Natale in carcere: una seconda possibilità per genitori e figli

Vatican News

Roberta Barbi – Città del Vaticano

A Natale Gesù che nasce viene a dirci che un’altra vita è possibile, e lo è per tutti, persino per chi è rinchiuso in carcere ed è costretto a trascorrere questa e le altre feste lontano dai propri affetti, in particolare lontano dall’amore dei propri figli. È così che in carcere, spesso, il Natale si trasforma da momento di gioia in momento di solitudine e sofferenza. “Non so che cosa significhi esattamente vivere il Natale in carcere perché penso che soltanto chi l’abbia vissuto lo sappia – ci racconta Mirko Pascale, presidente della cooperativa TCH Together let’s help the community! attiva da anni nella casa circondariale di Massa Marittima e in altri istituti di pena della Toscana – ma in base alla mia esperienza, il Natale aumenta la tendenza del carcere a vivere tutto amplificato, ogni pensiero, ogni attenzione. Non dobbiamo mai dimenticare che la libertà ha tante sfaccettature e che parliamo di un posto dove la privazione è totale, dove a volte non si può neanche attraversare una porta liberamente”.

Ascolta l’intervista a Mirko Pascale:

Genitorialità e carcere: un binomio difficile

Ed è in un posto così che perfino un regalo non dato diventa un vissuto troppo doloroso, capace di trasformare il Natale in un momento di vergogna per non poter dare ai propri figli quello che si vorrebbe, quello che meriterebbero. Si può arrivare addirittura a rifiutare un momento di contatto come il tanto atteso colloquio, pur di non dover affrontare quello sguardo in cui si riesce a leggere solo delusione. “Essere genitore ma al contempo non riuscire a esserlo come si vorrebbe – spiega ancora Pascale – questo causa emozioni fortemente negative come lo sconforto, si può arrivare perfino alla depressione che fa chiudere il detenuto in se stesso e oltre a comprometterne i rapporti familiari ne compromette anche il percorso di recupero e reinserimento nella società”.

La storia di Mohammed e del cioccolato

Ma per fortuna ci sono delle ‘medicine buone’ a questi mali dell’anima, strumenti geniali nella loro semplicità che nascono dall’osservazione interna del mondo carcere, una prospettiva che consente di conoscere sfumature che dall’esterno sarebbero impossibili da percepire. Così anche l’idea della raccolta di giocattoli di THC nasce da una storia, quella di un detenuto tunisino di 50 anni che chiameremo Mohammed, una storia che il presidente della cooperativa ci vuole raccontare: “Questo detenuto aveva lavorato con noi nel progetto di apicoltura per un po’, aveva guadagnato e messo da parte qualcosa. A Natale dell’anno scorso mi è venuto naturale mandargli in carcere un cesto augurale in cui c’era il miele che aveva contribuito a produrre, dei datteri che sapevo gli piacessero anche perché venivano dal suo Paese, un panettone e due tavolette di cioccolato, il tutto accompagnato da una lettera in cui lo ringraziavo per il lavoro svolto insieme e gli facevo gli auguri”, ricorda Mirko. “Non ho avuto sue notizie fino a marzo, ma la prima cosa che mi ha detto quando siamo riusciti a rivederci è stato ringraziarmi con le lacrime agli occhi. In quattro anni da recluso nessuno gli aveva mai regalato nulla, mi ha detto, raccontando poi che grazie a quelle due tavolette di cioccolato era riuscito a regalare qualcosa ai suoi figli che erano andati a trovarlo per Natale. Mohammed mi ha fatto capire l’importanza che ha un gesto semplice, naturale, per chi è impossibilitato a compierlo autonomamente ma deve dipendere da altri. In questo caso dall’ispettore che si occupa degli acquisti e dalla disponibilità delle strutture commerciali vicine al carcere”.   

L’obiettivo: considerare il carcere un posto come gli altri

Un tema, quello della genitorialità in carcere, dai mille volti e dalle mille sfumature: “I figli di Mohammed non sapevano che lui fosse in carcere, ma credevano di andare in un posto dove stesse trascorrendo la riabilitazione dopo un intervento chirurgico, non aveva avuto il coraggio di dirlo – racconta ancora Pascale – ed è proprio questo sentimento di vergogna che dobbiamo estirpare. Bisogna entrare in carcere per conoscerlo nel bene e nel male, eliminare il pregiudizio che lo avvolge e arrivare a considerarlo solo un posto tra i tanti delle nostre città, non dimenticarlo ai margini della società per far finta che non esista, perché esiste. C’è. È lì”. “Un’altra storia sul valore della genitorialità in carcere che forse sta alla base di questa semplice raccolta di giocattoli me l’ha raccontata un ergastolano – prosegue il presidente di THC – questo era entrato in carcere che sua figlia era piccola, poi è cresciuta e quando andava ai colloqui lui l’aveva sempre vista seduta: seduta quando lui arrivava, seduta quando lui veniva riportato in cella. Il giorno che l’ha vista in piedi si è messo a piangere. È incredibile come i reclusi si leghino a quelle sfumature che noi neppure notiamo ma che per loro diventano così importanti…”.

Il Natale come messaggio di speranza

Lo dice anche la nostra Costituzione: il carcere non è – o meglio non dovrebbe essere – un luogo di disperazione e di dolore, bensì un luogo di recupero, perciò di speranza, quella in una nuova vita e in un futuro migliore, una volta fuori. “Ma una vita migliore s’inizia a costruire dentro – avverte Mirko Pascale – serve in questo senso una profonda evoluzione istituzionale che ampli l’offerta formativa e lavorativa e la allarghi a tutti gli istituti. Poi si deve pensare anche all’aggiornamento formativo del personale, spesso molto carente, e infine, ma non per ultimo, alle famiglie che restano fuori, alle quali il carcere va spiegato e fatto digerire, esattamente come a chi vi è rinchiuso. È un’attenzione ai particolari che spesso sfugge, ma è fondamentale”. Per il recupero completo della persona, strumento essenziale è il lavoro: la cooperativa THC lo sa e ha attivato a tal proposito ‘Percorsi in carcere’: “In pratica facciamo da facilitatore – spiega il presidente – mettiamo in contatto tra loro e con le strutture penitenziarie, diverse aziende agricole nel territorio in cui operiamo, che in questo caso è la Toscana, facciamo rete anche con agenzie formative e associazioni per costruire nuove possibilità di contatto che rendano il carcere interessante per una determinata azienda e consentano al ristretto, come dice lo stesso termine istituzionale, di mettersi alla prova”.

Il regalo che fa bene al cuore

Intanto la raccolta di giocattoli promossa da THC e Gruppo Heos sta avendo un grande successo: “È un successo duplice – precisa il presidente Pascale – infatti oltre a regalare un sorriso al figlio di un detenuto, fa anche molto bene ai bambini che donano un giocattolo che non usano più, perché dai genitori viene loro spiegato a chi sarà destinato quel giocattolo”. Un successo anche di numeri, che come sempre parlano più chiaro delle parole: “A Massa Marittima sono stati consegnati quattro bustoni oltre alla carta e al nastro per le confezioni – conclude – ma giocattoli ne sono arrivati talmente tanti che stiamo contattando altre strutture che potrebbero averne bisogno, come Volterra o Sollicciano a Firenze. Ci piacerebbe esportare il progetto in tutte le carceri della Toscana e poi, chissà, magari anche a Roma grazie alla nostra collaborazione con Economia carceraria”. Perché istituti di pena con dentro detenuti, detenuti genitori e bambini che vanno a trovare detenuti che sono anche i loro genitori, ce ne sono ovunque. E ce ne saranno sempre.