L’abbraccio del Papa ai sacerdoti calabresi e a due donne rapite da Boko Haram

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L’Osservatore Romano riporta che a fine udienza generale due preti dell’Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina hanno consegnato a Francesco un pezzo del barcone naufragato a Cutro. In Piazza San Pietro, per ricevere la benedizione del Pontefice, c’erano le due giovani nigeriane Janada Marcus e Maryamu Joseph, 22 e 17 anni, riuscite a liberarsi dai miliziani. Presenti poi un gruppo di rifugiati dell’Ucraina e i colleghi dei due avieri morti a Guidonia

di Fabrizio Peloni

«Non li abbiamo potuti accogliere come siamo abituati a fare, come avremmo voluto: il frammento di legno, che oggi abbiamo donato al Papa, è una piccola parte dell’imbarcazione che dieci giorni fa, a pochi metri dalla spiaggia di Cutro, ha urtato contro una secca, scaraventando in mare quasi duecento persone». Due sacerdoti della diocesi di Crotone – Santa Severina hanno ricordato insieme a Papa Francesco durante l’udienza generale, le vittime — al momento 73 quelle accertate — del tragico naufragio, avvenuto alle prime ore del 26 febbraio sulla costa ionica della Calabria.

Don Mirco Pollinzi e don Francesco Gentile, della parrocchia di Isola Capo Rizzuto, dovevano essere in Piazza San Pietro “solo” — si fa per dire — per accompagnare un gruppo di cresimandi. E invece si sono presentati come testimoni, davanti al Pontefice, di un evento che ha segnato indelebilmente la coscienza delle comunità della costa calabrese. E non solo.

«È un lutto familiare» dicono don Mirco e don Francesco. In piazza San Pietro hanno portato la forza spirituale della Via Crucis celebrata sulla spiaggia di Cutro, domenica scorsa, con una croce realizzata sempre con il legno del relitto.

La lettera di un parroco di Steccato di Cutro

Alle dolenti parole dei due sacerdoti fanno eco quelle del parroco di Steccato di Cutro, don Pasquale Squillacioti, che ai due sacerdoti ha affidato una lettera personale per il Pontefice. A L’Osservatore Romano — telefonicamente — don Pasquale racconta quanta importanza abbia il dono al Papa di un frammento del relitto. «Gli chiediamo di restare unito a noi con la preghiera, affinché il mare restituisca i corpi dei dispersi così che abbiano una degna sepoltura e i parenti abbiano un posto dove “cercare” conforto e vicinanza con chi non c’è più». Si teme, dice don Pasquale, «che possa essere tra 30 e 40 il numero dei corpi non ancora recuperati». Le persone sopravvissute, racconta, sono circa ottanta.

Non sono la fatica e la stanchezza, dopo dieci giorni “interminabili” che lo hanno visto tra i primi testimoni di «immagini apocalittiche che mi auguro non finiscano nel dimenticatoio», a far venire meno in don Pasquale «il senso di paternità». La risposta della popolazione calabrese è stata, sin dalle prime ore del naufragio, «una luminosa testimonianza di fede» fa notare.

«Un anno fa in questa giornata celebravo un funerale per un femminicidio, quest’anno ci troviamo a piangere tante vittime innocenti, tra cui molte donne» conclude don Pasquale, facendo riferimento alla Giornata internazionale dell’8 marzo.

Con due giovani nigeriane rapite da Boko Haram

E proprio nel «giorno della donna», con particolare affetto Francesco ha accolto e ha benedetto due giovani nigeriane — Janada Marcus e Maryamu Joseph, rispettivamente 22 e 17 anni — riuscite a liberarsi dalle catene dei miliziani di Boko Haram che le avevano rapite.

«Per le due ragazze l’incontro con il Pontefice è il raggiungimento simbolico di un traguardo di riconciliazione e di speranza, fatto di coraggio e fede luminosa» dice don Joseph Bature Fidelis, della diocesi di Maiduguri, capitale dello stato federale di Borno, a nord-est della Nigeria.

