La santità diffusa: una chiamata per tutti, facendo “tutto ciò che possiamo”

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

I santi “della porta accanto”, per dirla con Papa Francesco,  i santi canonizzati, la “classe media della santità” e le vette di chi è stato eroico nell’esercizio delle virtù, ha sacrificato la vita nel martirio o ha offerto la propria vita e le proprie sofferenze nella malattia per gli altri fino alla morte. Le diverse forme di santità, alla quale tutti siamo chiamati come figli di Dio nel battesimo, sono state al centro della seconda giornata di lavori del convegno “Santità oggi” organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi all’Istituto Augustinianum di Roma, e dedicata all’ “eroicità cristiana tra perennità e attualizzazione”.

Padre Faggioni: la Lumen Gentium e la chiamata universale alla santità

Padre Maurizio Faggioni, francescano minore e docente di Bioetica all’Accademia Alfonsiana, al quale è stata affidata la relazione del pomeriggio, sulla “chiamata universale alla santità e santità canonizzabile oggi” ha citato san Paolo, quando nella Lettera agli Efesini scrive che il Padre “ci ha scelti, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità”. E poi la costituzione conciliare Lumen Gentium, che al punto 40 chiarisce che “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio” nel battesimo della fede “sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi”.

Le virtù cristiane, non esclusiva dei santi canonizzati

Padre Faggioni ha citato amche l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco, scritta nel 2018 con l’obiettivo di “far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Perché il Signore ha scelto ciascuno di noi ‘per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità’ ”. Le virtù cristiane, che non sono una esclusiva dei santi canonizzati, ha sottolineato il relatore, “ma sono e devono essere lo stile di ogni cristiano”, possono essere esercitate, scrive il Papa “in modo ordinario e in modo straordinario”. E accanto ai santi già beatificati e canonizzati, aggiunge, “mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere”.

Suor Melone: l’idea sbagliata della santità irraggiungibile

In mattinata, intervenendo sulla “perenne attualità dei santi”, suor Mary Melone, teologa già rettore della Pontificia Università Antonianum e oggi superiora generale delle Suore Francescane Angeline, ha ricordato che nonostante il cammino della Chiesa dalla Lumen Gentium alla Gaudete et exsultate, “rimane ancora molto diffusa l’idea della santità come di un qualcosa di irraggiungibile, della eroicità delle virtù come di una condizione di superiorità che non è alla portata di tutti”. Ma deve essere chiaro, ha sottolineato la religiosa, che “l’eroicità delle virtù non può essere intesa come l’impegno con cui l’uomo si guadagna da solo, con le proprie forze, la salvezza”, ma “si configura come risposta al dono di grazia di Dio”. Eroicità per i santi, ribadisce anche nell’intervista a Vatican News, “vuol dire dare tutto ciò che possono”, e questo “è alla portata di tutti i cristiani”.

Francesco d’Assisi e i santi che parlano a tutte le lingue 

Il santo, ha proseguito suor Melone, “è imitabile non tanto nei suoi singoli gesti e nei suoi comportamenti, quanto piuttosto perché egli esercita una forza di attrazione tale da spingere anche altri a cercare, sul suo esempio, la propria forma di sequela di Cristo”. E ciò che attrae nell’esempio dei santi “è la percezione di una vita bella, pienamente riuscita. Nel vissuto dei santi si coglie con immediatezza il dilatarsi delle potenzialità dell’umano ad opera dell’amore di Dio”. E ciò che li rende contemporanei ad ogni uomo, in ogni epoca, “è l’aver assunto in pienezza la forma di Cristo, il loro poter dire”, come san Paolo ai Galati, “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Parlando di san Francesco di Assisi, nel giorno della sua festa, la religiosa francescana ha sottolineato la sua peculiarità “data dal fatto che ogni generazione, in ogni epoca, ha ritenuto il messaggio di Francesco attuale per il proprio tempo”, e “lo ha riconosciuto contemporaneo a sé, alla propria situazione di vita di fede”.

Ascolta l’intervista a suor Mary Malone (Università Antonianum)

Perché i santi affascinano, e il loro fascino dura nel tempo, come ad esempio Francesco che ricordiamo oggi? Perché lo possiamo definire un santo per tutti i tempi?

Perché i santi hanno la capacità, in maniera più evidente ed immediata, di comunicarci la freschezza del Vangelo. Ci fanno capire nel tempo che il Vangelo ha una logica che è per l’uomo, che dà la pienezza di vita all’uomo, e questo affascina. I santi lo traducono nella loro vita, e l’uomo in ogni tempo se ne sente attratto.

