Chiesa Cattolica – Italiana

Mukwege: “Il Papa in Congo ricorderà al mondo la nostra guerra dimenticata”

Alessandro di Bussolo – Città del Vaticano

Quando lo incontriamo, nella sua veloce tappa romana prima di raggiungere Napoli, dove oggi riceve la Medaglia della Città dal sindaco Manfredi e la donazione di una macchina Tac per il suo ospedale a Bukavu, Denis Mukwege ci mostra l’orrore che vive ogni giorno il suo Congo, e che lo ha raggiunto anche in Italia. Alcuni amici, ancora in pericolo di vita a Kishishe, un villaggio vicino a Rutshuru, a 70 chilometri da Goma, nel Nord Kivu, gli hanno appena inviato foto di una nuova strage compiuta dai guerriglieri dell’M23,che, secondo il governo della Repubblica Democratica del Congo, sono sostenuti dal Rwanda. Cadaveri di donne e bambini, avvolti da coperte variopinte, con terribili ferite al collo e al viso per colpi di machete. Le stesse immagini della strage di Maboya, non distante da Kishishe, e denunciata da Papa Francesco nell’udienza generale del 26 ottobre.

Una vita dedicata a curare le donne vittime di stupro

Mukwege, 67 enne ginecologo e attivista per i diritti umani, Premio Nobel per la pace 2018 insieme a Nadia Murad, nel 1998, all’inizio del conflitto in Congo, nella sua città, Bukavu, ha creato il Panzi Hospital, per curare e soccorrere le vittime dello “stupro come arma di guerra”, nonostante le minacce subite dai gruppi armati del Paese. Ci dice, con gli occhi lucidi: “Il mondo non può continuare a rimanere in silenzio”. Si riprende però quando gi chiediamo della visita del Papa, prevista dal 31 gennaio al 2 febbraio 2023: “pensiamo che ci permetterà di voltare pagina: farà luce su cosa sta accadendo in Congo, e speriamo che le autorità internazionali facciano finalmente qualcosa per fermare queste atrocità”.

Mukwege a Bukavu con alcune pazienti del Panzi Hospital, da lui fondato nel 1998

Al Panzi Hospital operate quasi 80 mila donne

Una crisi dimenticata, quella nella regione dei Grandi Laghi, figlia del genocidio in Rwanda del 1994, che vede le donne quotidianamente oggetto di stupri da parte dei guerriglieri. Un atto terribile, usato come arma di terrore per troncare i legami delle comunità, ma anche come strumento di sterminio, quando punta anche a rendere sterili le vittime. Mukwege, oggi il maggiore esperto mondiale della ricostruzione interna dell’apparato genitale femminile dopo uno stupro, e il suo team, hanno operato in questi anni quasi 80mila donne, lavorando anche 18 ore al giorno e compiendo fino a 10 interventi quotidiani. Il coraggio di questo straordinario chirurgo permette alle vittime di iniziare una nuova vita. Accanto al Panzi Hospital, infatti, negli anni è stata costruita una struttura sicura dove le pazienti – e i loro figli – trovano rifugio. Le donne imparano il cucito, la tessitura e altri lavori, per diventare autosufficienti e ricominciare a vivere.

Minacce e attentati, vive sotto protezione dell’Onu

Per questa sua opera, e per la denuncia nel 2012, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dell’impunità dei colpevoli di stupri di massa come arma di guerra in Congo, un gruppo di armati prende in ostaggio le sue figlie e rischia di essere colpito nel tentativo di liberarle. Si rifugia in Europa, ma pochi mesi dopo, nel gennaio 2013, ritorna in Congo, nonostante le continue minacce. Le sue pazienti raccolgono i soldi per pagargli simbolicamente il biglietto di ritorno vendendo ananas e cipolle. Oggi le strutture della Panzi Foundation sono protette dai caschi blu della Monusco, la missione Onu nella Rdc. Ecco cosa ci ha detto Denis Mukwege.

Lei ha parlato spesso del dramma del silenzio sul Congo, sulla sua terra, su quello che succede da voi. Crede che la visita del Papa, confermata per la fine di gennaio, potrà portare anche la fine di questo silenzio nel mondo e una maggior attenzione su quello che succede in Congo? E poi ad una possibile riconciliazione nel Paese?

Innanzitutto, noi congolesi aspettiamo questa visita con molta impazienza, perché pensiamo che il suo arrivo in Congo ci permetterà di voltare pagina. La visita del Papa, del Santo Padre, non solo permetterà di far luce su quanto sta accadendo in Congo, ma speriamo anche che la stampa internazionale ne parli e che le autorità internazionali prendano finalmente le misure necessarie per fermare queste atrocità, che sono una vergogna per la nostra umanità. Oggi, quando ho visto le immagini che mi sono state inviate dal villaggio di Kishishe, nel Nord Kivu, ho avuto una fitta fortissima al cuore, all’idea che qualcuno possa uccidere bambini e donne indifese in questo modo. E il mondo non può continuare a rimanere in silenzio.

