Matteo Farina, il giovane “con gli occhi al cielo”

Vatican News

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Sono i giovani a scrivere, in questi ultimi anni, il vocabolario della santità. I social network, i siti internet hanno permesso di conoscere le storie di tanti ragazzi e la loro fede: da Carlo Acutis, che del web potrebbe diventarne patrono, a Sandra Sabattini, la giovane di Rimini conosciuta come la “santa fidanzata”.

Volti puliti e sorridenti perché la gioia è un tratto della santità, frasi che restano impresse e un’unica vocazione: lasciare spazio a Dio, camminando nella direzione da lui indicata e secondo il progetto che ha per ognuno. Farlo in modo “semplice” come semplice è il Vangelo. Limpido, come uno specchio, scriveva Matteo Farina, un giovane di Brindisi scomparso a soli 19 anni a causa di un tumore cerebrale.

“Voglio essere uno specchio, il più limpido possibile, e se è la tua volontà, riflettere la tua luce nel cuore di ogni uomo. Grazie per la vita. Grazie per la fede. Grazie per l’amore. Sono tuo”

Un giovane di oggi

La storia di Matteo è l’emblema di una santità a portata di mano, il Papa lo definirebbe “un santo della porta accanto”. Nato ad Avellino il 19 settembre 1990, la vita di questo ragazzo si svolge a Brindisi. La mamma è casalinga, il papà è impiegato in banca, ha una sorella maggiore Erika alla quale è molto legato. Nella parrocchia “Ave Maris Stella” conosce il carisma francescano e l’amore per Padre Pio. Tutto scorre tranquillo, lui scopre la gioia dell’amicizia, la passione per la musica mentre cresce il suo arrendersi a Gesù. A 13 anni e mezzo irrompe la malattia, ad Hannover viene sottoposto ad una biopsia al cervello. Inizia un lungo cammino, cadute e risalite, Matteo si spegne a 19 anni il 24 aprile 2009. Papa Francesco l’ha dichiarato Venerabile il 5 maggio 2020.

Dio, il progettista di cui fidarsi

A dicembre la commissione medica della Congregazione delle Cause dei santi si pronuncerà su un caso di guarigione attraverso l’intercessione del ragazzo. La postulatrice della causa di beatificazione è la dottoressa Francesca Consolini:

Ascolta l’intervista a Francesca Consolini

Cosa caratterizza la santità di Matteo Farina?

Matteo è un ragazzo che ha vissuto nella normalità, la normalità di una famiglia, di una parrocchia, della scuola, degli amici, dell’amore di una ragazza. Lui ha vissuto una vita normale con semplicità francescana, senza seguire a tutti i costi la moda, ma volendo essere semplicemente se stesso, senza scomparire nella massa. Da qui una certa modestia nel vestire, la rinuncia al superfluo, la moderazione nell’uso dei social network, la purezza dell’amore e anche la capacità di opporre argini a certe scelte di comodo, privilegiando valori autentici che sono quelli dell’amore, dell’amicizia, della famiglia, della fede, della preghiera. E questa sua semplicità si rivelava anche nello stare vicino a chi soffriva o era nel bisogno. Una vicinanza non solo materiale, ma con dei gesti proprio da fratello e mai da maestro, sempre da vero amico. Era un ragazzo che amava tantissimo la musica, perché era molto dotato dal punto di vista musicale, suonava più di uno strumento e aveva una bellissima voce. Aveva fondato anche una band, i No Name, di cui lui era la voce, oltre che chitarrista. Amava la musica rock, amava tutto quello che i ragazzi di oggi amano, ma con una particolarità: la volontà di non essere uno dei tanti, ma sempre se stesso, con i suoi affetti, i suoi svaghi, le sue preferenze incanalati con un programma di vita che era proteso a raggiungere la meta, ovvero la comunione con Dio e secondo il suo stile, in coerenza con il battesimo ricevuto.  

In queste sue parole scritte a 15 anni sta tutta la chiave della sua vita:

Con gli occhi al cielo voglio vivere la mia vita o Signore, con gli occhi al cielo per vedere solamente l’amore perché desidero un giorno poter vivere per sempre con te, senza più peccato, ma solo con l’amore.

Matteo scriveva: “Mi piacerebbe riuscire ad integrarmi con i miei coetanei senza essere però costretto imitarli negli sbagli, vorrei sentirmi più partecipe nel gruppo senza dover rinunciare ai miei principi cristiani, è difficile. Difficile, ma non impossibile”. Un’impresa che sapeva ardua, ma che ha affrontato con semplicità.

Con semplicità, ma anche con molta coerenza. Se leggiamo le testimonianze degli amici, dei compagni di scuola, di quelli che sono cresciuti con lui ci accorgiamo che dopo il primo momento di perplessità, perché chiaramente lui sembrava diverso, finiva per essere quello più amato e seguito del gruppo perché in lui c’erano l’autenticità e la serietà.  Un suo amico racconta che se avevi una necessità, un bisogno, lui c’era sempre senza giudicarti, senza mezze misure. Era la persona con la quale ti potevi confrontare, aprendoti completamente e questo lo dicono i suoi coetanei, quelli che sono cresciuti con lui, che sono stati a scuola con lui, che lo hanno amato tantissimo proprio per questa sua dimensione di serietà perché comunque sapevano che non era un bigotto, che c’era un’autenticità. Il suo non è stato un cammino in solitaria, è stato un cammino che ha fatto in amicizia e in comunione, con uno scambio reciproco e che ha portato molti dei suoi coetanei a fare delle scelte di fede importanti.

