Migranti, Centro Astalli: la pandemia non ferma gli arrivi, né la solidarietà

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Il dramma è nei numeri: gli arrivi di migranti in Italia via mare nel 2020 sono tornati a crescere, superando le 34 mila persone, dopo due anni di calo, 13 mila delle quali dalla Libia, ma scendono le richieste d’asilo, 28 mila. Questo perché sono aumentati, si legge nel Rapporto 2021 del Centro Astalli, l’ufficio italiano del Servizio dei gesuiti per i rifugiati (Jrs) “gli ostacoli frapposti all’ottenimento di una protezione effettiva, un intensificarsi del disagio sociale e della marginalizzazione dei rifugiati”.

Il dramma dei migranti della “Rotta balcanica”

E il dramma è anche nella testimonianza e nelle immagini mandate dalla “Rotta balcanica” in Bosnia da padre Stanko Perica, direttore del Jrs Europa Sud Est, dove i volontari e i mediatori culturali della Ong curano migranti tornati feriti da “The Game”, il tentativo disperato di attraversare la frontiera tra Bosnia e Croazia, o tra Slovenia e Italia, e arrivare nell’Europa “dei ricchi”.

La nuova speranza di Umba, giovane madre dal Congo

La speranza è invece nelle parole di Umba Mpemba, rifugiata della Repubblica Democratica del Congo, il cui video ha aperto la presentazione on-line del Rapporto. in Italia da tempo per sfuggire alla guerra civile nel suo Paese, Umba, che ha una figlia di 8 anni, dopo aver perso il lavoro di receptionist in un hotel di Roma per la pandemia, ha bussato di nuovo alla porta sempre aperta di via degli Astalli, e a maggio dovrebbe iniziare un corso per diventare operatore socio-sanitario. Speranza che padre Perica ha sentito anche al telefono nelle voci della famiglia di cattolici pakistani che sono riusciti ad arrivare in Italia, dopo il passaggio attraverso la Bosnia, e gli chiedono di pregare per loro.

Nei Centri Astalli non solo rifugiati, anche italiani

Nel Rapporto del Centro Astalli, che quest’anno festeggia i 40 anni di attività, si evidenzia come nell’Italia sotto pandemia da fine febbraio 2020, siamo tutti nella stessa barca. Come gli italiani anche molti rifugiati, impiegati soprattutto nella ristorazione o nel settore alberghiero, hanno perso il lavoro a causa della crisi economica e delle chiusure legate al Covid-19. Molti sono rimasti esclusi dall’accesso agli ammortizzatori sociali e sono tornati a chiedere cibo e sostegno economico alla mensa romana del Centro Astalli, che nel 2020 ha distribuito 55 mila pasti, in media 210 al giorno. Per la prima volta dopo molti anni hanno chiesto aiuto anche degli italiani.

I servizi delle 8 sedi, da Roma a Palermo

Nell’ultimo anno il Servizio dei gesuiti per i rifugiati, nelle sue 8 sedi italiane (Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Palermo, Trento, Vicenza, Padova), è stato al fianco di più di 17 mila persone, 10 mila solo a Roma. Con servizi come la mensa, le docce, i pacchi alimentari, le medicine e i presidi anti-Covid mascherine e gel disinfettante. Dei 3500 utenti della mensa di Roma, più del 30 per cento è senza dimora, in stato di grave bisogno. Tra le 2600 persone che bussano al centro diurno a Palermo il servizio mensa, con la distribuzione mensile del pacco alimentare, è stato aperto anche a cittadini italiani in condizioni di indigenza. A Trento un dormitorio notturno per l’emergenza freddo è stato trasformato in un servizio di accoglienza di bassa soglia con uno sportello di assistenza dedicato ai richiedenti asilo senza dimora. A Bologna, ultima sede aperta, è stato dato in gestione al Centro Astalli uno spazio in cui realizzare un nuovo dormitorio per richiedenti e rifugiati.

