Padre Patton: “Quante storie di bene e semi di fraternità in Terra Santa”

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

“Le storie di bene, i semi di fraternità in Terra Santa e Medio Oriente che ci chiede di raccontare il Papa? Mi viene in mente, in Siria, l’iniziativa per dare un nome e un futuro ai bambini di Aleppo rimasti senza padre per il conflitto, e che non potevano essere registrati. Grazie alla collaborazione tra il muftì, il vescovo e la nostra parrocchia francescana ci siamo riusciti”. Padre Francesco Patton, custode francescano di Terra Santa, parla così degli stimoli che Papa Francesco ha offerto ai religiosi della Custodia e ai direttori e redattori della rivista Terra Santa e degli altri media francescani, ricevuti in occasione dei cento anni del bimestrale pubblicato oggi in italiano, francese, inglese, portoghese, spagnolo e arabo.

Il conservatorio Magnificat, dove studiano ebrei, cristiani e musulmani

Nella Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, il custode di Terra Santa ricorda anche che i giornalisti di Terra Santa hanno “consumato le suole delle scarpe”, come ha chiesto loro il Papa, per raccontare “le giornate che facciamo con la comunità ebraica di Ein Karem, o un’esperienza scolastica come il conservatorio di musica “Magnificat” a Gerusalemme, dove sono insieme professori e studenti ebrei, cristiani e musulmani”.

Il 6 gennaio a Betlemme, tutti i cristiani insieme nella grotta

E guardando al tema scelto proprio Consiglio delle Chiese del Medio Oriente per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, “In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”, padre Patton parla del “simbolismo molto bello della stella”. Noi cattolici latini celebriamo l’Epifania il 6 gennaio, ci spiega , “e il pomeriggio del 6 gennaio gli orientali cominciano a celebrare il Natale. In quel giorno attorno alla mangiatoia nella quale Maria depose il Bambino Gesù, proprio lì si ritrovano praticamente tutte le Chiese dell’Oriente e dell’Occidente. Chi perché celebra l’Epifania e chi inizia a celebrare il Natale”. Così, conclude “anche in mezzo a un po’ di apparente confusione, attorno a quella grotta, c’è anche, molto sui generis, una specie di unità dei cristiani”. Ecco l’intervista concessa a Vatican News dal custode di Terra Santa al termine dell’udienza con Papa Francesco.

Ascolta l’intervista a padre Francesco Patton

Padre Patton, da comunicatore e da esperto di comunicazioni sociali, che stimolo le dà l’invito del Papa a raccontare e costruire la “fraternità possibile” in Terra Santa e anche in tutto il Medio Oriente? Come fare?

Lo stimolo è quello a coniugare da un lato il tema della fraternità che è anche tipico dei francescani con il tema della comunicazione e dell’annuncio che fa parte della missione della Chiesa. Perché come Custodia di Terra Santa noi siamo una missione. Questo oggi va fatto tenendo conto sia del contesto in cui noi ci troviamo, che non è certamente un contesto facile, e anche molto diviso e lacerato da conflitti storici e recenti e sia tenendo conto anche di quelli sono i mezzi di oggi, infatti lo stesso Papa Francesco ha evidenziato che la comunicazione va fatta a 360 gradi. Poi ha richiamato anche un’espressione che mi piace molto di uno dei suoi messaggi per la Giornata delle Comunicazioni sociali, che è quello di “consumare le suole delle scarpe”. Chi comunica in Terra Santa deve consumare le suole delle scarpe, per rendersi conto sia del tanto dolore che c’è, dei tanti problemi che ci sono, ma anche per rendersi conto dei semi di bene che ci sono anche in zone dove il conflitto va avanti da dieci anni come in Siria. Ma anche in zone che sono provate ormai da diversi anni dalla crisi economica e politica come il Libano, e in zone che hanno patito terribilmente in questi ultimi due anni di pandemia come la Palestina e la stessa Gerusalemme, la città vecchia. E per noi è importante raccontare la vita dei cristiani di questa piccola ancora esiste e ancora resiste.

Ma si riescono quindi a trovare, per raccontarli, questi semi e gesti di fraternità anche ecumenici o comunque interreligiosi, in Medio Oriente?

I gesti di fraternità sia ecumenici sia interreligiosi ci sono e direi che sono anche significativi. A livello ecumenico, ad esempio, il cammino delle Chiese a Gerusalemme, ma anche in Libano e Siria, è un cammino di grandissima vicinanza, fraternità e collaborazione, negli ultimi anni, davvero. Anche quando ci sono problemi, li affrontiamo insieme e anche quando c’è da comunicare lo facciamo insieme. Da un punto di vista anche interreligioso ci sono delle esperienze estremamente interessanti.