Proprio a Maiduguri don Joseph dirige il Trauma Center, una struttura realizzata — con l’aiuto della fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre — per ospitare le vittime di Boko Haram. Per curarle e assisterle con un team di professionisti. E proprio in questo centro vivono oggi le due ragazze, alla ricerca di una nuova vita.

«Janada è stata rapita e torturata più volte dai miliziani» racconta il sacerdote: «Il primo rapimento è avvenuto quando aveva appena subito un intervento chirurgico: l’hanno portata via direttamente dal letto dell’ospedale». Tornata libera, Janada è stata nuovamente rapita e stavolta nel modo più drammatico: assistendo all’omicidio di suo padre. Nel novembre del 2020 «è stata ancora sequestrata e rilasciata dopo sei giorni, poco prima di essere data in sposa a uno sconosciuto».

Maryamu, prosegue don Fidelis, «è stata rapita dai miliziani nel 2013 insieme ad altre 21 persone, quando non aveva ancora compiuto 8 anni, ed è rimasta prigioniera per nove anni» . Anche «due suoi fratelli sono stati rapiti e rinchiusi nel suo stesso campo di prigionia. Uno di loro è stato ucciso, l’altro è ancora in cattività». Maryamu, dopo tanto dolore, adesso comincerà finalmente un percorso di studio.

Sempre per la giornata dell’8 marzo, un gruppo di donne leader di diverse religioni, tra le quali rappresentanti del corpo diplomatico presso la Santa Sede, hanno voluto rilanciare con il Papa l’impegno a essere «corresponsabili di un’umanità fraterna» proprio a partire dall’esperienza di fede. L’iniziativa vede protagonista l’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche, con la partecipazione anche di alcune donne che svolgono il loro servizio nella Santa Sede.

L’abbraccio ai rifugiati ucraini e il ricordo dei due avieri morti a Guidonia

«Sono io che vi ringrazio della presenza, così posso essere accanto a voi che siete un popolo martire». Non ha fatto ricorso a giri di parole Papa Francesco nel rispondere al “grazie” degli 80 ucraini, ospiti della Caritas diocesana di Pescara-Penne. Con loro anche 30 rifugiati di altre nazionalità. A ciascuno, personalmente, il Pontefice ha assicurato la propria vicinanza.

«Abbiamo chiesto al Papa una preghiera per Giuseppe Cipriano e Marco Meneghello, i nostri due colleghi piloti morti ieri in un tragico incidente aereo, a Guidonia». A parlare è il tenente colonnello Michele Minonne, comandante del Gruppo supporto di Brindisi dell’Aeronautica militare italiana, presente oggi all’udienza con il cappellano militare don Giovanni Prete.

Il progetto “Senza sbarre” per i detenuti di Andria

«Siamo una squadra con una fortissima motivazione interiore: reintegrare chi ha ancora molto da dare e non cedere, come ci insegna Papa Francesco, alla cultura dello scarto». Così don Riccardo Agresti e il magistrato Giannicola Sinisi hanno presentato al Pontefice “Senza sbarre”, il progetto, rivolto alle persone recluse nel carcere di Andria, che intende restituire dignità e speranza, e combattere il pericolo più grande, e cioè «che queste persone tornino a delinquere».

Fondamentale, dice don Agresti, è «il sostegno del vescovo di Andria, monsignor Luigi Mansi, della Caritas e della Cei». Tra i progetti, l’ampliamento dello stabilimento che — all’interno della masseria in Contrada San Vittore, il patrono dei detenuti — già oggi consente la produzione di taralli, circa 8.000 chili al mese, che poi vengono venduti in alcuni supermercati del sud Italia». Oggi al Papa i detenuti di Andria hanno simbolicamente donato proprio i “loro” taralli, insieme all’olio extra vergine d’oliva, frutto del loro lavoro.