Per molti è suor Veera Bara, per i migranti è la “mamma”

Vatican News

Margaret Sunita Minj

Suor Veera, delle Suore della Carità e della Croce, ha iniziato a lavorare qui a Caltanissetta con i rifugiati nel 2015; insegna loro l’italiano, li aiuta a ottenere i documenti necessari e l’assistenza medica in caso di malattia. I migranti non conoscono il suo vero nome: la chiamano semplicemente “mamma”. Quando le ho chiesto dove abbia trovato il coraggio per affrontare la sfida rappresentata da questo compito, suor Veera mi ha risposto: “Il motto del nostro fondatore, padre Teodosio Florentini, è ‘nei bisogni del tempo leggiamo la volontà di Dio’, e questo mi aiuta ad andare oltre le barriere religiose e culturali, mi dà il coraggio per andare avanti e aiutare gli altri. La Beata Madre Maria Theresia Scherer, la co-fondatrice della nostra congregazione, diceva: ‘Tutto è possibile con il Signore e per il Signore’”.

Per 22 anni operatrice pastorale e sociale in Uganda

Suor Veera è nata il 13 luglio 1957 a Neematoli, Farsabahar, nel distretto di Chhattisgarh. Ha due fratelli e una sorella maggiori. Il padre morì sei mesi dopo la sua nascita. La sua famiglia si riuniva in casa per recitare le preghiere della sera e Veera partecipava alle opere di solidarietà per i ragazzi. A volte guidava le preghiere e i canti nel suo villaggio. Una volta gettati i semi della vita religiosa, dopo avere frequentato una delle loro scuole, nel 1978 entra nella congregazione delle Suore della Santa Croce e prende il primo voto l’8 dicembre 1982. Suore Veera accetta di andare missionaria in Uganda e parte per il suo nuovo incarico nell’ottobre 1993, insieme ad altre tre consorelle. È stata impegnativa la sfida di amalgamarsi con il nuovo ambiente, la nuova lingua, la cultura e la gente. “Tutto questo mi ha insegnato a essere più paziente, più coraggiosa, ad avere uno spirito missionario”, racconta. L’accoglienza, il sostegno e l’amore ricevuti dalle consorelle, dalla gente del posto e dai superiori l’hanno aiutata a svolgere, nei 22 anni ugandesi, diversi incarichi come operatrice pastorale e sociale, animatrice vocazionale, formatrice, superiora e consigliera.

La missione in due centri per rifugiati in Sicilia

Nel 2015, un nuovo incarico attende suor Veera: la chiamata è per la Sicilia, in una comunità inter-congregazionale e internazionale. Questa comunità era stata creata su richiesta di Papa Francesco che, nel 2013, aveva ascoltato il grido dei migranti a Lampedusa. Il Papa allora espresse il desiderio che le religiose dell’Unione internazionale delle superiore generali, lavorassero insieme tra i migranti. E così, nel 50mo anniversario dell’istituzione dell’Uisg, nel 2015, le superiore generali decidono di aprire in Sicilia due centri per aiutare i rifugiati. Religiose di diverse congregazioni sono invitate a formare una comunità nella quale lavorare insieme: la scelta cade su 10 suore di 9 Paesi e di 8 istituti. Suor Veera, insieme ad altre 9 religiose, arriva a Roma nel settembre 2015 per ricevere una formazione di base nella lingua italiana. Il 2 dicembre, dopo l’udienza generale, il gruppo riceve la benedizione di Papa Francesco per l’inizio della sua nuova missione in Sicilia.

Il sostegno a giovani donne nigeriane

Ancora una volta, tutto è nuovo: il luogo, come iniziare, sfide sconosciute… Spinta dal carisma e dal motto della sua congregazione, suor Veera fa un passo dopo l’altro. Le viene chiesto di assistere 20 donne nigeriane ospitate in un convento locale. Questa esperienza le insegna davvero molto sulla tratta delle persone: queste giovani donne, distrutte fisicamente, mentalmente e spiritualmente hanno bisogno di qualcuno che le ascolti, le capisca e che le ami così come sono.

Con i migranti a Caltanissetta

Nell’ottobre 2016 suor Veera si trasferisce a Caltanissetta. È sconvolta alla vista di circa 170 rifugiati musulmani che vivono all’aperto, sotto ricoveri fatti di arbusti, senza acqua, cibo, medicine, con il minimo indispensabile di vestiti e con un’igiene inesistente. La loro urgente necessità di beni di base le fa dimenticare le sue piccole difficoltà. La presenza della suora fa capire ai rifugiati che Allah è con loro, e la speranza inizia a rinascere nei loro cuori spezzati. La loro fiducia, il rispetto, la preoccupazione e l’amore che hanno per lei la sollevano dal timore che aveva avuto prima di incontrarli: per la strada, nei campi profughi, negli ospedali, nelle famiglie, nelle chiese. Nell’aprile 2017 affronta un’ulteriore sfida, inizia a insegnare l’italiano ai rifugiati. Sorpresa: nell’arco di pochi giorni, la sua classe arriva a 25-30 ragazzi che apprezzano il suo metodo di insegnamento.

La felicità di condividere gioie e dolori 

Suor Veera si è fatta anche mediatrice tra i migranti e i leader religiosi, i medici, gli avvocati, la polizia e le autorità scolastiche di Caltanissetta. In tutto questo si avvera quello che il fratello scomparso le aveva predetto: “Hai lasciato la tua famiglia, ma troverai tante case e tante persone che ti amano. Ovunque andrai, troverai una tua famiglia, troverai fratelli e sorelle”. Suor Veera inizia a sentirsi parte di queste famiglie di migranti e condivide la loro povertà e le loro fatiche. “Sono felice”, mi dice suor Veera, “quando le famiglie dei migranti mi considerano una di loro e condividono con me le loro gioie e i loro dolori. I bambini, figli dei migranti pakistani e africani, i ragazzi, le ragazze, tutti mi chiamano ‘mamma’”.
Dopo cinque anni di servizio tra i rifugiati in Sicilia, suor Veera è tornata in Uganda dove continua la sua missione.