L’onda lunga dei decreti sicurezza

Ne emerge un quadro in cui, si legge nel Rapporto, “l’onda lunga dei decreti sicurezza e le politiche migratorie, di chiusura – se non addirittura discriminatorie – che hanno caratterizzato la normativa su immigrazione e asilo fino a fine 2020, acuiscono precarietà di vita, esclusione e irregolarità”. Normative e prassi dei singoli uffici trasformano la burocrazia in “un potenziale vicolo cieco” che impedisce la tutela dei diritti dei rifugiati.  La crisi sanitaria ha inoltre messo in evidenza “le lacune del sistema sanitario e del welfare territoriale”, che ha indebolito “tutele e misure di sostegno alla popolazione più fragile di cui i rifugiati fanno parte”.

I blocchi alle frontiere non hanno fermati i flussi

Il blocco degli ingressi in 90 Paesi a causa della pandemia, la mancanza di azioni di soccorso e ricerca nel Mediterraneo centrale da parte di governi e Unione europea, la limitazione delle azioni delle Ong, “non ha bloccato i flussi irregolari di migranti ma ne ha reso solo meno visibili le conseguenze”, osserva il Centro Astalli. Nel 2020 sono stati oltre 11 mila i migranti soccorsi o intercettati nel Mediterraneo, riportati in Libia e lì detenuti in condizioni che le Nazioni Unite definiscono “inaccettabili”. A questi si aggiungono le oltre 1.400 vittime accertate di naufragi nell’ultimo anno.

Le violenze in Libia e alle frontiere dei Balcani

Drammatici anche i dati del centro SaMiFo (Salute Migranti Forzati) che il Centro Astalli gestisce a Roma, nel poliambulatorio di via Luzzatti, vicino a Piazza Vittorio e alla Stazione Termini: 1.471 persone assistite nel 2020, di cui 763 nuove. Molte sono vittime di tortura, violenza intenzionale o abusi sessuali, che riferiscono di aver subito in Libia, ma il SaMiFo si è trovato anche a certificare le violenze inferte nei Balcani dalle forze di polizia e quelle causate dai respingimenti alla frontiera tra Italia e Slovenia. Nei due ambulatori vengono forniti servizi specialistici e nuove attività di screening e cura per il Covid-19, tra cui tamponi antigenici e test sierologici.

Troppi migranti senza assistenza sanitaria

 “Le conseguenze dei decreti sicurezza sono ancora ben visibili”, afferma il Rapporto, documentando come il 36 per cento delle persone che si sono rivolte all’ambulatorio del Centro Astalli Palermo non risultava iscritta al Servizio sanitario nazionale, “per difficoltà relative alla residenza o al titolo di soggiorno”. Questo rende molto più difficile motivare le persone a investire tempo in percorsi di integrazione: “Molte hanno fretta di trovare un’occupazione qualsiasi (anche in nero o sottopagata), per non rischiare di perdere il permesso di soggiorno”.

Il cardinal Tagle: i migranti creano ponti di solidarietà

La pandemia, ha sottolineato, il cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e presidente di Caritas internationalis, in un video messaggio durante la presentazione “ha peggiorato questa loro situazione. Ma grazie all’accoglienza, al rispetto, all’accompagnamento del Centro Astalli, il loro viaggio oscuro è stato irrorato di luce”. “I migranti sono punti umani tra i loro Paesi di origine ed i Paesi di destinazione – ha aggiunto il porporato filippino – ma l’esperienza del Centro Astalli ha anche dimostrato che i migranti giunti in Italia hanno saputo creare ponti di solidarietà tra volontari, scuole, ordini religiosi, uffici governativi, fondazioni umanitarie, media e tante persone di buona volontà”. “Questa consapevolezza mi ha consolato”, ha concluso Tagle: “I migranti sono spesso accusati di causare problemi nella società. Ma la testimonianza del Centro Astalli offre invece un quadro diverso.  I migranti evocano in noi ciò che è genuinamente umano. Essi sono capaci di formare comunità di cura e di condivisione. Possono istruirci”. 

Prosegue la sensibilizzazione nelle scuole, anche in Dad

Infine, nei progetti di sensibilizzazione del Centro Astalli, proseguiti nonostante le difficoltà della didattica a distanza in circa 200 scuole di 15 città italiane, sono stati coinvolti circa 15 mila studenti. Oltre 400 sono i volontari italiani e stranieri nelle 8 sedi territoriali, che con gli operatori del Centro Astalli hanno un obiettivo comune, ricordato nella presentazione dal presidente padre Camillo Ripamonti: “La vita degna e felice con i rifugiati”.

