Perché i contadini indiani protestano contro il Governo

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

Di nuovo al tavolo, con la speranza che si trovi finalmente un accordo. Il colloquio di oggi a Nuova Delhi tra gli agricoltori indiani che si oppongono alla riforma del loro settore ed esponenti del Governo è il sesto dall’inizio della protesta. Di certo tra le più vaste nella storia del Paese, dopo l’indipendenza. In vista dell’incontro odierno, i ministri all’Agricoltura Narendra Singh Tomar e quello al Commercio e Industria e alla Distribuzione del cibo, titolare anche delle Ferrovie, Piyush Goyal, si sono incontrati ieri con Amith Shah, il ministro degli Interni, restio a modificare la riforma. Sono 40 gli agricoltori che incontreranno i ministri, in rappresentanza della Samyukt Kisan Morcha, la piattaforma delle oltre 400 sigle e organizzazioni coinvolte nell’agitazione.

La riforma

Bisogna tornare al mese di settembre per comprendere quanto sta accadendo in India. Una premessa: quasi la metà della popolazione del Paese è formata da contadini, oltre 600 milioni di persone, ed i terreni coltivati sono controllati per quasi nove decimi da piccoli agricoltori. Detto questo, lo scorso 20 settembre, senza alcuna consultazione preventiva con le organizzazioni agricole, il Parlamento ha approvato tre leggi che liberalizzano la vendita dei prodotti agricoli e sembrano andare nella direzione di un mercato unico. In base alla riforma, i contadini ed i commercianti hanno ora la libertà di vendere e acquistare senza vincoli di prezzo e con il coinvolgimento anche dei privati.

Il braccio di ferro

Senza un sistema di prezzi minimi di sostegno, in grado fino ad oggi di garantire stabilità ai lavoratori, i contadini temono che la grandissima parte di loro vedrà peggiorare la propria condizione. In modo anche grave, al quale sarà poi impossibile porre rimedio. Gli agricoltori sottolineano che non avranno più alcun potere di trattativa con le grandi catene di distribuzione e che a beneficiare della riforma saranno solo le società agricole di ampie dimensioni. Il Governo, con il primo ministro Narendra Modi, replica affermando che grazie alle nuove norme i lavoratori saranno liberi dagli intermediari e che l’aumento di investimenti privati porterà anche ad un incremento di reddito per i contadini. Due posizioni, dunque, profondamente distanti che hanno dato vita negli ultimi mesi ad un lungo braccio di ferro ed a proteste sempre più partecipate.

Le proteste

L’agitazione è cominciata con l’inizio dell’autunno ed è culminata con l’enorme marcia a Delhi dello scorso 26 novembre. Molti gli scioperi generali proclamati in queste settimane – i bharat bandh -, arrivati dopo che le agitazioni si erano inizialmente manifestate a livello locale. “Siamo contadini indiani, non terroristi”, è uno degli slogan più utilizzati dai manifestati, disposti ad andare in prigione pur di vedere riconosciuti i loro diritti. A sostegno dei coltivatori si sono espressi diversi partiti di opposizione: dal Congresso nazionale indiano (INC), principale forza di minoranza, al Partito dell’uomo comune (Aap), fino ad altre formazioni minori. Modi ha bollato le parole dei politici all’opposizione come false e veicolo di informazioni distorte.

I vescovi accanto alle persone 

Anche il Consiglio episcopale cattolico del Kerala (Kcbc) ha chiesto all’esecutivo di Nuova Delhi di rispondere alle richieste delle centinaia di milioni di contadini del Paese. “Milioni di famiglie di contadini sono preoccupati a causa delle nuove leggi agrarie”, ha affermato di recente il cardinale George Alencherry, dopo un incontro di tre giorni del Kcbc, al quale hanno partecipato 42 vescovi della regione. Per questo, i presuli hanno esortato il Governo a dare una risposta immediata alle esigenze dei piccoli coltivatori che “costituiscono la maggioranza della popolazione indiana”. Padre Jacob G. Palackapilly, segretario generale del Kcbc, ha affermato di come i vescovi siano convinti che le nuove leggi agrarie non vadano nell’interesse degli agricoltori, e perciò chiedono al governo di ritirarle.

La pandemia 

L’India è in recessione a causa della pandemia, un crollo del Pil che il Paese non conosceva da un quarto di secolo. Se è vero che il premier Modi continua a godere di una vasta approvazione – quasi tre indiani su quattro, secondo i dati della Morning Consult -, va anche sottolineato come il settore agricolo indiano sia stato segnato negli ultimi decenni da alti livelli di indebitamento, carestie, siccità e prezzi bassi. Tutte problematiche che finiscono per coinvolgere la grande maggioranza della popolazione indiana. Venendo ai numeri della pandemia, l’India registra oltre 10 milioni di contagi quest’anno. Altrettanti all’incirca i guariti. Sono quasi 150mila, invece, le vittime.