Moqtada al-Sadr: le armi non servono, mi scuso con gli iracheni

Vatican News

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Chiedo scusa agli iracheni. Moqtada al-Sadr, il leader sciita iracheno, le cui dimissioni hanno innescato una ondata di violenza, si rivolge così al popolo dopo gli scontri tra manifestanti e forze di polizia nei quali sono rimaste uccise circa 30 persone e alte 700 ferite. Al-Sadr condanna l’uso delle armi e poi ordina ai suoi fedelissimi, che ieri avevano dato l’assalto alla ‘Green Zone’ di Baghdad, l’area protetta nel centro della capitale irachena che ospita istituzioni governative e ambasciate, di manifestare in modo pacifico, di ritirarsi immediatamente dalle strade dentro e attorno alla zona verde. Appelli che hanno indotto l’esercito iracheno a revocare il coprifuoco. “Un esempio di patriottismo”, così il premier uscente Mustafa Kazimi definisce la richiesta di al-Sadr di fermare la violenza, mentre i seguaci hanno cominciato a ritirarsi e a smontare le tende del sit-in eretto nelle scorse settimane davanti al parlamento.

Uno strategico ritiro dalla politica 

Al-Sadr, ha però anche ribadito il suo ritiro dalla vita politica, il cui annuncio aveva appunto scatenato gli scontri tra i suoi sostenitori, in un momento in cui il quadro politico del Paese, da circa un anno, è in stallo. Al voto dell’ottobre scorso, al-Sadr aveva ottenuto la maggior parte dei seggi, senza però riuscire a formare un governo di maggioranza e aprendo ad una delle peggiori crisi degli ultimi anni, con il leader sciita che, aveva chiesto lo scioglimento dell’Assemblea e lo svolgimento di elezioni anticipate.  Tra gli osservatori internazionali regna però lo scetticismo circa la reale intenzione di al-Sadr di dare le sue dimissioni. Non potendo portare il Paese di nuovo al voto, è il pensiero, avrebbe tentato di scardinare il governo con le manifestazioni. Ugo Tramballi, giornalista esperto di Medio Oriente, Senior Advisor preso l’Istituto degli studi di politica internazionale, lo spiega chiaramente: “L’addio è una finzione, essendo rimasto fuori dal governo, pretendeva che si rifacessero le elezioni, cercando un modo di governare. Ma la Costituzione non lo permette, non possono esseri le elezioni anticipate se non è il Parlamento che lo vota, un Parlamento che è sciita filo-iraniano, mentre al-Sadr è divenuto sciita anti-iraniano”. 

Ascolta l’intervista con Ugo Tramballi

Il rischio di un conflitto intra-sciita

La situazione per ora sembrerebbe tornata alla calma, ma solo apparentemente, perché, come ricorda Tramballi “la milizia di al-Sadr è composta da 60mila uomini, molti dei quali inquadrati nell’esercito, come del resto le milizie di partiti filo-iraniani”. Il rischio è quello di arrivare ad un conflitto intra-sciita, con le altre entità, cristiani, curdi e sunniti, che si terrebbero alla larga, almeno per il momento. Uno scontro che, prosegue Tramballi, “sarebbe relativamente raro in Medio Oriente. Bisogna andare in Libano per trovare milizie cristiane contro milizie cristiane, durante i 15 anni di guerra civile, finora in Iraq abbiamo avuto milizie sciite contro milizie sunnite”.

Il ruolo dell’Iran

Ma cosa potrebbe fare l’Iran in questo momento? Per ora ha riaperto i confini con l’Iraq, chiusi a causa della violenza. A prevalere è l’idea che, con la possibile salvezza degli accordi sul nucleare, Teheran potrebbe anche scegliere di stare a guardare. “L’accordo sul nucleare – prosegue Tramballi – significa per l’Iran la fine delle sanzioni, e ne ha assolutamente bisogno, l’economia iraniana è al collasso”. È anche vero, ricorda poi il giornalista, che, già nel 2015, “americani, russi, cinesi e Unione europea erano convinti che firmare gli accordi per fermare il programma nucleare iraniano comprendesse anche una certa moderazione dei comportamenti iraniani nella regione. Così non fu, poiché fatto l’accordo, gli iraniani aumentarono le loro iniziative “geopolitiche” nello Yemen, in Siria, in Libano, con hezbollah libanese, in Iraq e con contatti con Hamas e jihad islamica palestinese di Gaza”. Il punto è che purtroppo, ad oggi, “nessuno è in grado di dire se e quando l’Iraq uscirà da questa crisi intestina della componente maggioritaria del Paese”.