Padre Carlassare, la sua missione continuerà illuminata dalla fede

Vatican News

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

I missionari comboniani in Italia sono stati tra i primi con i quali ha parlato padre Christian Carlassare. Poco dopo l’attacco, ancor prima di essere trasferito in ospedale, il suo pensiero è stato per la famiglia e per i suoi confratelli. Per rassicurarli ha chiamato, ancora sotto choc per l’attentato, il provinciale in Italia, padre Fabio Baldan, che è in costante contatto con in comboniani che, in Kenya, sono ora al fianco di padre Christian.

La prima presenza dei comboniani in quello che poi diverrà Sud Sudan, il 9 luglio del 2011, è databile al 1858, quando Daniele Comboni vi giunge con alcuni suoi compagni. Ad oggi, nel Paese africano, si contano 29 padri comboniani, 12 fratelli comboniani e 45 suore comboniane:

Ascolta l’intervista con padre Fabio Baldan

R. – Da Nairobi i nostri confratelli ci tengono informati. Già ieri sera, quando è stato ammesso al Nairobi Hospital, hanno fatto i primi accertamenti, hanno verificato attraverso i raggi-x che, grazie a Dio, le ossa non avevano subito danno. C’erano però, nelle ferite, ancora delle schegge che potevano essere la causa della perdita di sangue eccessiva, quindi hanno subito organizzato per un intervento nella notte, hanno ripulito tutte le ferite, estratto le schegge e fatto quanto necessario per mettere le lesioni in sicurezza. Hanno poi proceduto con ulteriori trasfusioni a padre Christian, perché potesse star meglio. So che è andato tutto bene e che già stamattina ha cominciato a contattare la famiglia e altre persone. Adesso stiamo aspettando di vedere come si svilupperà la situazione nei prossimi giorni.

Padre Christian, sin dall’inizio, è stato molto lucido e molto sereno, ha dichiarato di aver perdonato gli aggressori e ha chiesto di pregare per le persone di Rumbek che soffrono più di lui …

R. – Sì, ho parlato con lui ieri mattina, poche ore dopo l’attacco, e già allora, nonostante fosse affaticato, però aveva mantenuto la lucidità e soprattutto questa attitudine di fede e di perdono. Lui stesso mi aveva detto, appunto, di comunicare ai confratelli di non preoccuparsi, che stava abbastanza bene, che chiaramente ringraziava per le preghiere, ma che ci invitava a pregare, soprattutto per le persone di Rumbek, per la sua gente che, in questa situazione, soffriva anche più di lui.

La sua gente che lo ha accolto, recentemente, con molto amore, è stato il 16 aprile scorso…

R. – Sì, senz’altro. Nonostante padre Christian vivesse in un’altra regione e con un’altra etnia, quando l’8 marzo scorso il Papa lo ha nominato come vescovo di Rumbek, la gente ha reagito con grande gioia, anche perché la diocesi era sede vacante dal 2011 (dalla morte, il 16 luglio 2011, dell’allora vescovo, il missionario comboniano Cesare Mazzolari ndr). Quindi, da tempo aspettavano di ricevere il pastore. Quando poi è arrivato il 16 aprile, anche per il fatto che padre Christian ha veramente un grande dono, un grande talento per il contatto umano, lo hanno accolto con grande gioia. In questi giorni, a quanto abbiamo saputo, c’erano stati molti incontri con diversi gruppi, con il clero, con tutte le persone che sono attive intorno alla città di Rumbek e nella diocesi. Quindi tutto stava praticamente andando benissimo, anche come preparazione per la sua consacrazione, poi purtroppo c’è stato questo atto di violenza.

Un atto di violenza del quale ovviamente è stato informato immediatamente Papa Francesco, che ha detto di pregare per il sacerdote ferito …

R. – Sì, chiaramente la vicinanza di Papa Francesco è stata molto sentita da tutti. Anche il presidente del Paese, Salva Kiir, si è fatto presente in questa situazione. È chiaro che Rumbek è situata in un Paese dilaniato dalla violenza in questo momento.  Violenza per i problemi etnici tra i vari gruppi del Paese, ma senz’altro c’è anche una lunga storia di violenza dovuta ai 40 anni di guerra civile. Insomma, la violenza è un po’ all’ordine del giorno e quando ci sono dei conflitti, molto spesso la risposta più comune è la violenza, anche in questo caso si presuppone che ci siano delle tensioni all’interno della regione e della città, per cui probabilmente qualche persona sviata ha pensato che la violenza potesse essere una possibile soluzione.

Ma, secondo voi comboniani, quale potrebbe essere la ragione dietro a un’aggressione a un missionario arrivato da soli 10 giorni? Forse il fatto che provenisse, come ci diceva lei, da un’altra regione abitata da un’altra etnia?

R. – Io ho chiesto ieri mattina a padre Christian cosa pensasse, e lui mi ha detto sinceramente che era ancora troppo presto, che doveva rifletterci un attimo e sentire anche le persone di Rumbek, la gente, i suoi consiglieri, perché chiaramente non c’è stata alcuna spiegazione, questo atto è stato fatto in una maniera così violenta e irrazionale che è difficile capire subito qual sia il senso. È chiaro, però, che ci sono molte tensioni, ci sono tensioni tribali, venendo lui dalla zona di un’etnia che è tradizionalmente nemica del popolo Dinka, che è la maggioranza della diocesi di Rumbek, qualcuno può aver interpretato questo come un atto di offesa o di poco rispetto verso le persone presenti. Sappiamo che per la Chiesa questo non ha alcun senso, anzi! Molto spesso il fatto di portare persone da un’etnia all’altra, anche a capo di una diocesi, è proprio in vista di un maggior dialogo, di una fraternità, però le persone non sempre ricevono questo messaggio. C’è però anche una situazione generale di violenza nel Paese. Quindi, il fatto anche che ci fosse uno straniero in una posizione così importante, può essere stata presa male anche da gruppi attivi politicamente o che non vogliono avere un testimone scomodo. Le possibilità sono veramente tante, si dovrà, penso, aspettare che il padre Christian stesso, al momento opportuno, ci faccia sapere cosa pensa. Padre Christian ha vissuto questo momento con grande fede e sono sicuro che riuscirà a trasformare, anche questo episodio di violenza, in un momento di riconciliazione e di fraternità. Noi aspettiamo adesso che, perlomeno dal punto di vista fisico, possa guarire in maniera veloce per poter continuare la preparazione a quella che sarà la sua entrata ufficiale, la sua consacrazione nella diocesi. Conosco Christian ormai da molti anni, so che ha le capacità, dal punto di vista umano e spirituale, di vivere questo momento di violenza nella maniera migliore, così come la fede ci insegna. Soprattutto, l’aiuto e l’appoggio di tante persone, a partire da Papa Francesco, sono sicuro che diventeranno per lui uno sprone per continuare il suo ministero a Rumbek, non solo nella diocesi, ma per tutto il popolo del Sud Sudan.