L’abitare contemporaneo nell’Africa subsahariana: un evento de La Sapienza

Vatican News

Adriana Masotti – Città del Vaticano

“Do-it-yourself/Do-it-together”: è il sottotitolo del convegno di due giorni, l’11 e il 12 maggio, promosso dal Dottorato in Ingegneria dell’Architettura e dell’Urbanistica dell’Università La Sapienza di Roma. La logica del “Fai da te/ facciamo insieme” sottende, infatti, all’evento, in modalità a distanza, curato da Maria Argenti e Anna Bruna Menghini, entrambe docenti di progettazione architettonica urbana all’Ateneo romano, sul tema: “Architettura della cooperazione con l’Africa subsahariana”, con il patrocinio, tra gli altri, di Medici con l’Africa Cuamm.

L’abitare contemporaneo in Africa 

Parlare di architettura e urbanistica riguardo al continente africano, appare in un primo istante marginale, di fronte a temi drammatici come la fame, la desertificazione o i conflitti. Ma l’abitare è una questione fondamentale per l’uomo e le presenze qualificate e le questioni affrontate nel corso dei lavori dimostrano chiaramente quanto l’aspetto del costruire case e centri urbani sia collegato allo sviluppo con tutte le sue implicazioni economiche, di salute, di sicurezza, di rispetto dell’identità culturale, di resistenza alle calamità naturali. Ne hanno parlato architetti, ingegneri, sociologhi, antropologi e tecnici rivolgendosi in particolare a studenti e dottorandi in ingegneria. “L’indagine su aree rurali e contesti urbani dell’Africa subsahariana – si legge nella presentazione al convegno – consente di riflettere sulla permanenza delle culture materiali diffuse, sulla crisi dello sviluppo rurale e sulle criticità di quello urbano, su forme dell’abitare diverse da quelle consolidate nella cultura occidentale, su principi progettuali semplici e su tecniche sostenibili e integrate con l’ambiente, sull’autocostruzione assistita e sullo sviluppo di modelli partecipativi e processi realizzativi che uniscono le figure dell’ideatore, del costruttore e del fruitore.”

Un confronto a tutto campo 

Accanto alle relazioni di esperti, anche il racconto di esperienze teoriche e pratiche già avviate in Africa e laboratori con approfondimenti sul significato dell’abitare, sulle possibili risposte da attuare in stato di emergenza, sia di tipo ambientale sia sanitario, e infine, sul costruire e sull’insegnare a costruire in contesti dalle forti criticità, per consentire il sostegno del progresso tecnico locale, a partire dalla scelta di materiali e ai procedimenti tecnologici idonei per il territorio preso in esame, sulla promozione di metodi costruttivi sostenibili, sull’organizzazione di un cantiere a basso costo. Dell’idea alla base dell’iniziativa parla ai nostri microfoni la professoressa Anna Bruna Menghini:

Ascolta l’intervista a Anna Bruna Menghini

R. – L’idea dell’evento è quella di proporre uno sguardo nuovo su questo tema dell’abitare contemporaneo nell’Africa subsahariana che sappiamo essere una tra le più povere regioni del Sud del mondo già tanto problematico, depauperato anche dai Paesi più ricchi e oggi interessato da grandi cambiamenti, dalla globalizzazione, dalla crescita della popolazione e da tante gravissime emergenze ambientali, sociali, economiche e sanitarie. In particolare ci siamo domandati qual è il nostro ruolo come architetti, ingegneri e in qualche modo come cooperanti a livello di università e il convegno ha voluto riflettere proprio sul contributo che può offrire la cooperazione nel campo dell’architettura e dell’ingegneria, cooperazione intesa come condivisione, soprattutto. Quindi secondo questo principio che noi dichiariamo nel titolo del “fai da te/facciamo insieme” abbiamo pensato di coinvolgere sia docenti, sia ricercatori di molte università italiane impegnate nella ricerca e anche nella formazione sul territorio africano, ma anche molti professionisti e ingegneri e operatori che sono coinvolti nel sociale e nella cooperazione. Un approccio, dunque, intersettoriale e anche interdisciplinare con docenti di architettura e di ingegneria, ma anche di antropologia, sociologia e medicina per individuare dei campi teorici e applicativi condivisi e per prefigurare anche delle sinergie tra il mondo accademico e altri settori della società. Abbiamo voluto indirizzare l’evento principalmente agli studenti per stimolarli a riflettere, in modo problematico, sul concetto di sviluppo sostenibile, di cui oggi si parla molto.

