Pagine antiche di una identità moderna

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Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

“L’Infermiere è un Cavaliere professo, al di cui zelo è raccomandata la Cura dell’Infermi, i quali deve provedere di letto secondo la loro condizione e bisogno…”. Basta un incipit a contenere una identità. Un Cavaliere che cura i malati “con zelo”. E più avanti si dirà che quel Cavaliere dorme non distante da chi lotta contro un morbo e che offre aiuto a quello che oggi definiremmo il personale sanitario, perché effettui le sue visite “con la dovuta carità”. Norme antiche di quasi 300 anni che – a parte risentire di un affascinante vocabolario e una sintassi d’altri tempi – configurano un dovere, e uno stile, perennemente attuali, che un tempo di pandemia può far ulteriormente risaltare.

L'”acqua fresca” del carisma

È quanto riaffiora, con la finezza di una elegante riproduzione tipografica, dal “Regolamento della Sacra Infermeria” dell’Ordine di Malta edito nel 1725 e riproposto in cofanetto – in copie anastatiche di pregio, curate dalla casa editrice Antiga – con il corredo di un volume che in tre lingue – italiano, inglese e francese – approfondisce e ribadisce con contributi e firme di primo piano la missione dell’Ordine ospedaliero. Missione che dal fondatore Fra’ Gerardo Sasso, poco dopo il 1100, all’attuale Luogotenente di Gran Maestro Fra’ Marco Luzzago, nove secoli dopo, tiene nel cuore chiunque abbia bisogno di aiuto – malato, povero, rifugiato. Cambiata l’organizzazione, evoluta la tecnologia, il “servizio di carità”, annota nel suo testo il cardinale Silvano Maria Tomasi, delegato speciale del Papa per l’Ordine melitense, continua in ogni caso a essere “l’acqua fresca” che suggerisce “nuove strade per vivere il carisma iniziale”.

Numeri di un servizio globale

Del resto, evidenzia lo stesso Fra’ Marco Luzzago nella prefazione, l’obiettivo della pubblicazione è di richiamare l’attenzione “su quella che è l’originaria e sempre presente e viva vocazione dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme”: l’accoglienza a malati, feriti, poveri e rifugiati “accompagnata da una spiritualità” vissuta alla luce di Dio. I numeri descrivono bene il lavoro della “più antica missione medica al mondo”: 13.500 membri, 80 mila volontari permanenti e personale qualificato composto da 42 mila professionisti. E ancora, 20 ospedali, 110 residenze per anziani e alcune centinaia di centri medici finanziati e gestiti direttamente, programmi condotti in autonomia o in accordo con governi e agenzie internazionali sviluppati in 120 Paesi. Un esempio su tutti: l’Ospedale della Sacra Famiglia di Betlemme ha visto nascere fra le sue mura dal ’90 86 mila bambini come pure il 70% circa di tutti i neonati di Betlemme, con tasso di mortalità infantile inferiore all’1%.  

D’azione e d’affetto

Il profilo dell’ospedale che emerge dalla lettura del Regolamento del 1725 restituisce uno spaccato per niente impolverato della quotidianità dell’epoca. Per il cardinale Gianfranco Ravasi sembra di assistere a una di quelle serie tv dedicate all’ambiente medico, in cui è possibile visualizzare perfino gli spazi in cui i malati venivano accuditi, antiche sale adornate, si legge, con arazzi di lana e con quadri che sono in buona simmetria, “ben diverse – osserva il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura – dalle pareti scrostate che non di rado costellano alcuni nosocomi moderni”. Per il porporato nelle pagine ingiallite della “Sacra Infermeria” si scorge in filigrana la figura del Buon Samaritano, il cui amore misericordioso verso lo sventurato a bordo strada, afferma, è più “appassionato” che “compassionevole” e in effetti, prosegue, l’amore del Samaritano è “operoso” e insieme “affettuoso”, perché guarda alla persona malata nella sua globalità.

Precursori

Gli altri interventi pubblicati costruiscono un mosaico che oscilla tra passato e presente. Pensando alla “catastrofe educativa” paventata da Papa Francesco, il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo e già presidente della Conferenza episcopale maltese, ricorda assieme all’avvocato Philip Farrugia Randon che le lezioni di medicina e di anatomia impartite ai sanitari e ai giovani Cavalieri siano all’origine, verso il 1670, della facoltà di medicina dell’Università di Malta, istituita nel 1769 dal Gran Maestro dell’Ordine Fra’ Manoel Pinto de Fonseca. Mentre, tra gli altri, il Gran Cancelliere dell’Ordine, Albrecht Freiherr von Boeselager, raccordando “le radici antiche con le sfide dell’oggi”, ricorda come l’Ordine abbia per secoli fatto ricorso ai “Certificati Sanitari” che consentivano alle persone sane di muoversi liberamente, un tema di strettissima attualità in periodi di “green pass” e passaporti vaccinali.

A chiudere il volume è l’ambasciatore dell’Ordine di Malta presso la Santa Sede, Antonio Zanardi Landi. Ai Cavalieri di varia origine geografica, in precedenza definiti “uomini di carità e azione”, si deve, dice, l’affermazione di una maniera “militante” di intendere l’impegno religioso. Anche l’Ordine ha, a suo modo e nei suoi ambiti, contribuito a determinare un “ethos” europeo e a dare un proprio contributo alla creazione di un’identità culturale europea.