Chiesa Cattolica – Italiana

La Santa Sede: guerra e minaccia nucleare una follia, stop immediato alle armi

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

Quattro interventi come un mosaico, dettati dall’urgenza di mostrare anche all’assemblea dell’Onu il disegno che sta a cuore al Papa e alla Santa Sede: ritrovare una serenità a livello mondiale che la guerra in Ucraina, con l’ombra del dito sul detonatore del conflitto atomico, sembra aver prosciugato, fomentando scenari apocalittici piuttosto che spingere a disinnescarli prima che sia troppo tardi. È così che il rappresentante vaticano alle Nazioni Unite, l’arcivescovo Gabriele Caccia, ha vissuto una giornata più che intensa, prendendo ieri la parola in quattro circostanze diverse, due delle quali dedicate direttamente alla crisi che ha nuovamente spaccato il pianeta in blocchi.

Le giuste condizioni per la pace

Di fronte all’11ma sessione speciale di emergenza dell’Assemblea generale, che ha affrontato il tema dell’integrità territoriale dell’Ucraina, l’osservatore permanente della Santa Sede ha ripetuto parola per parola l’appello lanciato da Francesco il 2 ottobre scorso all’Angelus, quell’invito più che accorato, rivolto esplicitamente ai presidenti dei due Paesi belligeranti, a far tacere le armi e a ricercare “condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”. Condizioni, insisteva ancora il Papa, “fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese”. E questo “senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation” di una guerra bollata di nuovo come “una pazzia”.

Pace non è stesso numero di armi

Un intervento, quello di monsignor Caccia, strettamente connesso a quello rivolto ai colleghi della prima Commissione dell’Assemblea generale, dedicato al disarmo e alla sicurezza internazionale. Il rappresentante vaticano lo ha iniziato ricordando lo stesso clima di inquietudine di sessant’anni fa, quando il mondo sfiorò il conflitto nucleare e quando Giovanni XIII nella sua Pacem in terris notò con schiettezza che una pace autentica tra le nazioni non può basarsi sul “possesso di un’uguale dotazione di armi, ma soltanto nella fiducia reciproca”. Tuttavia, nonostante il dramma attuale il presule ha notato che “ci sono segni di speranza per il disarmo” anche oggi, evidenziati anzitutto dalla ratifica data da sei Stati al Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT). Invitando anche gli altri Paesi a fare altrettanto, monsignor Caccia ha poi affrontato il capitolo del preoccupante sviluppo degli armamenti, da ordigni come le mine antiuomo e le munizioni a grappolo fino ai sistemi d’arma orbitali e di missili anti-satellite. Le spese militari mondiali, ha asserito, “hanno superato per la prima volta i 2.000 miliardi di dollari”, consumando risorse “che potrebbero promuovere lo sviluppo umano integrale e salvare innumerevoli vite. Senza affrontare questa proliferazione dilagante – ha detto – il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) rimarrà inafferrabile”.

Pandemia e guerre e la povertà cresce 

Di diverso tenore, ma di non minore portata, gli altri due interventi dell’osservatore permanente, il primo dei quali rivolto alla platea della seconda Commissione dell’Assemblea generale sul tema dello sradicamento della povertà e dello sviluppo dell’agricoltura, della sicurezza alimentare e della nutrizione. Qui il presule ha rilevato un ritardo rispetto alla tabella di marcia prefissata. “A soli otto anni dal raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 e a cinque anni dalla conclusione della Terza Conferenza delle Nazioni Unite per l’eliminazione della povertà, la comunità internazionale – ha osservato – deve rimettersi in carreggiata e raddoppiare i suoi sforzi per affrontare i tassi allarmanti di povertà, soprattutto nei Paesi meno sviluppati”. La pandemia ha causato un aumento dall’8,3% del 2019 al 9,2% del 2020 del tasso di povertà, una “fluttuazione apparentemente piccola nei dati” che però “corrisponde – ha sottolineato il presule – a un cambiamento enorme, ovvero 77 milioni di persone in più che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno”, il che vuol dire malnutrizione diffusa e una serie di problemi connessi, da quelli della salute a quelli del lavoro. Di qui l’invito ripetuto a “progettare politiche che abbiano al centro la persona umana e garantiscano un accesso equo a quei beni essenziali, risorse e opportunità che sono indispensabili per sostenere la vita e promuovere lo sviluppo integrale e il benessere di ogni persona”.

Indigeni, il diritto di contare

Infine, alla terza Commissione dell’Assemblea generale, incentrata sui “Diritti delle popolazioni indigene”, monsignor Caccia ha stigmatizzato quanto essi siano “troppo spesso trascurati, se non addirittura ignorati”, un quadro di cose che si ripercuote su queste popolazioni, vittime dell’impatto del cambiamento climatico e del degrado ambientale, come pure – ha denunciato l’osservatore vaticano, “di politiche avide e miopi e di pratiche illegali che possono portare all’espropriazione di territori e risorse”. È necessario invece riconoscere le popolazioni indigene come detentori di diritti “coinvolgendole, se opportuno, nei processi decisionali” all’interno degli organi in cui si decidono le politiche che li riguardano. Inoltre, ha proseguito il presule, se le terre da loro abitate “devono essere elencate come protette, deve essere garantito il rispetto del principio del consenso libero, preventivo e informato”. Questo dialogo, che garantisce il rispetto dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali, ma anche delle loro tradizioni e costumi, è essenziale – secondo monsignor Caccia – per promuovere una cultura dell’incontro contro quella cultura dell’indigenismo “completamente chiusa, a-storica e statica che rifiuta qualsiasi tipo di fusione”.

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