La Santa Sede all’Onu: sempre più violenza sulle donne, risoluzione non attuata

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L’osservatore permanente presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, monsignor Caccia, intervenendo nel dibattito sul cammino verso il 25.mo anniversario della risoluzione 1325, ha sottolineato che la rappresentanza delle donne nei processi di pace, uno degli obiettivi del documento, è diminuita, mentre è aumentata la violenza, compresa quella sessuale

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

L’agenda Donne, Pace e Sicurezza delle Nazioni Unite “non può essere attuata con successo se non si affrontano i fattori principali che contribuiscono al peggioramento delle condizioni di donne e ragazze” come guerre, estremismo e risorse dirottate verso la spesa in armamenti. Lo ha sottolineato nel suo intervento al dibattito aperto al Consiglio di Sicurezza Onu sul cammino verso il 25.mo anniversario della risoluzione 1325, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio stesso. Il rappresentante vaticano ha ricordato che “negli ultimi anni, la violenza – compresa quella sessuale – contro le donne e le ragazze è aumentata, mentre la rappresentanza delle donne nei processi di pace è diminuita, dimostrando che l’approccio attuale è insufficiente”.

La prima risoluzione sull’impatto della guerra sulle donne

La risoluzione 1325, approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 31 ottobre 2000, è la prima in assoluto che menziona esplicitamente l’impatto della guerra sulle donne ed il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole. E fissa quattro obiettivi: riconoscere il ruolo fondamentale delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, prevedere una loro maggiore partecipazione nei processi di mantenimento della pace e della sicurezza nazionale, adottare una “prospettiva di genere” e formare il personale sui diritti delle donne. Un provvedimento che rafforza, estendendoli a tutte le Parti in conflitto e alle Parti “terze”, importanti impegni derivanti dalla più ampia “Convention on the elimination of all forms of discrimination against women” (Cedaw), adottata dalle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, quali la piena partecipazione delle donne nei processi decisionali, il ripudio della violenza contro le donne, l’esigenza della loro protezione e la valorizzazione delle loro esperienze.

Il Papa: in molti Paesi “le donne cittadini di seconda classe”

Per Caccia, quindi, con l’avvicinarsi del 25° anniversario della risoluzione, “è opportuno e tempestivo rivalutare il modo migliore per affrontare le esigenze specifiche delle donne nei conflitti e il loro importante ruolo nella prevenzione e nella risoluzione degli stessi”. L’osservatore permanente ha ricordato poi le parole di Papa Francesco nel suo discorso di gennaio al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: “Quando i diritti umani sono pienamente riconosciuti per tutti, le donne possono offrire il loro contributo unico alla vita della società ed essere le prime alleate della pace”. Purtroppo, aveva osservato il Papa “in molti Paesi le donne sono considerate cittadini di seconda classe”, subendo violenze, abusi e un accesso limitato all’istruzione, al lavoro, all’assistenza sanitaria e ad altri beni di prima necessità. La Santa Sede, ha sottolineato l’arcivescovo Caccia, “condanna tale trattamento e deplora la situazione in cui versano molte donne e ragazze, alle quali viene sistematicamente negato il beneficio dell’istruzione”. 

Contro le donne conflitti, estremismo e dirottamento di risorse

Il rappresentante della Santa Sede ha ricordato anche che nel suo recente viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, Francesco ha sottolineato il potenziale delle donne nel trasformare le società violente in società pacifiche, quando “sono protette, rispettate, valorizzate e onorate”. Per liberare questo potenziale, secondo Caccia, il Consiglio di Sicurezza Onu “deve garantire che le donne, specialmente le madri che sanno come la vita viene generata e salvaguardata, ricevano l’opportunità di partecipare più pienamente ai processi di pace e a tutti gli aspetti della vita politica e dei processi decisionali”. I fattori principali che contribuiscono al peggioramento delle condizioni di donne e ragazze, per l’osservatore permanente, “includono non solo i conflitti – come l’esecrabile guerra in Ucraina e i conflitti spesso dimenticati in Africa e in Medio Oriente – ma anche l’estremismo e il dirottamento di sempre più risorse verso la spesa per le armi, comprese quelle nucleari, i cui effetti hanno un impatto sproporzionato su donne e ragazze”.