In Congo la maggioranza degli abitanti sono cristiani, ma il dramma della violenza e della non riconciliazione dopo anni di conflitto in Congo sono dovuti soprattutto a chi viene da fuori. Non è quindi solo un problema dei congolesi?

Questo è il problema principale del Congo. Lavoro in un ospedale dove ricevo tutte le tribù che arrivano in ospedale. E vedo che le persone mangiano insieme, condividono i letti, condividono tutto e quindi non è un problema di conflitto tra gruppi etnici, è molto più una guerra economica, nella quale coloro che stanno creando questa guerra usano la strategia del caos, stanno creando il caos nella regione per permettere il saccheggio delle risorse naturali del Congo. Quindi penso che effettivamente la Chiesa debba svolgere il suo ruolo, ma non si tratta tanto di un problema di riconciliazione tra i congolesi, quanto di un problema che è iniziato dopo il genocidio in Rwanda, nel 1996 e che dopo quel dramma continua. Ancora oggi, a distanza di più di 25 anni, i congolesi continuano a pagare una crisi regionale che non è nata in Congo, ma che oggi fa molti più danni in Congo che nel Paese dove è avvenuto il genocidio. E penso che dovremmo fare una distinzione, non dovremmo confondere le cose, considerando che non è una guerra tra protestanti e cattolici, tra cattolici e musulmani o altri. No, non è una guerra tra gruppi etnici. Sono i politici che vogliono trasformare questa guerra in una guerra etnica, ma non è una guerra etnica, è una guerra economica con la strategia del caos per saccheggiare le risorse naturali del Congo.

Donne vittime di violenza curate nel Panzi Hospital di Bukavu

Proprio perché non è una guerra religiosa, ma una guerra economica e politica, cosa chiedete, chiede lei come premio Nobel come voce del suo Paese, alla comunità internazionale, alle Nazioni Unite e anche al Fondo Monetario Internazionale?

La nostra richiesta alla comunità internazionale è molto chiara: c’è un diritto internazionale umanitario da rispettare. Il Congo è aggredito, il Congo ha subito un’invasione, e oggi è occupato dalle forze straniere ruandesi associate ai terroristi dell’M23. Quello che chiediamo alla comunità internazionale è di applicare il diritto umanitario internazionale, che impone a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di rispettare la sovranità e l’integrità territoriale degli altri Stati, questa è la prima cosa. La seconda cosa è che esistono risoluzioni che vietano agli Stati o alle istituzioni di fornire armi ai ribelli nella regione dei Grandi Laghi. Oggi, ci sono prove che dimostrano molto bene che sono state date armi all’M23, un movimento che era stato per sconfitto, e se oggi ha armi più sofisticate di quelle della Monusco, la Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo, significa che queste armi vengono da qualche parte! Chiediamo sanzioni, poiché le Nazioni Unite sono in grado di rintracciare l’origine di queste armi e di sapere chi è il fornitore. E i fornitori dovrebbero essere sanzionati. Oggi vediamo addirittura che i Paesi che sono all’origine di queste aggressioni sono sostenuti, ricevono denaro dall’Unione europea. E’ scandaloso vedere che i Paesi che ci aggrediscono hanno il sostegno dell’Unione europea. Chiediamo che questa complicità venga fermata.

Un intervento di Denis Mukwege in una conferenza

Le sofferenze si sono protratte per troppo tempo. La crisi umanitaria nella Repubblica Democratica del Congo è senza precedenti: sei milioni di persone sono ora sfollate, senza casa e senza cibo. Dopotutto si tratta di esseri umani! Chi è responsabile di questi atti, riceve aiuti in aggiunta. Penso che questo faccia male a tutti questi congolesi che oggi sono nel fango, sotto la pioggia, senza cibo. Molti bambini moriranno e noi chiediamo sanzioni contro questi Paesi invece di continuare ad aiutarli finanziariamente. Oggi, riguardo a ciò che sta accadendo in Congo, abbiamo l’impressione che la comunità internazionale lo stia lasciando fare. Lascia fare al Rwanda, ma purtroppo è la storia che si ripete. La comunità internazionale sta commettendo lo stesso errore che ha commesso in Rwanda, permettendo il genocidio dei Tutsi. Oggi guerriglieri sostenuti dai rwandesi stanno massacrando i congolesi: si tratta di crimini contro l’umanità, crimini di guerra che possono anche essere crimini di genocidio. E la comunità internazionale ha chiuso gli occhi come li ha chiusi nel 1994. A cosa potranno servire queste vittime, se tra 10 anni la comunità internazionale si sveglierà e si renderà conto dei suoi errori? Vogliamo che agisca subito!

Veniamo ora al grande lavoro che lei fa con il suo ospedale a Bukavu, il Panzi Hospital. Com’è la situazione in questo momento? Di cosa avete bisogno per continuare la vostra opera?