Che frutti può dare la cooperazione in questo campo tra culture e saperi così diversi come quelli appartenenti all’Africa e quelli che caratterizzano l’Occidente? Quale  arricchimento reciproco?

R. – Noi siamo operatori nell’ambito della didattica e della formazione e non intendiamo assumere compiti non corrispondenti alle nostre possibilità e capacità, ma per esempio, nel campo della formazione, è molto importante spingere gli studenti a riflettere sul ruolo etico e civile che l’architettura e l’ingegneria possono ricoprire nel miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo e dell’ambiente naturale proprio attraverso diverse esperienze che sia noi, sia molte università italiane hanno attivato in merito, proprio perché c’è bisogno di stimolare i giovani a considerare la loro possibilità di incentivare i processi dinamici di crescita sociale attraverso la loro cultura, le loro capacità, oltre che attraverso le loro conoscenze tecniche e progettuali. Una cosa importante che offre l’Africa è questo agire in sinergia con le comunità, molto difficile da trovare nei nostri contesti e che diventa un aspetto molto specifico dal punto di vista didattico, quasi unico. Che cosa possiamo offrire noi a loro? Sicuramente la nostra attenzione: noi semplifichiamo quando parliamo di Africa, dovremmo parlare delle tante Africa, ma sicuramente c’è un atteggiamento comune che deriva da una cultura millenaria, quello delle comunità che si mettono insieme. Mentre da noi prevale l’individualismo, in Africa più naturalmente la comunità si unisce per fronteggiare le difficoltà; quindi questo scambio di culture, oltre che di tecnologie, di cultura materiale e immateriale, è impagabile e utilissimo in questo mondo che si sta sempre più globalizzando, ma che, pur accettando l’idea della globalizzazione, richiede di capire bene la propria identità e cultura per avviare degli scambi che siano alla pari e siano fruttuosi.

Durante questi due giorni di studio, sono state presentate alcune esperienze già avviate. Nel pomeriggio conclusivo, il convegno prevede anche un laboratorio in cui si parla del Ghana…

R. – Certamente, nella giornata di apertura l’ex rettore Eugenio Gaudio ha presentato la mission della Fondazione Italian Higher Education whith Africa, la rete che unisce alcune delle maggiori Università italiane avviata di recente per la promozione degli atenei italiani in Africa e per dare supporto allo sviluppo locale, in una visione di cooperazione, allo scopo quindi di aprire una università italiana cominciando con l’inaugurazione di una sede universitaria ad Adis Abeba. Sempre ieri Carlo Giovanni Cereti, delegato del rettore per la Cooperazione Internazionale, ha illustrato l’impegno de La Sapienza nelle attività di ricerca didattica intraprese in collaborazione con gli Atenei africani. In questo convegno abbiamo avuto poi molti progettisti che hanno presentato le loro esperienze tutte accompagnate da un lavoro sul campo e in rapporto diretto con le comunità locali e quindi unendo la sperimentazione progettuale con gli aspetti della formazione anche delle maestranze locali e con lo sviluppo delle economie locali. Molto fruttuose le esperienze didattiche come la Summer School che hanno consentito agli studenti di fare delle esperienze fondamentali, portando alla realizzazione di manufatti, quindi un lavoro sulla costruzione utilizzando le tecniche locali, sostenuti anche dalla volontà di capire quali sono le problematiche di quei territori. Riguardo all’emergenza sismica, ad esempio, al convegno si è parlato di come si possono migliorare certe tecniche tramandate tradizionalmente, per renderle più adeguate. Oggi va tanto di moda parlare di resilienza, ma solo con la resilienza in questi contesti africani si può agire cercando di adattarsi all’ambiente, che poi è la risposta più semplice, comunque complessa, ma che non implica il ricorso a quelle tecnologie che poi, abbiamo visto, si ritorcono contro l’ uomo. Tutti temi questi che si riferiscono all’Africa, ma che coinvolgono anche il nostro mondo e la nostra realtà.