Ad esempio, in Israele ci sono delle esperienze di dialogo con comunità ebraiche che stanno costruendo anche ponti e legami di fraternità. Penso alle giornate che facciamo con la comunità ebraica di Ein Karem, o penso anche ad un’esperienza scolastica come il conservatorio di musica “Magnificat” a Gerusalemme, dove sono insieme professori e studenti ebrei, cristiani e musulmani. In Siria una delle esperienze più significative è stata l’iniziativa legata al dare un nome e un futuro ai bambini di Aleppo che erano rimasti senza padre, e quindi non potevano essere registrati. Grazie alla collaborazione tra il muftì, il vescovo e la nostra parrocchia francescana si è riusciti a dare un nome e un futuro questi bambini. Così come si è riusciti a mettere in piedi un programma per aiutare bambini, ragazzi e giovani a superare il trauma causato dall’essere stati immersi per lunghi anni in un contesto di guerra che voleva dire distruzione, odio, devastazione. Tutti questi sono segni di una fraternità possibile nel nome del bene della persona e anche nel nome del bene dei più piccoli.

Quindi il Papa fa bene a dire, come ha fatto stamattina, che le comunità cristiane di diversi confessioni sono spesso già vicine all’unità, in Terra Santa?

Oserei dire che la Terra Santa è il posto dove le comunità cristiane sono più vicine all’unità. Direi che in Terra Santa forse si parla meno in teoria di ecumenismo, ma si pratica molto di più l’unità. Per me questa è l’esperienza degli ultimi sei anni, che ho visto crescere in maniera costante.

E quindi anche il tema scelto per questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, proprio dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che parla di stella, di pellegrinaggio e di cammino per onorare e quindi ad adorare Cristo, vi vede uniti, anche per rilanciare i pellegrinaggi che in questo momento sono un po’ in crisi?

Certamente, di fatto anche gli appelli ai pellegrinaggi, li abbiamo fatti congiuntamente, in più di una occasione insieme al patriarca Theofilos, al patriarca Pizzaballa, al patriarca armeno Manougian, insieme agli altri responsabili delle comunità cristiane. Ma dirò di più: quello della stella è un simbolismo molto bello, perché noi celebriamo l’Epifania il 6 gennaio e il pomeriggio del 6 gennaio gli orientali cominciano a celebrare il Natale. In quel giorno attorno alla mangiatoia nella quale Maria depose il Bambino Gesù, proprio lì si ritrovano praticamente tutte le Chiese dell’Oriente e dell’Occidente. Chi perché celebra l’Epifania e chi inizia a celebrare il Natale: sarebbe bello mostrare quell’ immagine qualche volta per far capire come anche in mezzo a un po’ di apparente confusione, attorno a quella grotta, c’è anche, molto sui generis, una specie di unità dei cristiani.

In conclusione, quali stimoli vengono per la vostra rivista Terra Santa, che compie cent’anni, dall’incontro del Papa di oggi?

Sono venute alcune indicazioni: una è quella di lavorare per comunicare fraternità e per essere al servizio del dialogo e della fraternità. Oggi c’è molta comunicazione divisiva e invece è importante che ci sia comunicazione fraterna. Poi un altro stimolo molto interessante è proprio quello del “consumare le suole delle scarpe”. Anche noi dobbiamo riuscire ad andare e scoprire esperienze, storie di vita, situazioni che ci sono e mostrarle, attraverso la rivista, i notiziari televisivi e e attraverso i siti web eccetera. E poi, altro aspetto per me molto importante, Papa Francesco ha richiamato l’idea della Terra Santa come “Quinto Vangelo”, ma ci ha detto di non limitarci a raccontare il Quinto Vangelo inteso come i luoghi del Gesù storico, ma anche raccontare il Quinto Vangelo vissuto dai cristiani in Terra Santa oggi pur in mezzo a tante difficoltà. Un Vangelo che è un annuncio di speranza in un contesto estremamente difficile. E dopo, da ultimo, tutti quanti noi cerchiamo di accompagnare con i media anche l’invito al pellegrinaggio perché possa essere un esperienza di fede, nella speranza che a breve i pellegrini davvero possano ritornare numerosi.

Quindi in questo momento arrivano solo pochi gruppi organizzati di pellegrini?

Sì, oggi i numeri sono molto, molto ridotti, perché le persone hanno ancora paura della pandemia, al di là delle difficoltà che ci sono nel viaggiare. Però io spero che quanto prima le persone si rimettano in moto e vivano il pellegrinaggio come va vissuto il pellegrinaggio. Cioè come che serve per maturare nella fede, proprio a contatto con i luoghi nei quali la Parola di Dio si è rivelata, si è fatta carne e dando la vita per noi ci ha salvati.