Mirella, un sorriso per la “Casa dei nonni”

Vatican News

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

“La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia” è il documento reso noto ieri dalla Pontificia Accademia per la Vita, d’intesa con il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale. Un testo nel quale emerge la cruda realtà: più di due milioni e trecentomila anziani sono morti nel mondo per il Covid-19, la maggioranza dei quali ultrasettantacinquenni. Una guerra vera, tra di loro persone che con la pensione avevano mandato avanti più famiglie oppure alleviato il peso ai figli nella gestione spesso affannosa dei nipoti. Figure chiave che Francesco ha spesso definito “radici” e che vanno oggi più che mai curate nella loro fragilità.

Una Casa per chi è solo

Ma c’è chi sente stretta la definizione di anziani, come persone arrendevoli alla vita, stanche per il peso dei loro anni, c’è infatti chi tra loro ama ancora spendersi per il prossimo, passare la giornata non davanti alla tv ma nell’ascolto di racconti felici. Mirella Parassiani è di Forlì, ha 76 anni, ha fatto la parrucchiera per una vita poi ha chiuso il negozio quando sua mamma ha scoperto di avere il Parkinson. Ma chi corre da mattina a sera non riesce a riposare e allora Mirella si mette a disposizione di “Casa dei nonni”, una realtà fondata nel 2015 dalla Comunità di don Benzi nei locali della parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice. E’ un luogo in cui gli anziani possono trascorrere il tempo in compagnia di altri anziani e dei volontari.

La pandemia ha però complicato le cose, Mirella confessa la sua sofferenza nel restare a casa, sperava in un lockdown più breve e invece non è stato così. E’ una signora piena di vitalità e dice di essere emotiva, di piangere spesso perché si commuove, racconta che così non voleva farsi sentire dai suoi amati “nonni” e per questo ha preferito non telefonare. Spera che la “Casa” possa riaprire presto.

Ascolta l’intervista a Mirella Parassiani

R. – Ad essere sincera io non la sento questa “terza età”. C’è un primo periodo della vita, poi c’è un secondo quando ti sposi e poi c’è un terzo che è questa età. Però per me non c’è stata molta differenza, ci pensavo scrivendo un libro che mi ha dato mia nuora per i nipoti dal titolo: “Nonna parlami di te”, nel quale ognuno racconta la propria storia. Sto scrivendo di me e mi accorgo che io questo passaggio non l’ho fatto perché ho sempre avuto a che fare con gli anziani. Sempre. All’età di 4 anni andavo a trovare mia nonna con mio fratello in una casa di riposo. Gli anziani mi sono sempre piaciuti e non lo dico perché oggi sono anziana ma perché li ho sempre avuti vicino. Non è un merito. E’ una cosa che è venuta così.  

Oggi lei è volontaria e ha deciso di reinventarsi la sua quotidianità…

R. – I figli hanno preso la loro strada, hanno formato la loro famiglia e io cosa facevo? Uno si deve chiedere: cosa mi piace fare? Meno male che c’è la “Casa dei nonni”. Fosse per me starei sempre lì.  

Cosa fa quando ci va?

R. – Tutto quello che mi dicono di fare. Sono una persona alla quale piace ridere. Appena arrivo dagli anziani faccio subito il mio numero da “buffona” perché non è il saluto semplice, bisogna subito farli ridere anche perché, quando arrivo io intorno alle 14.30, sono sempre un po’ assonnati dopo aver mangiato. Ad una certa ora diciamo il rosario, lo dedichiamo sempre alle persone che non stanno bene perché noi se siamo lì vuol dire che stiamo benissimo, siamo in piedi non siamo in un letto. Poi si gioca a tombola perché è l’unico gioco nel quale si possono coinvolgere tutti.

Fa anche i capelli?

R. – Ah certo. Le signore hanno questa bontà verso di me, non creda sono passati tanti anni da quando ho chiuso il negozio. Adesso mi è rimasta questa passione, ho sempre fatto questo lavoro con passione, sono stata fortunata anche lì, un lavoro che mi ha permesso di stare sempre a contatto con le persone di qualsiasi tipo, non mi importava chi fossero, mi importava stare insieme. Non sono una a cui piace stare da sola.

Il Covid ha cambiato la vita di tutti ma soprattutto degli anziani perché sono diventati ancora più fragili di quanto lo siano sempre stati. E poi sono stati loro le principali vittime di questo virus. Lei come ha vissuto questo momento di pandemia e cosa ha pensato davanti alle tante vittime anziane?

R. – Non mi voglio lamentare e non ci dobbiamo lamentare noi che siamo in piedi perché facciamo un gran torto a chi non c’è più, a chi è stato male ed è morto. Io devo dire la verità non l’ho vissuto molto bene questo periodo di chiusura, anche perché non sono un tipo da stare chiusa. Non mi piace la televisione e dopo un’ora di lettura lascio stare, non mi piace far la casalinga, non mi piace far la cuoca, io preferisco stare con gli altri. Non so quante volte ho pregato il Signore perché finisse. Penso poi che abbiano sofferto più di tutti gli anziani ma anche i giovani, li sento i miei nipoti veramente in difficoltà. Mi ricordo benissimo come ero da giovane, ecco perché capisco i giovani, perché mi metto sempre in relazione a quello che alla loro età sentivo, volevo, sognavo e adesso con questa pandemia non possono più trasmettere ciò che sentono con l’abbraccio e i baci. Vedo anche il sacrificio per loro.

Papa Francesco ha detto che noi possiamo ricordare ai giovani ambiziosi che una vita senza amore è una vita arida, possiamo dire ai giovani paurosi che l’angoscia del futuro può essere vinta, possiamo insegnare ai giovani troppo innamorati di se stessi che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Lei cosa vorrebbe dire ai giovani?

R. – Ai giovani direi proprio quello: che non devono guardare solo a se stessi, a quello che loro vorrebbero. Non solo quello! Ci sono anche gli altri. Credo, senza presunzione, di aver instillato ai miei figli queste cose che poi loro le stanno insegnando ai loro figli. Certo c’è chi recepisce di più e chi meno ma è anche una questione di età. Io sono del ‘44, ero una ribelle, non è che fossi un angioletto, tutto questo è venuto piano piano. Spero che i giovani lo sentano questo ma sta a noi genitori, ai nonni avere la capacità di dirigere, per modo di dire, perché non si fanno dirigere da nessuno, però bisogna provare. Con gli anziani bisogna parlarci e farli parlare, ho imparato tante di quelle cose che non sapevo. Ora sembrerà una stupidaggine ma io non sapevo, ad esempio, pur essendo di Forlì e conoscendo il dialetto, che cosa era la “brecca”, la somara. L’ho imparato da un signore anziano di 90 anni. Ecco tanto per dire! Magari è una cosa sciocca ma non è così, molte volte sono tornata a casa e ho raccontato a mio marito e ai miei nipoti cose nuove. Il mio sogno è quello di stare sempre alla “Casa dei nonni”.  

La storia della signora Sofia