Parolin a Juba: “Mai più lotte fratricide, la pace non si ottiene con violenza e corruzione”

Vatican News

Salvatore Cernuzio – Inviato a Juba

“Disarmare il male” col perdono, “disinnescare la violenza” con l’amore, “resistere all’oppressione” con la mitezza. Perché “il male del mondo non si vince con le armi del mondo” e “la pace non si ottiene con la guerra”. Il cardinale Pietro Parolin celebra la Messa a Juba e, alzando gli occhi al cielo da dove scende una pioggia battente, scandisce: “Mai più violenza, mai più conflitti fratricidi, mai più guerra”. Invoca quindi da Dio una benedizione per il Sud Sudan, terra “ricca di risorse e possibilità” ma allo stesso tempo “oscurata dalla violenza”.

Presente Salva Kiir

In prima fila alla celebrazione c’è il presidente Salva Kiir, seduto nella tribuna d’onore allestita sotto un tendone. Al suo fianco, il vice primo presidente Riek Machar. Il segretario di Stato, al penultimo giorno di viaggio nel Paese africano, parla ad ognuno delle circa 15 mila persone riunite per la Messa: un popolo “gravato dal giogo dell’oppressione, della povertà e del lavoro”, dice riprendendo le parole del profeta Isaia, “ma che desidera rallegrarsi nella libertà”.

Atmosfera solenne

La Messa si svolge nel John Garang Mausoleum Park, il memoriale dedicato al qui compianto leader del Sudan People’s Liberation Movement/Army e primo vice presidente del Sudan dopo gli Accordi di pace. È lo stesso luogo in cui avrebbe dovuto celebrare il Papa. Il palco è allestito in modo festoso con alcuni dei colori della bandiera del Sud Sudan: bianco, rosso, verde, giallo. Parolin entra in processione, preceduto da un gruppo di giovani donne e uomini che, a piedi nudi, con magliette bianche e gonne e pantaloni tribali, eseguono una danza al suono di pianole e tamburi. Sono presenti tutti i vescovi del Sud Sudan che concelebrano con il cardinale. E tra le prime file sono seduti i leader anglicani, pentecostali, evangelici e di altre confessioni cristiane membri del Council of Churches che, prima della Messa, hanno incontrato privatamente il cardinale. Dall’assemblea, dove sono distribuiti libretti con la fotografia di “His Eminence Cardinal Pietro Parolin”, ogni tanto si sente qualche urlo delle donne. In generale l’atmosfera è raccolta, più solenne rispetto al tripudio di gioia che è stata la celebrazione di ieri mattina nel campo sfollati di Bentiu.

La benedizione del Papa 

E come a Bentiu, il cardinale inizia la sua omelia portando “il saluto e la benedizione del Santo Padre Papa Francesco, che si desiderava molto essere qui oggi per un pellegrinaggio ecumenico per la pace e la riconciliazione in questo giovane Paese, così pieno di opportunità e così gravemente afflitto”.  

Non rispondere al male con il male

Il cardinale muove la sua riflessione a partire dal presente del popolo sud sudanese, dalle sue difficoltà e le sue sfide, ma guarda, indicando la strada che, dice, è quella del Vangelo e non quella dei “nostri soliti modi di agire e reagire di fronte al male”. Il messaggio è “diverso”, sottolinea il porporato, è “rifiutare di rispondere al male con il male”.

“Rinunciare alla vendetta… Amare e perdonare sempre”, dice il cardinale a un popolo come quello del Sud Sudan piagato da anni di guerra civile. “La carne spinge a rispondere al male in alcuni modi”, ma Gesù invita ad aprirsi “al coraggio dell’amore”. Un amore che “non è imprigionato nella mentalità dell’‘occhio per occhio, dente per dente’, non risponde al male con la vendetta, non risolve conflitti con la violenza”. Questo però, sottolinea il cardinale, “non significa diventare vittime passive, o essere deboli, docili e rassegnati di fronte alla violenza. Al contrario significa disarmare il male, disinnescare la violenza e resistere all’oppressione”.

