Myanmar, i vescovi: si difendano gli aiuti umanitari, il popolo muore

Vatican News

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Si tutelino i corridoi umanitari nelle zone di conflitto, si rispetti la sacralità dei luoghi di culto, si salvaguardi la sicurezza dei civili, soprattutto anziani e bambini. È un appello straziante quello lanciato l’11 giugno dai vescovi del Myanmar e dal presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Charles Bo, nel quale si chiede di difendere la vita di un popolo e, al tempo stesso, si denuncia la situazione di “migliaia di persone che muoiono di fame e malattie nelle giungle”, senza un riparo adeguato, senza cibo e acqua pulita. Dopo aver colpito chiese e monasteri, dove gli sfollati avevano cercato riparo dagli attacchi alle loro case, ora i militari, saliti al potere con il golpe del primo febbraio scorso, sono passati a colpire direttamente gli aiuti umanitari destinati a chi si trova nella giungla, distruggendoli e bruciandoli così come con le forniture mediche per i rifugiati.   

Si rispettino i luoghi di culto

“La fame di persone innocenti – scrivono i vescovi –  è l’esperienza più straziante. Imploriamo che sia consentito un corridoio umanitario in modo da raggiungere le masse affamate ovunque si trovino. Sono nostri cittadini e hanno il diritto fondamentale al cibo e alla sicurezza”. Nel messaggio si invoca il rispetto di chiese, pagode, monasteri, moschee, templi, incluse scuole e ospedali, riconosciuti come luoghi di rifugio neutrali durante un conflitto, in atto ormai da inizio maggio, tra l’esercito militare birmano e la milizia Karenni People’s Defense Force, formata da civili armatisi per difendersi dagli attacchi militari. L’esercito birmano, informa l’agenzia delle Pontificie Opere Missionarie Fides, “utilizza la politica dei quattro tagli: tagliare ogni accesso al cibo, alle comunicazioni, ai trasporti e alle finanze, per ridurre la popolazione allo stremo, in un’opera di indiscriminata violazione dei diritti umani e di ferocia perpetrata su innocenti”. I civili, spiega ancora Fides, vengono colpiti perché accusati di connivenza con le forze di resistenza.

Onu, una catastrofe per i diritti umani

“Non siamo politici, siamo leader di fede, e stiamo accompagnando il nostro popolo nel suo cammino verso la dignità umana”, scrivono ancora i vescovi del Myanmar, il cui appello è diretto anche alle diocesi cattoliche laddove si chiede di pregare per la pace, di celebrare Messe, di recitare il Rosario. “Si investa nella pace, perché – scrive l’episcopato – nessuno ha vinto una guerra in questo Paese che merita di entrare a far parte della comunità delle Nazioni, mettendo il suo passato nella storia e investendo nella pace”.  Nel Paese, dove ora è stagione di monsoni, bambini e anziani sono soggetti a diarrea, raffreddore e influenza ed è grande la preoccupazione per la loro sopravvivenza. A quattro mesi dal colpo di Stato, si è a un punto che segna una “catastrofe dei diritti umani”, dichiara l’Alto Commissario dell’Onu per i Diritti umani, Michelle Bachelet, secondo la quale nel Paese è in crescita una violenza della quale “unici responsabili e unici tenuti a renderne conto” sono i dirigenti militari.

La diocesi di Loikaw, le nostre vite sono distrutte

Secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, sarebbero oltre 175 mila le persone sfollate dal colpo di Stato a oggi in cinque stati: Kachin, Karen, Chin, Kayah e Shan. Dal primo febbraio, almeno 860 persone, per lo più manifestanti anti-golpe, sarebbero state uccise dalle forze di sicurezza. La drammaticità della situazione viene raccontata, sempre dalle colonne dell’agenzia Fides, da un testimone oculare, padre Celso Ba Shwe, vicario generale della diocesi di Loikaw dove, soltanto pochi giorni fa, i militari hanno sferrato un attacco contro la chiesa di Nostra Signora della Pace. Un’area, quella del Myanmar orientale, dove è forte e molto diffusa la violenza. “Siamo molto tristi e preoccupati di trovarci in questa situazione critica. Nello Stato di Kayah le nostre vite pacifiche sono distrutte. I diritti umani e la libertà sono persi. La gente fugge in luoghi sicuri a causa dei conflitti armati. Abbiamo perso tutto”, spiega padre Ba Shwe, che paragona l’oggi agli incubi della guerra civile: “Al 7 giugno 2021 sono stati creati 23 campi per sfollati interni e circa 45 mila sfollati sono sotto la cura della Chiesa cattolica di Loikaw. Ma ora alcuni di loro devono fuggire in un altro posto. Sono di nuovo sparpagliati”.

L’invito del Papa alla preghiera

Quattro giorni fa, Papa Francesco, in un tweet, così come fatto anche durante l’Angelus del 6 giugno, aveva invitato a pregare per la pace nel Paese, unendosi all’iniziativa promossa da Azione Cattolica Internazionale e da altre organizzazioni.

La Chiesa invoca la pace e chiede il dialogo

Un’altra preoccupazione – nota ancora il vicario – è dettata dal blocco dell’accesso a cibo, merci e benzina, il che porterà sicuramente a “carestia e fame”. Gli aumenti dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità hanno colpito particolarmente le aree remote – aggiunge Fides – nello stato di Kachin, Kayah, Shan, il costo del riso è aumentato del 50% e il riso stesso inizia a scarseggiare. Il World Food Programme dell’Onu stima che entro i prossimi sei mesi ben 3,4 milioni di persone soffriranno la fame in Myanmar.  “Il desiderio del popolo è il ritorno ad una vita normale, unito alla ricerca di libertà e giustizia – continua padre Ba Shwe – il che sta portando le persone a difendersi con qualunque mezzo possibile dal momento che molti civili innocenti vengono arbitrariamente detenuti e uccisi ogni giorno”. La Chiesa, quindi, nel ribadire la vicinanza alla popolazione e il suo rifiuto della violenza, chiede un dialogo politico tra giunta militare e governo civile, affinché si possa tornare ad “ la popolazione del Myanmar possa tornare ad una vita pacifica e prospera”.