La vita di mia figlia è degna di essere vissuta

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

L’intimità è un bene prezioso. Difficile da descrivere, ma conosciuto a tutti. In una famiglia si manifesta in più modi: sguardi, gesti, ricordi, frammenti di vita vissuta. Più o meno recenti. L’intimità spesso conduce alla tenerezza. Un passaggio non obbligato, ma quasi sempre desiderato. Una carezza, l’ascolto, un’attenzione. Le forme sono diverse, a non mutare è la sostanza che accompagna al significato più profondo della parola amore. Quello, ad esempio, di un padre che ama la propria figlia e ne ha cura, fin dai primi giorni di vita. Una vita che gli chiederà, poi, di curarla in un altro senso. Il meno auspicato.

La storia di Giuseppe 

Giuseppe Crea, 68 anni da compiere questo mese. Secondo di tre figli, nipote di un sacerdote che lo crescerà come un padre, dopo che Giuseppe è rimasto orfano a soli 8 anni. Siamo nella Calabria del dopoguerra. Il bambino mostra fin da subito una grande predisposizione allo studio. Sensibile, attento ai bisogni del prossimo, decide di entrare in seminario. La vocazione, però, muta con il passare degli anni e lo porterà a diventare medico, marito e padre. Laureato con lode, sposa il suo primo amore, Mariagrazia, conosciuta nel coro della parrocchia. Medico anche lei, dopo gli studi alla Sapienza di Roma decidono di tornare a Palmi, nel reggino. Qui formano una bellissima famiglia: i primogeniti sono due gemelli, Francesco e Giacomo; poi Alessandro, infine Mariangela, nata il primo aprile del 1994. Giuseppe sta per compiere 41 anni.

La malattia di Mariangela

I problemi di salute di Mariangela hanno inizio nel gennaio 1998. A marzo il primo ricovero ospedaliero, a Reggio Calabria. Lo specialista che la visita afferma: “Questa bambina mi fa ricordare le meningiti tubercolari che si vedevano un tempo”. Nei successivi cinque mesi saranno altrettanti i ricoveri: due a Reggio, tre a Trieste. È qui che viene diagnosticata una infezione da Bartonella. Mariangela torna a casa, ma la situazione peggiora: le lesioni cerebrali appaiono più consistenti, a giugno un primo giorno di coma che si risolve spontaneamente. Da Trieste a Bruxelles, dove viene esclusa la Bartonella: si tratta di un’infezione tubercolare. Gli interventi chirurgici si moltiplicano in estate. Ai primi di ottobre di nuovo coma che esiterà in stato vegetativo, condizione in cui Mariangela si trova ancora oggi. La piccola resterà sette mesi con la mamma a Bruxelles, per fare ritorno a casa nel maggio del 1999. Ha da poco compiuto 5 anni.

La tenerezza di un padre 

Nella Lettera Apostolica Patris Corde di Papa Francesco, pubblicata in occasione del 150.mo anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale, Francesco dedica un paragrafo al ‘Padre nella tenerezza’.

“Anche attraverso l’angustia di Giuseppe – si legge alla fine del paragrafo – passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande”.

Essere genitori significa donare al mondo una nuova vita, custodirla, lasciarla poi libera di andare. Una libertà che implica coraggio, responsabilità, maturità. Tutte qualità ancor più necessarie a chi si trova dinanzi ad una figlia malata, che ha bisogno di essere custodita perché fragile, oggi come nei primi anni di vita. E che chiede tenerezza.

Mia figlia è una persona

Una vita diversa quella di Mariangela, che però non ne cancella la dignità che il padre difende ad ogni costo. Il papà Giuseppe. Il medico. L’uomo. “Ora lei è nel suo mondo, ma non per questo ha smesso di essere una persona”, dice a Vatican News raccontando la sua storia. Quella di una famiglia alla quale la vita ha chiesto di essere forte. Anzi, fortissima. “Se non le do da mangiare e da bere, mia figlia muore. Lasciar morire di fame e di sete chi è nella sua situazione vuol dire offendere il genere umano, perché quello che è accaduto in più di un’occasione nel mondo – afferma Giuseppe con la voce rotta dall’emozione – ha fatto perdere la dignità di persona a mia figlia”. Una dignità che lui, insieme alla sua famiglia, rivendica da sempre e per sempre.

Giuseppe Crea e sua figlia Mariangela

La vita normale

La tenerezza di Giuseppe verso Mariangela si manifesta nella quotidianità, fatta di piccole attenzioni. Le stesse che ogni giorno mostrano nei suoi confronti la mamma Mariagrazia, le nonne, i fratelli. Mariangela non è sola, mai lo è stata in questi vent’anni e più di malattia. A Palmi, città dove vive da sempre, c’è Villa Mazzini, uno dei luoghi più incantevoli della provincia di Reggio Calabria. Da qui sembra di toccare la Sicilia, lo stretto è ben visibile, così come lo sono le isole Eolie.

In questa villa, specie d’estate, i genitori portano Mariangela nelle ore più tarde del mattino, quando il sole è già caldo, ma l’aria si mantiene fresca. Quella passeggiata, con da un lato il blu del mare e dall’altro il verde della vegetazione, è per Giuseppe “un paradiso”. “C’è il sole, l’aria fresca, vero Mariangela?”, dice il padre alla figlia, sfiorandola con una tenera carezza. Poi va via, dopo aver rivelato quel dolore che porta dentro dicendo: “E facciamo finta che la vita sia normale”. Auguri Mariangela, a te ed alla tua splendida famiglia.