Su san Francesco lei sottolineava che ogni generazione ha visto il suo messaggio attuale, per il suo tempo…

Francesco in modo particolare ha un fascino perché ha accolto alcune dimensioni del Vangelo che riescono a parlare tutte le lingue. Ieri si diceva, nell’apertura del convegno, che santi come lui riescono a parlare anche lingue di non credenti. Il suo messaggio di fratellanza universale sicuramente riesce a raggiungere il cuore di tanti e vorrei dire anche di tanti giovani. Chi ha l’occasione di andare ad Assisi vede che i luoghi di Francesco sono i luoghi forse tra i più frequentati dai giovani. Forse perché Francesco con quel suo amore semplice, libero, che la povertà esprime, riesce davvero a toccare quelle attese che sono in ciascuno di noi, ma forse particolarmente nei giovani.

Il messaggio della povertà, però, in questi tempi del “tutto subito” è un po’ più difficile da capire…

La povertà di Francesco è difficile e complessa, e la storia del francescanesimo lo attesta. Però ha un contenuto di libertà: la povertà di Francesco più che privazione è libertà dal dominio delle cose e libertà anche dalla paura. È per questo che attraversa i secoli: perché questo forma di povertà è una forma che libera il cuore.

Lei si chiedeva anche: ma se i santi sono esempio di eroicità delle virtù, come possono anche essere imitati? La loro non è una perfezione irraggiungibile?

La tentazione di considerarli irraggiungibili c’è sempre, anche perché il linguaggio non ci aiuta. L’eroicità, noi la decodifichiamo con le immagini degli eroi che la nostra cultura ci presenta. Ma per i santi vuol dire dare tutto ciò che possono, e questo è possibile per ogni uomo. C’è una santità canonizzabile che ovviamente ha alcuni criteri per un giudizio, ma questo “tutto ciò che possiamo” è alla portata di tutti. Non a caso la Gaudete et exsultate ricorda che la santità è una chiamata che riguarda tutti cristiani

Ci può spiegare cosa intendeva, dicendo che i santi possono essere imitati per generatività?

Intendo generatività come quella forza di attrazione che un santo pone. Chi va, per esempio, a visitare i luoghi dove ha vissuto un santo, di solito ne esce affascinato, colpito, sicuramente da ciò che ha scoperto e ha conosciuto ma porta via, normalmente, il desiderio di fare qualcosa di simile. E quindi l’esempio è generativo suscita un desiderio di fare la stessa cosa, secondo le proprie capacità.

Ronzani: il santo, non emancipato da Dio, ma incorporato a Cristo

Prima di suor Melone era intervenuto l’agostiniano padre Rocco Ronzani, docente dell’Istituto Augustinianum, su “L’attualità della santità in una prospettiva patristica”, sottolineando che in sant’Agostino e nei Padri, il santo non è “emancipatus” da Dio, ma “incorporato a Cristo che lo emancipa dalla schiavitù del peccato”.

Manes: le Beatitudini, manuale di santità donato da Gesù

Sempre nella sessione del mattino, due relatrici hanno affrontato il tema de “Le Beatitudini, via alla santità”. Rosalba Manes, docente di Teologia biblica della Pontificia Università Gregoriana, ha ricordato che nella Gaudete et exsultate il Papa chiarisce che Gesù ci ha spiegato, con semplicità cos’è essere santi nel discorso delle Beatitudini, perché “In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita”. E i beati sono felici grazie alla “consolazione, sazietà, visione di Dio e comunione con Lui, beni annunciati da Gesù che non riguardano il futuro ma il presente che egli è venuto a qualificare”. Gesù, ha concluso la teologa “con le Beatitudini annuncia il programma della sua vita e missione, descrive il suo stile mite, misericordioso e improntato alla giustizia, la sua vita ‘a braccia aperte’, quella che ognuno di noi con il battesimo è chiamato a vivere per fiorire in pienezza”.

Anes Bello: la piccola schiera dei santi contro il male 

Dopo di lei Angela Anes Bello, già docente di Storia della filosofia alla Pontificia Università Lateranense, ha sottolineato come nelle Beatitudini Gesù non parli astrattamente di mitezza o povertà, ma di coloro che “concretamente mostrano di essere miti o poveri”. La santità, ha spiegato, “che può e deve mostrarsi già in questa vita, è finalizzata all’accordo, alla pace fra gli esseri umani, accordo che si può ottenere essendo miti, misericordiosi, giusti, pacifici, semplici, trasparenti, e tutto ciò si ottiene attraverso un processo di perfezionamento e di superamento del male”. Una parola che non è presente nel discorso di Cristo, “ma tutti gli atteggiamenti descritti dimostrano la necessità di una lotta contro le tendenze negative, contro quello che sant’Agostino definisce il male morale”. L’ideale non è la sofferenza, ha concluso Anes Bello, “come sembrerebbe ad una lettura superficiale, ma l’ideale è un modo migliore che non si ottiene senza sofferenza. Se tutti accettassero di essere miti, misericordiosi, giusti, non ci sarebbero più persecuzioni. Ma il male continua ad essere presente nel mondo, la santità è propria di coloro che sono il sale della terra, una piccola schiera che può diventare sempre più numerosa se ci si mette alla sequela della Parola”.