L’unica strada per il futuro: vivere come fratelli

“Il male del mondo non può essere vinto con le armi del mondo”, rimarca Parolin, interrotto dagli applausi. “Se vuoi la pace, non puoi ottenerlo con la guerra. Se vuoi giustizia, non puoi ottenerlo con metodi ingiusti e corrotti. Se vuoi la riconciliazione, non puoi usare la vendetta. Se vuoi servire i tuoi fratelli e sorelle, non puoi trattarli come schiavi. Se vogliamo costruire un futuro di pace, allora, c’è solo una strada da prendere: amare l’un l’altro per vivere come fratelli e sorelle”. Perché “quando lasciamo troppo spazio per risentimento e amarezza del cuore, quando avveleniamo i nostri ricordi con l’odio, quando coltiviamo rabbia e intolleranza, ci distruggiamo”.

Azioni concrete per il processo di pace 

“Ora – afferma Parolin – è il momento in cui Dio, che ascolta sempre il grido della sua gente oppressa, ci chiede di essere artigiani di un nuovo futuro. Ora è il momento della responsabilità e delle azioni concrete, il tempo di abbattere le pareti dell’odio, per rompere il giogo di ogni ingiustizia, per lavare nel perdono e nella riconciliazione le vesti intrise di sangue e violenza”. Da qui la preghiera che “il Signore possa toccare i cuori di tutti, e in particolare quelli che detengono posizioni di autorità e grande responsabilità, in modo che ci sia fine alla sofferenza causata da violenza e instabilità e che il processo di pace e riconciliazione possa andare avanti rapidamente con azioni concrete ed efficaci”.

L’incontro con il Parlamento nazionale 

Lo stesso auspicio è stato ribadito nell’incontro di questa mattina con i deputati della Revitalized Transitional National legislative Assembly, il Parlamento nazionale istituito per favorire l’attuazione degli Accordi di pace del 2018. L’invito a visitare la sede è giunto ieri pomeriggio. “Ho accettato immediatamente perché sono consapevole della vostra importanza per la democrazia”, ha detto il cardinale incontrando nella Blue Room una rappresentanza dei circa 500 parlamentari, dei quali – ha sottolineato la speaker – oltre il 20% sono donne. “Voi rappresentate la gente e i suoi interessi”, ha rimarcato Parolin, e per la gente bisogna realizzare le richieste di “giustizia, libertà e prosperità” impresse sullo stemma del Parlamento. Come nel colloquio con Salva Kiir, anche coi parlamentari il cardinale ha ripetuto le parole del Papa nel ritiro in Vaticano con i leader sud sudanesi del 2019: “Sappiamo che ci saranno difficoltà ma, per favore, andate avanti. Non rimanere bloccati nelle difficoltà. Dovete andare davanti per il bene e per la sicurezza della gente”.

Dialogo con i leader ecumenici 

Ai rappresentanti del Council of Churches, il cardinale Parolin ha lasciato invece tre indicazioni a nome del Papa che proprio in Sud Sudan avrebbe dovuto compiere un “pellegrinaggio ecumenico” con l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. La prima: “Annunciare Cristo che è la risposta a tutte le aspettative, i desideri, i sogni delle persone”. Poi l’“unità”, nonostante le “differenze”. Infine, “soddisfare le richieste di giustizia, di pace, libertà e prosperità” della popolazione. “È un lavoro duro” ma bisogna farlo e farlo insieme, ha detto Parolin, che ha confidato la personale commozione nella visita di ieri al campo sfollati di Bentiu: “Mi ha veramente scosso l’esperienza nel campo. Persone che vivono in condizioni elementari. Molti bambini… Loro ci danno speranza per il futuro. Dobbiamo metterci insieme e unire le forze religiose e politiche per dare giustizia a questa gente”.