Martinelli: la fratellanza umana, un atto profetico che invita ovunque alla pace

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Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

È nato in un contesto specifico, per dare un nuovo orizzonte al rapporto tra cristianesimo e islam, ma afferma un valore universale che oggi può favorire in modo cruciale anche la pace in Europa, spezzata dalla guerra. La sottolineatura, che è anche un auspicio, arriva dal nuovo vicario apostolico dell’Arabia del Sud, monsignor Paolo Martinelli, il vescovo cappuccino che all’inizio del mese ha lasciato il suo ministero di vicario episcopale nell’arcidiocesi di Milano per immergersi gradualmente nella nuova realtà.
 

Eccellenza, qual è stato il suo approccio con la porzione di Chiesa e di relazioni interreligiose che il Papa le ha affidato?

Ho cercato di rendermi conto maggiormente di cosa questo incarico voglia dire. E adesso sono aumentate un po’ le occasioni per sentire anche il mio predecessore, monsignor Paul Hinder, e gli altri componenti della Bishop’s House di Abu Dhabi. Abbiamo cercato di prendere visione della situazione in questo Vicariato apostolico. Capisco che sia una realtà molto complessa, molto variegata, però mi sembra anche molto promettente, molto bella e molto significativa per la Chiesa oggi. Una Chiesa composta totalmente da fedeli migranti che si trovano lì per lavorare e noi come realtà ecclesiale dobbiamo servire loro, la loro fede, il loro stare lì, il loro abitare quel territorio, certamente non facile ma che dà una possibilità di lavoro. Dall’altro lato c’è il confronto quotidiano con la realtà dell’islam. Non solo è una “Chiesa dalle genti”, perché è composta da fedeli che vengono da tanti Paesi, da culture diverse, ma anche gli stessi sacerdoti, sono provenienti da molti Paesi diversi. L’altra realtà da considerare è che lì vi è il luogo dove Papa Francesco tre anni fa ha firmato il Documento di Abu Dhabi assieme al Grande Imam di Al-Azhar. Quindi credo che noi abbiamo anche un po’ il compito di custodire la memoria di questo atto profetico che hanno compiuto, la cui importanza è certamente ancora più forte adesso che non tre anni fa.

È comprensibilmente ancora presto vista la sua fresca nomina, ma il Documento sulla Fratellanza umana ha in qualche modo già indirizzato il suo ministero?

Mi recherò a fine di giugno ad Abi Dhabi, dove ci sarà la Messa di inizio del mio ministero. Poi è previsto anche un incontro con le autorità civili e quindi ci sarà sicuramente l’occasione di entrare più in diretto contatto con loro. Mi sembra che già la comunità cristiana stia cercando di assumere l’evento del Documento della Fratellanza umana come un criterio importante per vivere la propria fede, le proprie relazioni all’interno di quel contesto sociale. Da parte mia trovo questo un tema particolarmente significativo oggi, non solo per quel territorio, ma mi sembra che questo evento avvenuto proprio in quella terra, abbia qualcosa da dire al mondo intero in questo momento.

L’Europa si misura con una guerra che ha sconvolto tutti gli assetti geopolitici del continente. Che percezione se ne ha nella zona dove lei è stato chiamato a servire?

Mi sembra che la storia di quei Paesi (arabi – ndr), le buone relazioni che si stanno instaurando in questi anni, dica di fronte a questo evento così drammatico e sconvolgente l’importanza del messaggio che il Papa sta dando sia rispetto alla guerra, ma soprattutto nella promozione di rapporti di fratellanza. Questo è un tema ineludibile, dobbiamo tenerlo presente, ed è quello di cui abbiamo bisogno per poter affrontare e uscire fuori da una crisi internazionale dalle proporzioni così devastanti. Se davvero non riprendiamo uno spirito di fratellanza, non lo rendiamo un messaggio diffusivo nella cultura, penso che davvero si vada verso una situazione sempre più complessa da cui sarà molto difficile rialzarsi.

Potremmo quasi dire un messaggio da “esportare”, come se la terra dove il Documento sulla Fratellanza umana è nato possa lanciare un messaggio a un’altra terra dove in questo momento la fratellanza è stata totalmente spezzata…

Esatto. È interessante che sia nato in quel contesto, quindi nel rapporto tra cristianesimo e islam, ma appunto ha affermato qualche cosa che è importante per ogni uomo e ogni donna del nostro tempo.

Il suo ministero come vicario apostolico dell’Arabia del Sud sta cominciando in queste settimane. Come obiettivi di breve e medio termine ha dei punti particolari che ritiene di dover sviluppare nella sua missione?

Cercando di studiare un po’ le attività che vengono svolte dal Vicariato apostolico, certamente c’è questo reticolo parrocchiale che permette di rispondere a un grande bisogno che i nostri fedeli hanno. E questo è certamente qualcosa che va consolidato, portato avanti, là dove il territorio lo permette, serenamente. Certo che la mia mente, il mio cuore fin dall’inizio è andato molto alla realtà dello Yemen, che fa parte del Vicariato e che in questo momento e da anni sta vivendo una situazione di conflitto molto forte. Penso alle suore di Madre Teresa che lì hanno subito la perdita di quattro loro consorelle, proprio perchè non hanno voluto abbandonare quel posto, nonostante le minacce, perché sentivano il dovere della fede, della vocazione di farsi carico delle persone disabili che erano loro affidate. Poi c’è un’altra cosa che mi colpisce, che penso sia interessante sviluppare: ho trovato la presenza di molte scuole promosse dal Vicariato anche con la collaborazione di alcuni istituti religiosi. Questo mi sembra qualcosa di tradizionale nell’ambito del Medio Oriente: i luoghi scolastici come punto di incontro interculturale e anche interreligioso, giacché molti di coloro che frequentano queste scuole sono musulmani. Mi sembra qualcosa che meriti di essere sviluppato: il luogo dove si impara a intessere relazioni positive con persone che portano differenze culturali e religiose, che possono edificare una vita buona per tutti.