di Dale S. Recinella
Spesso, durante le conferenze che tengo in Florida e in tutto il Paese contro la pena di morte, confesso al pubblico che trent’anni fa non sapevo assolutamente nulla della realtà della pena capitale in Florida. Come avrei potuto, altrimenti, iniziare il mio volontariato di cappellano dei condannati a morte il 9 agosto 1988? In agosto il calore estivo è al suo massimo livello.
Chiunque sappia davvero come funziona il braccio della morte e la realtà delle sue condizioni di isolamento, supplicherebbe di iniziare l’attività in inverno. Io non ne sapevo abbastanza per farlo.
La mia guida, Padre Joe, sta accompagnandomi di cella in cella, presentandomi a ciascuno degli uomini che la Florida detiene in queste gabbie di 2 metri per 3, fino a quando li uccidiamo. Il calore è fuori controllo. L’umidità è almeno del 99%. Ne consegue una temperatura percepita di oltre 40° Celsius.
Questo calore nel carcere non è una particolarità solo della Florida. Una delle fonti massime di stress sia sui detenuti che sul personale carcerario nel profondo sud degli Stati Uniti è proprio il tremendo calore estivo e l’umidità all’interno delle prigioni che non hanno alcun climatizzatore.
La striscia di cemento su cui cammino incrocia le porte di sbarre di quindici celle. Nel carcere, queste porte sono chiamate “cancelli”. E questo corridoio, che è compreso tra i cancelli delle celle alla mia destra e il muro di sbarre d’acciaio alla mia sinistra, è chiamato “passerella dei cancelli”. Si allunga da un’estremità dell’ala all’altra ed è costantemente umido e viscido.
In un attimo, Padre Joe e io siamo fradici del nostro sudore e della condensa proveniente dall’aria. I muscoli della mia schiena e delle cosce gridano di alleviarli dallo sforzo che compio per evitare di scivolare e cadere sul cemento umido.
Decenni fa, quando svolgevo lavori in fabbrica per mantenermi al liceo, una delle mansioni che durò nove mesi includeva il maneggiamento di stampi in acciaio caldi e freddi. La temperatura e il calore nel braccio della morte mi riportano alla mente quell’esperienza, ma l’umidità estiva qui in Florida ingigantisce l’impatto del calore sul corpo umano.
Penso: non so se questo è l’inferno, ma di certo è come se lo fosse, mentre Frate Joe si ferma e si volta verso di me, dicendo: “Questi uomini sono figli di Dio. Come possiamo tenerli in queste condizioni?”
Allevando i miei cinque figli, ho imparato che quando il carico di un compito viene avvertito come schiacciante, bisogna ridimensionarlo. Occorre identificare porzioni più piccole e traguardi che possiamo raggiungere durante il percorso verso l’obiettivo finale.
Quella lezione si insinua nella mia mente mentre contemplo ogni corridoio di 15 o 16 celle. Ci saranno inevitabilmente una o due celle in ogni corridoio dove un detenuto ricaricherà la mia energia in esaurimento con il suo calore e il suo entusiasmo per la nostra breve visita davanti alla sua cella. Padre Joe mi presenta proprio a un uomo così durante la mia prima visita a questo luogo.
“Lui è Juan”, la mia guida madida di sudore sorride a lui e a me. “Juan è un uomo molto buono e di forte fede cattolica. Fa regolarmente la Comunione”.
Mi inserisco nella conversazione per presentarmi. “Sono un nuovo volontario venuto per aiutare Padre Joe. Mi chiamo Dale, ma tutti hanno già iniziato a chiamarmi Fratello Dale”.
Juan passa le mani attraverso le sbarre per avvolgerle intorno alle mie. “Sono tanto contento che tu sia qui. Padre Joe ha bisogno di tutto l’aiuto che potrai dargli, specialmente in questo edificio.”
Col passare delle settimane, il mio nuovo amico è invariabilmente caloroso e sincero. Mi racconta anche gran parte del suo percorso nel braccio della morte della Florida.
“Quando arrivai qui, non sapevo né leggere né scrivere una parola in inglese”.
“Stai scherzando”, sono davvero sbalordito. “Come hai fatto a imparare la lingua?”
“Proprio qui!”, sorride e indica ciò che lo circonda. “I miei fratelli condannati a morte mi hanno insegnato a leggere e a scrivere.”
Non posso nascondere la mia sorpresa. Juan mi spiega.
“Fuori di qui”, allarga il gesto verso le finestre come a includere tutto il mondo all’esterno delle sbarre, “ci definiscono tutti dei mostri. Ma alcuni di noi sono innocenti e la maggior parte di noi ha una storia molto complicata.”
Non ho idea di come rispondere. Nell’autunno del 1984, quando Juan fu condannato a morte, io ero ancora un avvocato dell’alta finanza a Miami. Ero ancora a favore della pena di morte in Florida, di cui non sapevo assolutamente niente.
Ricordo vagamente di aver appreso la notizia dell’incriminazione e della condanna a morte di Juan nel 1984, dai notiziari locali che strombazzavano lo slogan di una vita per una vita. Non mi venne davvero in mente che era facile condannare a morte un raccoglitore di frutta itinerante e analfabeta benché non vi fosse alcuna prova fisica che lo collegasse al crimine.