Nella vita di Matteo irrompe poi la malattia: che cosa ha rappresentato questa difficoltà e anche qui è stato coerente con la sua fede, con i suoi principi?

L’ha vissuta con una piena consapevolezza di quello che aveva, ma anche con estrema serenità. In occasione del primo ricovero ad Hannover, ha lasciato una specie di piccolo diario nel quale si capisce come per lui sia stato importante aver toccato con mano il volersi bene, amare ed essere amati, dare e ricevere affetto. Lui scrive:

“Sono cresciuto dentro veramente molto, di qua e di là, non ho mai perso la gioia di vivere, sì la gioia di vivere la vita perché la vita è bella. Nella vita – aggiunge – bisogna sempre essere forti, cosa che penso di aver fatto, abbattersi non giova a nulla, dobbiamo invece essere felici, dare sempre gioia, più gioia diamo più gli altri sono felici e più gli altri sono felici più siamo felici noi. Il prossimo gennaio dovrò sostenere un altro controllo in Germania, l’esito di questo è fondamentale perché potrebbe, in caso di risultato negativo, compromettere il mio futuro. Tutto ciò però non mi importa, Dio è come un grande progettista, ti ha già costruito delle strade, sarò io a scegliere quale prendere, ma sono sicuro che sotto la sua protezione non prenderò mai quella sbagliata. La mia avventura ha fatto evaporare da me il senso di superficialità, lasciandomi una rifioritura spirituale. La mia vita è con Dio”.

È giovanissimo quando scrive questo, non ha neanche 14 anni, ha sempre seguito questo tracciato: l’abbandono a Dio. Dopo questo primo intervento, Matteo ne ha fatti altri quattro che non hanno mai inciso sul suo profitto scolastico, a scuola non ha mai voluto trattamenti di favore, ha sempre avuto dei profitti altissimi, non solo all’interno della propria classe, ma dell’intero Istituto. Professori e compagni ignoravano tutto di questa malattia, si è saputo soltanto nell’ultimo anno di vita perché non è riuscito a completare l’anno scolastico, quello della maturità. Non è che per Matteo tutto fosse chiaro, certe volte diceva che è come camminare nella nebbia, nella certezza che però prima o poi questa nebbia finisce e in fondo trovi la luce.  

Nato ad Avellino, Matteo vive a Brindisi, è una un ragazzo del Sud un po’ atipico rispetto agli stereotipi che siamo abituati a conoscere. Spesso, in modo erroneo, i ragazzi del Sud vengono dipinti come giovani difficili, che abbandonano la scuola, che cadono preda della malavita e della criminalità. Matteo può essere per loro un modello a cui guardare?

I ragazzi nascono uguali con il loro patrimonio di positività, bisogna mettere in gioco dei fattori che possono tirare fuori questa positività e quindi la famiglia, la scuola, la parrocchia le amicizie eccetera. Riflettere su Matteo può spingere questi ragazzi a chiedersi qual è il suo messaggio, perché Matteo è un giovane di oggi, immerso nella vita che tutti ogni giorno affrontiamo, che ha vissuto nel nostro tempo, in un tempo appesantito da problemi e contraddizioni anche legate, se vogliamo, al luogo dove è cresciuto, ma anche ricco di opportunità, se le si vuole vedere. Matteo non ha rifiutato nulla del mondo in cui ha vissuto, ma ha assorbito la positività di tutto quello che ha incontrato, non si è lasciato travolgere, contaminare dal negativo e questo lo può fare qualsiasi ragazzo. Assorbire il positivo di una famiglia, assorbire il positivo della scuola, la gioia di avere tanti amici e anche di divertirsi con loro, cementando dei legami destinati a durare sempre perché gli amici di Matteo sono amici di Matteo ancora adesso. Ha amato una ragazza, gustando la felicità di stare con lei, di progettare il futuro di una famiglia senza la fretta di bruciare i tempi, ma nella gioia di crescere, di maturare insieme. Ha amato tantissimo il Creato, la casa comune, lui che era un ecologista di prima categoria. Ha amato e dedicato tempo alla preghiera, si è sentito parte della Chiesa e anche nella malattia ha trovato la positività, l’ha vissuta come un’opportunità che è quella di essere più vicini a Gesù. Lui ha scelto di essere una persona vera e unica. Ai giovani del Sud, del Nord, lui può dire: “Vivi in modo positivo, prendi tutto ciò che di bello, di buono, di sano c’è nel mondo, nella Chiesa, nella famiglia, in te stesso. Vivi con gli occhi, le orecchie e il cuore aperti al bene che c’è intorno a te, vivi nella semplicità che è la scuola del Vangelo, la via più semplice per essere felici e arrivare a Dio. In fondo il positivo, seppur con fatica, tutti lo possiamo trovare intorno a noi”.