All’ospedale Panzi abbiamo varie categorie di pazienti che ricevono cure gratuite. Innanzitutto, ci sono le donne vittime di violenza sessuale, che non solo curiamo e trasportiamo, ma anche nutriamo e forniamo di kit igienici ma anche nutrite e dotate di kit igienici. Tutti i pazienti affetti da HIV-AIDS vengono assistiti gratuitamente. Tutti i bambini che soffrono di malnutrizione vengono assistiti gratuitamente. Ci prendiamo cura gratuitamente di tutte le donne che hanno conseguenze ostetriche che causano fistole, cioè comunicazioni tra la vescica e la vagina, o il retto e la vagina, e che perdono feci o urine senza controllo. E oggi, i mezzi con cui ci prendiamo cura di loro sono quelli che provengono dai diversi donatori, comprese le Chiese. Abbiamo bisogno di poter continuare ad aiutare questa categoria di persone che sono state abbandonate, rifiutate e che non possono accedere alle cure. E il vostro sostegno può, ovviamente, essere molto gradito.

Avete un progetto di aprire anche altri ospedali? Se ci fossero maggiori fondi, lei pensa che la sua fondazione potrebbe impegnarsi in altre aperture in altre regioni del Congo?

Assolutamente sì. Abbiamo donne che vengono al nostro ospedale da molto, molto lontano. Oggi abbiamo iniziato a Kinshasa, andiamo dove abbiamo già delle attività. Ma abbiamo comprato un pezzo di terra a Kisangani, dove pensiamo che le donne che vengono da tutta la regione possano essere curate. Abbiamo iniziato a lavorare anche a Sankuru, a Loja, dove pensiamo di poter costruire una clinica, che chiameremo “One stop center”. Il nostro obiettivo è quello di avvicinare le cure ai pazienti. Il grande problema è che i pazienti devono venire da molto lontano: abbiamo pazienti che vengono dalle regioni settentrionali, da Gemena, da Cabinda, da Jumbi, molto a nord, è molto, molto difficile portarli a Panzi. È necessario un aereo per Kinshasa, poi per Goma e per Bukavu. È troppo costoso per noi. Oggi pensiamo quindi che sia necessario trasferire l’ospedale di Panzi, per avere centri che possano svolgere lo stesso lavoro che facciamo, ma fuori da Panzi.

L’esterno del Panzi Hospital di Bukavu, dove Mukwege e il suo team hanno operato quasi 80 mila donne

Qual è il suo sogno per il futuro del Congo, per il futuro delle donne del Congo?

Penso che sognerò con le donne congolesi che, quando si chiede loro qual è il loro sogno, rispondono: avere la pace. Penso che avere la pace nella Repubblica Democratica del Congo sarebbe un bene raro, che non abbiamo avuto per 25 anni. Ma questo è ciò di cui abbiamo bisogno per poter ricostruire il nostro Paese, per dare un futuro ai nostri figli, per educare i nostri figli in condizioni accettabili, in modo che i nostri figli non solo possano essere istruiti. Oggi abbiamo la malnutrizione semplicemente perché la gente non può coltivare, non può lavorare normalmente. E così il nostro sogno è la pace.

A Napoli la consegna della Medaglia della Città a Mukwege

Dopo la veloce tappa romana, ospite della Cei, oggi a Procida, isola del golfo di Napoli, capitale italiana della Cultura 2022, alle 12.30, nell’abbazia di san Michele Arcangelo, Mukwege riceve dal sindaco Raimondo Ambrosino il Premio cultura della pace Procida 2022. Poi a Napoli, alle 19, nella “Notte della Pace”, organizzata dal Console della Repubblica Democratica del Congo in Italia, Angelo Melone, nel Teatro di Corte del Palazzo Reale, verrà annunciata la donazione all’Ospedale di Panzi di un macchinario per Tomografia Computerizzata, offerta dalla Fondazione “G. Pascale” dell’Istituto l’Istituto Nazionale Tumori e di farmaci dall’Ordine dei Farmacisti di Napoli. Il sindaco Gaetano Manfredi consegnerà al Premio Nobel la Medaglia della Città di Napoli. Saranno presenti il vescovo ausiliare di Napoli, il gesuita monsignor Francesco Beneduce, l’imam della Moschea di Roma Nader Akkad e il rabbino capo di Napoli Umberto Piperno.

Gli altri incontri napoletani e l’udienza col Papa

Il 6 dicembre, alle 11, è prevista la cerimonia di consegna della Laurea honoris causa a Denis Mukwege nella sede di Scampia dell’Università Federico II di Napoli. Alle 18, nella sede della Caritas diocesana della città partenopea, si terrà un incontro organizzato dal Centro missionario diocesano, guidato dal missionario comboniano padre Alex Zanotelli. Il giorno successivo, mercoledì 7 dicembre, alle 9, a Sant’Antimo, ci sarà l’inaugurazione dei Graffiti dedicati a Mukwege realizzati dall’artista Alessandro Ciambrone, alle 12, a Castel Capuano, la conferenza internazionale sulla violenza sulle donne e stupri di guerra “No peace without justice”, con lectio magistralis del Premio Nobel. Il 9 dicembre, alle 9.30, in Vaticano, è prevista infine l’udienza con Papa Francesco.

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti