Padre Piloni: la visita del Papa ad Assisi ispiri gesti concreti

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Eugenio Bonanata e Daniele D’Elia – Città del Vaticano

Ruota attorno all’amore e all’amare la riflessione odierna di padre Francesco Piloni che si sofferma sulla necessità di seguire l’esempio di Cristo, specie nella relazione con l’altro che si trova in stato di bisogno. “Il primo dono che il povero ha da attendersi da noi – precisa, andando al cuore della questione – non è tanto un piatto di minestra, quanto lo stabilirsi di una amicizia e di una fraternità”. Questa solidarietà piena deve essere percepita e tangibile, perché l’altro può essere compreso meglio quando la relazione è fondata sull’amore.

Lo spunto della riflessione non è solo l’accudimento dei lebbrosi da parte di San Francesco, ma il fatto che il Serafico abbia scelto per se e per i suoi frati la medesima condizione, poiché Cristo “volle per noi essere riputato lebbroso” (FF, 1857). E ne “i Fioretti” si racconta di uno di questi emarginati “impaziente e sì incomportabile e protervo”, insofferente all’atteggiamento dei frati che si occupano di lui e che giunge pertanto a rifiutare le loro cure. Di qui, l’incontro con il santo, a cui il lebbroso, lamentandosi, reclama che non solo deve sopportare un’infermità, ma anche che coloro che Francesco gli ha messo accanto non lo “servono come debbono”.

La risposta del poverello è concreta. Si offre di accudirlo di persona e si mette a sua completa disposizione. “Voglio che tu mi lavi tutto quanto perché puzzo così fortemente, che io stesso non mi posso sopportare” chiede il pover’uomo e lo ottiene. Con devozione le sue membra piagate vengono terse dalle mani del Serafico e i Fioretti commentano il prodigio che avviene nell’animo: “come s’ incominciò la carne a sanicare, così s’ incominciò a sanicare l’anima”. La misericordia che gli viene offerta – commenta padre Piloni – consente una guarigione totale e tocca le “sue viscere” riscattandolo da una situazione di sofferenza fisica e psichica.

Guarda la quarta meditazione di padre Piloni

È l’amore nell’approccio che ha consentito il miracolo e ha qualificato quella relazione d’aiuto. “Il modo in cui realizziamo l’amore è la questione seria”, ripete il religioso. Riassumendo: la sorgente dell’amore è in Dio ed è Cristo il modello della vera carità. E questo vale anche oggi. Padre Piloni individua la componente affettiva della misericordia come parte fondamentale della testimonianza. L’esempio citato è quello di un giovane in servizio presso la Caritas che un giorno, dopo aver consegnato per settimane il pacco viveri ad una famiglia che restava comunque fredda e distaccata, decide di portare un mazzo di fiori. “Finalmente ci hai visti”, risposero i componenti del nucleo.

Ecco cosa significa “amare come Cristo ama”. La parabola evangelica del Buon Samaritano spiega bene in cosa consista questa misericordia da imitare. Il testo lucano racconta che un malcapitato percosso e tramortito dai briganti viene soccorso da un Samaritano che “lo vide”, “ne ebbe compassione”, e se ne prese “cura”. Tutti i passaggi sono importanti e indicano un’azione che inizia dagli occhi per poi coinvolgere il cuore e le mani.

Non è un semplice “impegno” quello con i poveri. Si tratta di un “compromettersi”, spiega padre Francesco ribadendo la necessità che un certo grado di affettività venga attivato e il tutto venga alimentato nel cuore. Un prendersi cura senza amore equivale ad una prestazione arida e vuota che nel Vangelo viene rappresentata con quell’andare “oltre”, tirando per la propria strada. Come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano.