suoi asili e della scuola elementare, nel dramma dell'”Invasione”. Forse da questo suo impegno è nato il suo martirio?

R.- In questo momento delle indagini, non siamo assolutamente in grado di capire quali siano state le cause del martirio di Nadia. Certo, nel momento in cui uno entra e si immerge nella miseria più profonda, col desiderio di affrontare i problemi e trovare delle soluzioni, sa già che entra un ambito che può essere pericoloso. Nadia soffriva moltissimo nel vedere la situazione in cui vivevano i suoi bambini. Non tanto per la povertà materiale, quanto per la violenza, l’immoralità, le situazioni di abbandono a cui la maggior parte dei suoi bambini erano sottoposti. Entrava decisa nelle situazioni, non lasciava niente di intentato. Esigeva dai genitori un cambio, a volte incoraggiandoli, spronandoli con dolcezza, a volte scuotendoli con forza, anche arrabbiandosi. Negli ultimi periodi era molto spaventata della gravità della situazione in cui vivevano questi bambini e si sentiva schiacciata da questa mole di miseria. Nell’ultima confessione, in cui si sentiva particolarmente fragile, mi disse: “Padre, non ce la faccio più, il male è troppo forte, e distrugge il bene che cerchiamo di fare”. Io le risposi con queste parole che le rimasero scolpite nel cuore e che scrisse ad una sua amica. “Non temere Nadia, il bene vincerà il male, ma questo cammino passa sotto la croce”. Non credevo che queste parole diventassero profetiche e si realizzassero così rapidamente.

Padre Armando Zappa, parroco di Nuevo Chimbote e confessore di Nadia De Munari

Lei che vive con queste famiglie, i suoi parrocchiani, come descriverebbe a noi occidentali benestanti la vita a Nuevo Chimbote?

R.- La gente arriva nell’Invasione di Chimbote, come in tutte le periferie delle grandi città del Sudamerica, seguendo il miraggio di una vita comoda, di prosperità, di possibilità di studio per i propri figli, di ricchezza. Ma questo mondo moderno chiude loro le porte in faccia e li obbliga a rifugiarsi nel deserto, a occupare un terreno non proprio, “un raggio”, come lo chiamano loro e a costruirci una baracca fatta di stuoie, di cartoni, di compensato. Tutti i sogni di prosperità e di speranza sono subito infranti e resta solo una grande disperazione. La vita è completamente innaturale, non c’è nessuna intimità. Solo una parete di stuoia, di compensato, ti separa dal vicino. Soprattutto i bambini, non sono preservati da niente: ascoltano le grida, le litigate dei vicini. Ascoltano e vedono scoppiare la violenza sia in casa loro che in quella dei propri vicini. Sono sottoposti molte volte loro stessi a violenze, a violazioni. La vita è tutta avvolta dall’incertezza, nessuno ha un lavoro stabile, tutti vivono di espedienti. Non sai neanche se potrai restare nella tua baracca o se la polizia o qualche vicino prepotente ti butterà fuori e ti brucerà tutto, per lasciarti senza niente. Non c’è acqua, non ci sono fogne: l’acqua è un lusso, che si paga cara comprandola a secchi. Nelle ultime Invasioni non ci sono né scuole né asili ed è difficile trovare un posto libero nelle scuole lontane. Le speranze muoiono presto e resta solo, il più delle volte, la disperazione, un senso di sconfitta. E allora molti si lasciano andare all’alcol, e tutto diventa ancora più brutale e violento.

Qual’è l’ultimo ricordo di Nadia che ha? A cosa stava lavorando negli ultimi giorni?

R.- Nel ricordare Nadia nasce subito una grandissima nostalgia. Come se a me e a tanti bambini fosse stata tolta qualcosa di importante, di vitale. In quest’ultimo periodo era soprattutto preoccupata di poter riaprire gli asili, dopo un anno di scuola a distanza, che aveva costretto i bambini a vivere rinchiusi nelle loro baracche di 50 metri quadrati. Vedere gli effetti disastrosi di questa segregazione la lasciava molto spaventata. Così, anche se non era ancora prevista dallo Stato una riapertura delle scuole, è riuscita ad aprire le porte degli asili e ad accogliere i nuovi bambini, pur rispettando al contempo tutti i protocolli per preservarsi dal contagio del Covid-19. Ritrovare i bambini era stato per lei una grandissima gioia e tutti i genitori le erano particolarmente grati. Il ricordo più dolce di Nadia è la sua ultima confessione prima di Pasqua. Un momento molto intenso, in cui esprimeva un grande dolore e il desiderio dell’incontro con il Signore. Mi restano nel cuore le sue parole: “Desidero incontrare il Padre”. Ora sarà fra le sue braccia, e mentre noi non capiamo e non accettiamo quello che è successo, lei è finalmente dove tanto ha desiderato arrivare.

La gente di Nuevo Chimbote sta cercando di trovare una spiegazione per questa tragedia e questa violenza senza senso, su chi era in mezzo a loro solo per aiutarli?

R.- Tutte le persone che conoscevano Nadia e tutte le persone che girano intorno alle nostre opere, sono sconcertate da quello che gli è successo e non riescono come noi a farsene una ragione. Non si trovano spiegazioni, ne colpevoli, ma tutti resta nel cuore la vita di Nadia, e questa è la cosa più importante. E’ stata per tutti noi una consolazione dolcissima l’ultimo saluto a Nadia dei tuoi bambini degli asili e dei loro genitori. Quante mamme abbracciandomi in lacrime mi hanno raccontato tutto il bene ricevuto da Nadia, le loro piccole storie con lei, la loro grande nostalgia. Tutti si sentono orfani ed hanno bisogno di ritrovare in noi questo stessa amore che Nadia gli ha regalato. Sempre più sento che è importante la vita di Nadia e non la sua morte assurda e violenta. La vita illumina, dà speranza e gioia che neanche un’atrocità così grande come la sua morte può distruggere.

Sempre al funerale, lei ha chiesto a Nadia di aiutarvi a vivere come lei “tutto per il Signore”. Quindi, anche se si diceva ancora in ricerca, la fede di Nadia era comunque forte?

R.- Con questa domanda mi chiede di entrare nel cuore dell’anima di Nadia e ho paura di non riuscire a descrivere bene ciò che viveva e soffriva. In Nadia c’era una ricerca fortissima di Dio, che non nasceva però da una fede forte e sicura, ma da un’oscurità profonda che la avvolgeva. Questa notte della fede che l’accompagnava già da vari anni, non toglieva ma anzi accendeva in lei, in maniera ancora più forte, un desiderio profondissimo di Dio. Tutta la sua vita regalata era guidata dalla commozione verso i poveri ma anche da questo bisogno di incontrare un Signore che si nascondeva i suoi occhi e che la sua testa razionale distruggeva. Questo credo che sia il messaggio più bello che Nadia lascia a noi, e a tutti i ragazzi di questo mondo, tante volte lontani dalla fede e dalla chiesa: è possibile giocare tutta la vita per il Signore anche senza incontrarlo, cercandolo proprio negli ultimi, nell’amore per chi non ha nulla, nel desiderio infinito di regalare tutto di sé per trovare il Signore. Lei ha giocato tutta la vita così, lei è arrivata la metà. Ora tocca a noi tutti raccogliere questa ricerca e giocare anche noi tutta la vita per gli altri.

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