Bene, questo è esattamente ciò che la Florida fece a Juan! E adesso, quattordici anni dopo, mi trovo davanti alla sua cella nel braccio della morte.
“Juan”, inizio a parlare con cautela, “non avverto in te né amarezza né rabbia. Come è possibile questo se sei innocente?”
“Solo perché essi mi hanno fatto questo, non vuol dire che biasimerò me stesso o loro. Sarà Dio ad occuparsene.”
Dopo aver analizzato il caso di Juan e avergli fatto molte altre visite portandogli la Comunione, trovo il coraggio di chiedergli: “Juan, se mai i tribunali ti scarcerassero, cosa faresti?”
“È ovvio”, sorride. “Investirei ogni atomo delle mie energie lavorando per porre fine a questa orrenda pena di morte, affinché altri non debbano subire tutto questo e magari essere anche innocenti.”
Entro la fine del 2001, Juan è diventato molto più che un amico per me. È davvero un fratello. Non vedo l’ora di incontrarlo davanti alla sua cella durante i miei giri portando la Comunione, e di ascoltare le notizie di sua madre e di come sta procedendo il suo caso.
Poi, a gennaio del 2002, arrivo davanti alla sua cella e la trovo vuota.
“Dov’è Juan?”, chiedo agli altri detenuti e alle guardie. Nessuno lo sa.
Sono venuti e gli hanno detto di radunare la sua roba, è la risposta di tutti. Informazioni precise possono essere molto difficili da ottenere nel braccio della morte della Florida. Nessun membro del personale vuole essere ripreso dalle telecamere mentre conferma la voce che un condannato a morte è stato liberato perché innocente.
L’opinione convenzionale in Florida è che ogni condannato a morte sia colpevole di qualcosa. Questo nonostante dal 1976 la Florida abbia scarcerato 30 condannati a morte per provata innocenza.
Io posso solo sperare che Juan sia davvero tornato dalla sua famiglia nei Caraibi. Probabilmente non lo rivedrò più.
Poi, nell’autunno del 2004, sono a Montreal con mia moglie per una conferenza internazionale contro la pena di morte. È un grande evento di più giorni, e la presentatrice è la Signora Bianca Jagger. Quando finisco la mia conferenza nel tardo pomeriggio, la Sig.a Jagger torna sul podio per presentare il nuovo oratore. E in quel momento succede.
Sto camminando sul palco dal podio verso l’uscita del palcoscenico sul lato opposto. Da quella stessa uscita mi si avvicina un uomo alto circa come me. La sua sagoma mi sembra vagamente familiare sotto le luci del palcoscenico. Mentre ci avviciniamo uno all’altro improvvisamente è chiaro che si tratta del mio fratello Juan. Non l’avevo più visto da quando era stato scarcerato dal braccio della morte quasi due anni prima.
Siamo entrambi colpiti contemporaneamente nel riconoscerci. Reagiamo spontaneamente mettendoci a correre l’uno verso l’altro. E lì, sul palcoscenico a Montreal, davanti a oltre 2.000 persone, abbraccio il mio fratello Juan mentre le lacrime scorrono sulle mie guance. Da quella volta continueremo a rivederci spesso.
Juan e io abbiamo condiviso una dozzina di conferenze agli studenti liceali e universitari in Texas con il Journey of Hope (Viaggio della Speranza) insieme al nostro caro amico Bill Pelke. Abbiamo condiviso la scena all’Edward Waters College di Jacksonville, in Florida, e a numerosi dibattiti a Orlando, Tampa e Miami.
E recentemente, proprio il mese scorso, Juan e io abbiamo condiviso gli ascoltatori ad un’importante Conferenza Cattolica alla Facoltà di Giurisprudenza di Washington D.C. Il Vescovo Felipe Estévez di St. Augustine in Florida, colui che ha pubblicato la profonda lettera pastorale sull’abolizione della pena di morte in Florida, mi aveva invitato a co-presentare con lui. Che doppia gioia è stata per me trovare il mio fratello Juan, anche lui lì a parlare.
La conferenza di aprile non trattava solo della pena di morte. Approfondiva come l’insegnamento e le tradizioni della nostra fede cattolica ci diano i mezzi per riformare il nostro sistema giudiziario penale. Juan – un migrante cattolico che ha trascorso oltre 17 anni da uomo innocente nel braccio della morte della Florida – ha catturato l’ascolto e il cuore di ogni partecipante.
Per l’autore di questo articolo, quella conferenza è stata particolarmente toccante, essendo la prima missione di volontariato che sono riuscito a compiere dal gennaio 2022, quando fui colpito dal Covid nel mezzo di una delle mie assistenze settimanali dei condannati a morte e dei detenuti in isolamento della Florida. La mia amata moglie percorse in auto oltre 650 chilometri per venire a prendermi e riportarmi a Tallahassee dove fui ricoverato nel reparto Covid del nostro ospedale regionale.
Ho da poco ripreso a guidare per brevi percorsi. E spero che entro l’estate i medici mi autorizzino a tornare al mio coinvolgimento attivo nelle carceri della Florida. Nel frattempo, però, ringrazio Dio che mi ha permesso di condividere un’altra grande esperienza di fede con il mio Fratello Juan.
NB: Il caso capitale della Florida di Juan Roberto Melendez è descritto nel Registro Nazionale delle Assoluzioni ed è attribuibile a spergiuri, false accuse e negligenze professionali.