Parolin: COP26 dovrà affermare la centralità del multilateralismo e dell’azione

Vatican News

MASSIMILIANO MENICHETTI

Sarà il più grande vertice internazionale che il Regno Unito abbia mai ospitato. Nella cornice vittoriana di Glasgow intorno al tavolo della XXVI Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico ci saranno oltre 30.000 delegati, quasi 200 leader mondiali, esperti climatici e attivisti. L’obiettivo sarà quello di aggiornare i piani di riduzione delle emissioni per contrastare i livelli di riscaldamento globale. Lo scorso 26 ottobre il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha lanciato un nuovo allarme auspicando azioni concrete per tutelare il pianeta: “Siamo sulla buona strada per la catastrofe climatica – ha detto commentando l’Emission Gap Report 2021 -. L’era delle mezze misure e delle false promesse deve finire e il tempo per colmare il divario di leadership deve iniziare a Glasgow”. E ieri Papa Francesco in un audio-videomessaggio alla BBC, proprio guardando alla conferenza che si terrà nella città scozzese, ha auspicato “scelte radicali” per far uscire l’umanità dalle tante crisi trasversali e interconnesse che sta attraversando. Il cardinale Pietro Parolin guiderà la delegazione della Santa Sede a Glasgow:

Eminenza si apre la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop26. Con quale obiettivo la Santa Sede sarà presente?

La COP26 è la prima Conferenza della Convenzione-Quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici che si svolge dopo la diffusione del Covid-19, nonché la Conferenza che deve sancire le modalità concrete per attuare gli impegni previsti dall’Accordo di Parigi del 2015. È ben noto come il percorso per una sua efficace implementazione, anche alla luce della pandemia, sia piuttosto complesso e incerto. È vero che è stato avviato un processo di transizione verso un modello di sviluppo libero da tecnologie e comportamenti che incidono sulle emissioni di gas serra; l’interrogativo principale è quanto sarà veloce questo processo di transizione e se sarà in grado di rispettare i tempi dettati dalla scienza. L’auspicio della Santa Sede è che la COP26 possa realmente riaffermare la centralità del multilateralismo e dell’azione, anche attraverso i cosiddetti attori non statali. Vista la lentezza di progresso, l’importanza della Conferenza di Glasgow è significativa, in quanto attraverso di essa si potrà misurare e stimolare la volontà collettiva e il livello di ambizione dei singoli Stati.

La precedente edizione a Madrid si chiuse con un invito a “sforzi più ambiziosi”. Lei disse: “è una sfida di civiltà”. Cosa si profila adesso?

Viviamo in un momento significativo della nostra storia. Le risposte al Covid-19 e ai cambiamenti climatici possono realmente dare seguito all’auspicio espresso da Papa Francesco nella Laudato si’ che: «mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità». Si tratta, appunto, di una sfida di civiltà a favore del bene comune e di un cambiamento di prospettiva, che deve porre la dignità umana al centro di ogni azione. Fenomeni globali e trasversali come la pandemia e il cambiamento climatico mettono sempre più in risalto quel cambio di rotta richiesto da Papa Francesco fondato sulla consapevolezza che dobbiamo lavorare tutti insieme nel rinsaldare l’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente naturale, con una particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili.

Nell’enciclica Laudato si’ Francesco sostiene un’ecologia integrale in cui la cura del Creato, l’attenzione ai poveri, l’impegno nella società e la costruzione della pace, risultano inseparabili. Quali sono le urgenze?

È ormai profondamente evidente come degrado ambientale e degrado sociale siano fortemente interrelati. Questo è anche uno dei concetti chiave dell’ecologia integrale: «pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre questioni del tutto connesse, che non si potranno separare in modo da essere trattate singolarmente, a pena di ricadere nuovamente nel riduzionismo». Per questo motivo, è importante che alla COP26 emerga anche una chiara risposta collettiva non solo per favorire le attività di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico da parte di tutti i Paesi, ma anche per aiutare quelli più vulnerabili ad affrontare i danni e le perdite derivanti da tale fenomeno, che purtroppo sono già una realtà in numerose contesti.

Costante è l’appello del Papa ad adottare comportamenti e azioni modellati sulla interdipendenza e corresponsabilità, in un mondo in cui “tutto è connesso” ed in cui gli obiettivi per la riduzione dell’inquinamento, per la eco-sostenibilità, fissati nell’Accordo del 2015 a Parigi sembrano ancora lontani. Quali sono le vie da percorrere?

Durante l’incontro con i leader religiosi e gli scienziati svoltosi il 4 ottobre scorso per consegnare un Appello congiunto alla COP26, il Santo Padre ha messo in luce l’importanza di adottare uno sguardo votato all’interdipendenza e alla condivisione. «Non si può agire da soli, ma è fondamentale l’impegno di ciascuno per la cura degli altri e dell’ambiente che porti al cambio di rotta così tanto urgente; impegno che va alimentato anche dalla propria fede e spiritualità […] Un impegno che va sollecitato continuamente dal “motore dell’amore”», il quale va ravvivato giorno per giorno. È una sfida questa che si pone di fronte alla necessità di contrastare quella “cultura dello scarto”, prevalente nella nostra società e che si nutre di ciò che l’Appello congiunto chiama i “semi dei conflitti: avidità, indifferenza, ignoranza, paura, ingiustizia, insicurezza e violenza”. Ecco, il percorso volto sia a conseguire gli obiettivi per l’eco-sostenibilità sia a perseguire la lotta al degrado socio-ambientale deve partire da questa consapevolezza di passare da una “cultura dello scarto” a una “cultura della cura”. Solo in questo modo si potrà rendere realmente efficace quanto scritto nell’Accordo di Parigi.

Il Santo Padre guardando a quella che ha definito “transizione ecologica” che stiamo vivendo, ha parlato di “obbligo di svolta”, guidati dalla speranza che “possiamo sempre cambiare rotta”. Cosa si aspetta concretamente da questa Conferenza delle Nazioni Unite?

I dati più recenti provenienti dai vari Organismi scientifici internazionali non sono affatto incoraggianti circa il cammino che sta portando avanti la comunità internazionale per conseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Ciò mette in luce le difficoltà di questo cambio di rotta, ma contestualmente ne evidenzia sempre più l’urgenza. Abbiamo i mezzi e le risorse per questo cambio di rotta; ciò che ancora sembra mancare è una chiara volontà politica. Questo cambio di rotta deve essere fatto coinvolgendo tutti; nessuno può rimanere indietro né tanto meno può evitare di coinvolgersi con coscienza di fronte a questa grande sfida. I giovani sono i primi a rendersene conto. Come dice l’Appello che hanno sottoscritto leader religiosi, «abbiamo ereditato un giardino: non dobbiamo lasciare un deserto ai nostri figli». La COP26 rappresenta un momento importante per ribadire con concretezza le modalità di realizzazione di questi auspici.