Padre Ripamonti: la pandemia ha reso visibili gli invisibili

“Uomini, donne e bambini hanno vissuto come in trappola l’anno della pandemia, mostrando le fatiche di anni di politiche sull’immigrazione ideologiche e strumentali giocate sulla loro pelle” ha sottolineato padre Ripamonti. “Per anni abbiamo parlato di una situazione di sempre maggior marginalità delle persone con una protezione internazionale, abbiamo denunciato come politiche di sicurezza ed escludenti hanno reso la vita dei rifugiati sempre più precaria. La pandemia non ha fatto altro che rendere evidente tutto questo, ha reso visibili gli invisibili, estremizzando la loro condizione”. Ecco come presenta a Vatican News il Rapporto 2021:

Ascolta l’intervista a padre Camillo Ripamonti (Centro Astalli)

R.- La fotografia del Rapporto 2021 del Centro Astalli, nell’anno della pandemia, è un mondo di rifugiati che arrivano di più in Italia e questo ci dice come la pandemia non blocca le persone che scappano da guerre, persecuzioni e torture e poi una fotografia di un mondo in cui l’integrazione di queste persone è stata molto più difficile perché appunto la pandemia ha creato delle situazioni di difficoltà ulteriore.

Sono cambiate le nazionalità di rifugiati che assistite?

R.- Tendenzialmente no. Rispetto alle cinque nazionalità che nel mondo sono più frequenti, abbiamo anche un numero elevato di africani, soprattutto della Costa d’Avorio e dal Congo e sono quelle nazionalità che arrivano in Italia attraverso il Mediterraneo e sbarcano nel sud del nostro Paese, e poi vengono distribuiti sul territorio italiano.

Voi scrivete che la pandemia ha reso visibili gli invisibili, ma soprattutto nel lockdown più stretto, questi migranti hanno trovato comunque un aiuto nella rete dei centri Astalli che non hanno mai chiuso…

R.- Paradossalmente, quelli che noi non consideriamo cittadini delle nostre città, nel periodo del lockdown erano gli unici cittadini visibili delle nostre città deserte, e hanno trovato come punto di riferimento la porta sempre aperta del Centro Astalli, che ha cercato di essere a fianco a queste persone che erano anche un po’ spaesate in questo periodo.

Nella pandemia è emersa anche l’insufficienza del sistema sanitario nazionale al quale, per i decreti sicurezza, molti di questi migranti non possono nemmeno accedere…

R.- Esattamente. La difficoltà di ottenere un permesso di soggiorno, con l’esclusione, per esempio, del permesso di soggiorno umanitario, ha reso difficile l’accesso al Sistema Sanitario Nazionale e quindi anche l’accesso a quel sistema che poteva proteggere la salute dei migranti, ma poi anche la salute della collettività. Quindi l’integrazione e il riconoscimento di queste persone sul nostro territorio nazionale, è un aiuto per tutta la collettività.

Con uno sguardo internazionale, scrivete che la pandemia ha reso ancora più difficili gli spostamenti, con 90 frontiere chiuse. In Europa servono nuove regole per un’accoglienza più umana?

R.- Sì, il Piano che l’Europa ha presentato a settembre del 2020 dimostra ancora una visione escludente, difensiva dell’Europa nei confronti dei rifugiati. Invece noi abbiamo bisogno di un Europa inclusiva, l’ Europa dei diritti, l’Europa verso cui queste persone tendono ad arrivare perché sperano in una vita migliore.

Quest’anno il Centro Astalli festeggia 40 anni di vita. Quale bilancio si può fare e quale sguardo dare al futuro, sopra la mascherina?

R. – Sono stati 40 anni in cui siamo cresciuti con i rifugiati, abbiamo camminato con loro abbiamo imparato da loro, qual è il modo migliore perché vengano rispettati i diritti di tutti. La prospettiva è quella che si prosegua in questa direzione, anzi si faccia molto di più perché le persone vengano integrate sui territori italiani e dell’Europa. E diventino dei cittadini propositivi per il loro futuro, che sarà un futuro costruito insieme.