Migranti, Caritas: la pandemia nuovo alibi per non risolvere una emergenza

Vatican News

Fabio Colagrande e Gabriella Ceraso – Città del Vaticano

Gestione flussi e arresti degli scafisti: mentre la politica discute a livello nazionale e internazionale e la giustizia fa il suo corso con le condanne degli scafisti, i viaggi di tanti nel Mediterraneo alla ricerca di sicurezza e futuro non si fermano e finiscono sempre più spesso in modo tragico. Sempre più complicato inoltre il lavoro delle Ong che solcano il mare, fanno segnalazioni e si impegnano per salvare chi chiede aiuto. Dunque resta ancora tanto da fare: di fronte all’ultimo tragico naufragio due giorni fa con 57 morti a largo della Libia, la Caritas riprende la parola, come ieri anche il Centro Astalli, per spingere a nuovi impegni sulle vie legali di ingresso, chiarezza negli accordi con la Libia e più libertà per chi è impegnato nelle acque che significa anche più chiarezza nell’opinione pubblica. Sono le sottolineature che al microfono di Fabio Colagrande fa Oliviero Forti,  Responsabile Immigrazione presso Caritas Italiana:

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Purtroppo i numeri drammatici dimostrano – riflette Forti – che le “politiche di scoraggiamento non funzionano e anzi accrescono il rischio di morti nel Mediterraneo centrale”. Collaborare con la Guardia costiera libica finora, spiega, ha dimostrato di non funzionare e sono proprio i numeri a dimostrarlo. Bisogna mettere in luce alcune criticità che anche l’OIM – Organizzazione Internazionale per le Migrazioni- rimarca: la prima, afferma Forti, è la mancanza di pattugliamento, un dispositivo per il quale la Caritas ha lanciato numerosi appelli all’Italia e all’Unione europea. Ora manca, anche se in passato” ha dimostrato la sua efficacia proprio in termini di salvataggi: questo vuoto non può che accrescere il rischio di nuovi naufragi e quindi ancora vite umane perse”.

Operazioni di salvataggio e opinione pubblica

Altra criticità evidenziata da Forti è la presenza e l’azione effettiva in mare di chi fa operazioni di salvataggio. Forti parla di una ” situazione confusa” in cui non solo è sbagliato riportare in Libia chi fugge perchè – dice – ” la partenza avverrà comunque e carica di rischi”, ma è difficile anche la situazione di chi opera in mare e incorre in problemi con i governi. Una strada sicura è quella degli ingressi legali attraverso corridoi umanitari, lo ha chiesto ancora il Centro Astalli e lo ha avviato da anni la Caritas con successo seppur i numeri siano ancora troppo bassi. Più di mille persone, troppo poche. “Serve aumentare la platea dei beneficiari dei canali legali di ingresso. Come Caritas ci siamo appellati al governo italiano per raccogliere i corpi ancora in mare dopo il naufragio di Lampedusa del 30 giugno. Vogliamo ,in questa situazione surreale, almeno dare dignità a queste persone”.

Mettiamo al primo posto la vita delle persone

Ma Forti pone anche l’accento sul “disallineamento che c’è oggi tra i richiami dell’Onu a livello internazionale e le attività svolte alla luce di accordi stipulati.” Si denuncia ma si continua a riconsegnare le persone alla Libia”. Anche l’opinione pubblica fa fatica a capire così come si opera e perchè. Infine la sottolineatura più drammatica: anche gli appelli del Papa, anche l’immagine del mediterraneo come cimitero, rischiano di diventare una consuetudine cui si fa l’abitudine. La pandemia ha attratto tutte le attenzioni e, conclude Forti, sta diventano “l’ennesimo probabile alibi per nascondersi e non agire, come anche il Papa ci ha chiesto, mettendo cioè al primo posto la vita delle persone senza se e senza ma”. Basta parlare, occorre agire come non si è stancata di fare in tanti anni la società civile che senza però il supporto della politica e dei governi, specie in termini di accordi bilaterali, non riesce a fare quanto serve.